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Negli ultimi due anni, l’Albania è diventata meta preferita di tantissimi vacanzieri, italiani e non. Attratti dalla promessa di spiagge bellissime e prezzi ancora contenuti, milioni di persone (10 solo nel 2023, su una popolazione di circa 2,5 milioni di abitanti) si sono riversate da tutta Europa sulle coste del paese delle Aquile.
In piena estate è impossibile non trovare turisti italiani, tedeschi o francesi stesi al sole in città come Ksamil e Saranda, situate a due passi dal confine greco e proprio di fronte all’isola di Corfù, completamente cannibalizzate a uso e consumo dei turisti, con lidi, bar e club attivi a qualsiasi ora del giorno e della notte. Ma chi volesse concedersi un viaggio on the road in Albania del sud, troverà tanti interessanti spunti di riflessione. Sulla storia del paese, le sue prospettive, le sue molteplici identità, le numerose curiosità che suscitano interrogativi non sempre dipanabili.
Senza pretesa di fornire uno studio antropologico né un’immagine precisa, completa e profonda della cultura albanese, quello che segue è il frutto di una serie di considerazioni nate da un semplice viaggio estivo al di là dell’Adriatico.
Per chi parte in auto dall’Italia, il modo più facile per raggiungere l’Albania è quello di prendere il traghetto che parte da Brindisi e che arriva a Valona, il secondo porto del paese dopo Durazzo, dopo cinque ore di viaggio.
Il tempo passato sul battello offre già diversi spunti. I suoi ospiti sono italiani, per lo più ma non esclusivamente del sud Italia alla ricerca di luoghi simili a quelli di casa propria ma economicamente più accessibili nei mesi estivi. Non mancano però camperisti stranieri né, soprattutto, albanesi residenti nel nostro paese che tornano a casa dopo un anno di lavoro.
Anche grazie a questa reciproca conoscenza, il clima vacanziero regala momenti di importante solidarietà. Ne sanno qualcosa gli sfortunati avventurosi abbandonati dalla batteria della propria macchina. Bloccati dentro il traghetto e impossibilitati ad uscire, in molti si prodigano per risolvere il problema. Non sempre con successo. Ecco allora che può capitare di ritrovarsi un poliziotto albanese e un operaio della Ducati che, sotto il sole cocente delle 15:00 di una giornata d’agosto, accendono “a spinta” una dopo l’altra le macchine bloccate sul pontile che porta ai controlli doganali.
A primo impatto non sembra di essere arrivati in un paese straniero. L’italiano, seppur abbozzato, è una specie di lingua franca e la radio continua a prendere diverse frequenze italiane. Una prima sosta al bar, luogo fondamentale per cominciare a capire le abitudini locali, conferma il poco scarto rispetto al nostro paese: caffè Lavazza e pagamento in euro, grazie anche al facilissimo tasso di cambio di 1 euro per 100 lek. Peccato sia praticamente impossibile pagare con la carta anche in locali più grandi di un semplice bar di quartiere, o utilizzare il wi-fi, cosa che lascia i viaggiatori meno organizzati disconnessi dal mondo.
Valona, villaggio turistico…
Dopo aver espletato i noiosi e non sempre veloci controlli doganali ed essere usciti dal porto si viene catapultati in una strana realtà.
Valona si presenta come un enorme villaggio turistico con larghi stradoni che si incrociano, animati soprattutto da negozi, case vacanze, bar, ristoranti e alberghi. Strutture moderne, architettonicamente anche interessanti ma quasi completamente scollegate tra loro, a dimostrazione di un’espansione edilizia molto rapida e poco pianificata. Persino l’entrata dello stadio sembra più l’ingresso di un centro commerciale che un impianto sportivo.
Il piccolo centro storico, un tempo quartier generale italiano durante l’occupazione del paese, ospita due moschee e il monumento all’Indipendenza. Appena dietro le strade principali, però, resistono ancora isole di arretratezza con strade dissestate, piccole case mai finite e matasse inestricabili di cavi elettrici a pochi metri di altezza.
Una passeggiata serale sul lungomare assomiglia più a una gara di nuoto sull’asfalto. Il tempo passa infatti facendo numerose “vasche” da un punto all’altro, circondati dal mare da un lato e da un’infinita sfilza di alberghi e locali dal spesso discutibile gusto musicale dall’altro. Bella ciao cantata per metà in albanese e per metà in italiano non appare come un momento nostalgico del lungo periodo comunista quanto più il risultato della commercializzazione e normalizzazione di una canzone ormai trasformata in icona pop.
… e vecchio centro industriale
Valona non è però solo una città turistica. Un’enorme area abbandonata, che si estende a pochi chilometri dalla città, ne mostra il passato industriale e produttivo. Impianti petroliferi, fabbriche di produzione di materiale plastico e una fonderia interrompono lo spazio urbano e lo separano da un’immensa pineta, trasformata negli ultimi anni nel polmone verde della città con campeggi, ristoranti e spiagge.
Proprio alla fine di questo bosco urbano si trova uno dei luoghi più suggestivi di Valona: il monastero di Zvërnec. Situato su un isolotto raggiungibile solo da un pontile, il monastero bizantino risalente al XIII secolo dedicato a Santa Maria venne chiuso, come tutti gli altri edifici religiosi, nel 1967 in seguito all’introduzione dell’ateismo di Stato in Costituzione.
“The best or nothing”
Sin dalla sua nascita, la casa automobilistica Mercedes ha usato come motto la frase “The best or nothing” (o il meglio o niente). E gli albanesi sembrano aver fatto proprio questo slogan. Tantissime sono infatti le Mercedes per strada, quasi tutte targate Albania.
Possedere una macchina costosa, anche se quasi sempre usata, è infatti uno status symbol particolarmente ricercato da queste parti. Curiosamente, quasi tutte sono alimentate a GPL e proprio per questo, a differenza del nostro paese, praticamente tutte le stazioni di servizio hanno anche l’Autogas. Una manna dal cielo per chi vuole risparmiare sul costo del carburante.
Lavazh, lavazh ovunque
Una delle curiosità che lascia più perplessi attraversando le strade albanesi è l’incredibile numero di autolavaggi. Può capitare di trovarne anche 5-6 nel giro di 200 metri. Quasi tutti si presentano con un semplice tetto in lamiera, un tubo dell’acqua e dei secchi con acqua e sapone. Niente di più. Ciononostante l’attenzione e la cura che vengono messe nel lavoro è qualcosa di sbalorditivo, con la polvere che si insinua tra il finestrino e lo sportello che viene minuziosamente soffiata via con la bocca.
Alcuni spiegano la presenza di tutti questi autolavaggi con la tanta polvere delle strade provinciali che sporca facilmente le auto, oggetto da tenere intatto. Per altri è un modo semplice, veloce ed esentasse per alzare qualche soldo in più. Sta di fatto che ne esistono a centinaia, spuntando dal nulla anche nelle strade meno battute.
Un po’ di natura: il fiume Vjosa
Uscendo da Valona e dirigendosi verso Argirocastro, il navigatore consiglia una strada più lunga ma più veloce. Ignorando tale suggerimento e percorrendo la strada interna si arriva comunque a Poçem, dove la strada viene affiancata dal fiume Vjosa, considerato l’ultimo fiume selvaggio d’Europa e da anni al centro di significative lotte ambientaliste.
Le sue acque cristalline sembrano spuntare dal nulla e con il bianco del letto creano un quadro davvero apprezzabile, nonostante il caldo asfissiante.
Custode infaticabile di biodiversità, nonostante gli effetti dell’azione dell’uomo, il Vjosa procede tra le montagne, accompagnando a distanza gli automobilisti per poi ripresentarsi in tutta la sua bellezza nella zona di Memaliaj, pochi chilometri prima di Tepelene. Qui, le macchine ferme ai bordi della stretta strada anticipano la presenza di fontane da cui scorre l’acqua che viene poi imbottigliata dall’azienda locale.
Un ristorante con una cascata all’ingresso offre refrigerio e la possibilità di riempire lo stomaco. Oltre a essere sede delle più importanti risorse d’acqua del paese, Tepelene ha dato i natali ad Alì Pascià (1740-1822), politico e condottiero in conflitto con l’Impero ottomano citato anche nel Conte di Montecristo di Alexandre Dumas.
Argirocastro: tra damnatio memoriae e orgoglio nazionalista
La città di Argirocastro (Gjirokastër) è forse l’unica del sud dell’Albania in cui vale la pena fermarsi per una sosta storico-culturale.
Situata sopra un’ampia vallata tra i monti Mali i Gjerë e il fiume Drino, è una tra le città più antiche del paese, dichiarata nel 2005 patrimonio UNESCO. La città ha dato i natali ai due personaggi più importanti della storia albanese del secondo Novecento: Enver Hoxha, dal 1944 al 1985 leader indiscusso del regime comunista, e Ismail Kadare, probabilmente il più grande e famoso scrittore albanese.
Eppure, la memoria dei due illustri personaggi ha preso strade completamente diverse. Se la casa natale dello scrittore è stata trasformata in museo ancor prima della sua recentissima scomparsa, quella di Enver Hoxha è stata letteralmente fatta saltare in aria il 16 dicembre 1997 durante la cosiddetta “anarchia albanese”, la guerra civile che vide contrapporsi sud contro nord a seguito del crollo degli schemi piramidali che portarono sul lastrico centinaia di migliaia di cittadini. La casa venne poi ricostruita ed è ora sede del Museo Etnografico.
E proprio il rapporto con il passato comunista mostra non poche contraddizioni. Da un lato il tentativo di ignorare completamente il ricordo di quel periodo, dall’altro una sua impossibile cancellazione.
Sono due i luoghi che incarnano questa contrapposizione. Uno è il piccolo tunnel ai piedi del castello che sovrasta la città. Al modico prezzo di 1 euro è possibile visitare questo spazio trasformato in museo con oggetti del periodo comunista, specialmente quello della lotta di liberazione dagli occupanti nazi-fascisti, e un video che ripropone a loop un telegiornale dell’epoca che propagandava la riforma agraria attuata dopo la guerra.
L’altro luogo è il castello cittadino, il più grande di tutta l’Albania. Una targa al suo ingresso recita:
Noi non dimentichiamo! In memoria dei martiri anticomunisti che sono stati arrestati, puniti, torturati, giustiziati, morti a seguito delle torture e scomparsi nella prigione del castello di Argirocastro, una delle più famose prigioni della dittatura comunista: la “Prigione delle sette finestre” (1944-1970). Qui è stata eliminata la maggior parte dell’élite nazionale. Onore eterno alla loro resistenza e al loro sublime sacrificio.
Da questo benvenuto ci si aspetta che il resto del castello sia dedicato al ricordo dei prigionieri anticomunisti. E invece l’area museale è in gran parte dedicata alla lotta partigiana e a quella antimperialista del periodo comunista.
Dopo un lungo corridoio in cui sono conservati cannoni e mortai della Seconda guerra mondiale, un’enorme statua dedicata ai partigiani sovrasta una sala in cui è presente anche un carro armato sottratto alle truppe italiane. Non solo, nel primo spiazzo esterno, da cui è possibile vedere tutta la città e la vallata circostante, è conservato un aereo statunitense sulla cui storia circolano due versioni: abbattuto dalla contraerea albanese nel 1957 secondo le autorità comuniste, atterrato a Tirana a seguito di un’avaria secondo gli Stati Uniti.
La presenza islamica
Proprio ai piedi del castello si erge una piccola moschea e la relativa madrasa, tra le poche testimonianze della presenza islamica in questa parte del paese. Pur essendo la maggior parte della popolazione di fede musulmana, qui l’Islam viene vissuto in maniera distaccata e molto poco praticante. Una fede che sembra tenuta sullo sfondo in una società che prova sempre di più a mimare il modello di vita occidentale, con una sorta di ammirazione per le libertà negate dall’Islam. Poco importa se la libertà di possedere una Mercedes o poter bere alcolici faccia il paio con quella di emigrare da un paese che offre pochissime opportunità.
Poco prima delle cinque del pomeriggio, orario di preghiera, le uniche presenze all’interno della moschea sono quattro turisti e il muezzin che fa notare come l’unica donna presente si trovi in un’area dedicata ai soli uomini. Nonostante le maniere estremamente gentili, tutto ciò avviene senza che il muezzin rivolga la parola alla donna ma solo a suo marito. All’uscita, una donna il cui unico compito sembra essere quello di far togliere le scarpe ai fedeli regala copie gratuite in lingua italiana del Corano.
Quella islamica non è però l’unica influenza rintracciabile in questa parte di Albania. La vicinanza, storica e geografica, con la Grecia è ben visibile. Una sede consolare greca è presente nella piazza principale della città, i cartelli stradali della regione utilizzano anche il greco e il cibo ricorda molto quello tipico oltre confine. Un formaggio del tutto simile alla feta accompagna praticamente tutti i piatti mentre l’influenza turca a tavola si manifesta in una sarma, priva però del tutto della carne che solitamente la caratterizza.
Questa non è Ibiza
Dopo una doverosa sosta all’Occhio Blu, spettacolare riserva naturale in cui è possibile ammirare anche un torrente dai colori straordinari (consiglio spassionato: non tentate di fare il bagno, una solerte guardia forestale coadiuvata da un drone vi daranno la caccia per tutta la riserva), si giunge in quella parte di Albania che viene presentata come la zona del divertimento e delle spiagge più belle.
Se siete alla ricerca di località assaltate da turisti, di lidi con le capanne col tetto in paglia, con le tendine trasparenti a coprire i lettini, di musica dance sparata al massimo, siete nel posto giusto per voi. Se tutto ciò invece non vi appassiona, allora sarete costretti a inventarvi qualcosa di alternativo per divertirvi.
Località come Saranda e Ksamil, così come Dhermi poco più a nord, non sono altro che l’emblema di un capitalismo rapace che fa della turistificazione il proprio modus operandi. Tutto è rivolto solo ed esclusivamente ai turisti, non esiste nessun sito di particolare interesse, le uniche strutture esistenti sono alberghi o bar con prezzi ormai allineati a quelli del sud Italia.
A dimostrazione di come l’identità di questi posti non rispecchi del tutto quella del resto del paese, risulta piuttosto difficile trovare un locale in cui bere un bicchierino di raki, la grappa tradizionale. Molto più facile invece trovare il proprietario che fuma alla cassa, dentro il locale a due passi dal bancone del cibo, o i sacchetti di plastica indistruttibile in cui infilare kg di roba senza la paura che si rompa da un momento all’altro.
Le cosiddette “Maldive d’Europa”, come viene chiamata Ksamil, consistono in chilometri di costa completamente privatizzata, con le uniche spiagge libere che si riducono a piccoli recinti posti negli angoli in cui l’acqua è più sporca. Un confusionario sviluppo edilizio rovina in più punti la vista dell’incontro tra la costa e l’isola di Corfù, distante meno di 5 chilometri. Il tutto contornato da una quantità sproporzionata di posti di blocco della polizia che sfida in numero gli autolavaggi.
La spiaggia di Gjipe
La situazione migliora leggermente tornando verso nord, dove l’afflusso di turisti stranieri si fa meno consistente e dove è più facile trovare locals a cui strappare qualche suggerimento.
Un luogo che vale assolutamente la pena visitare è la spiaggia di Gjipe. Incastonata in fondo a un canyon, si può raggiungere solo dopo una mezz’oretta a piedi (sconsigliato l’uso di sandali) o con fuoristrada 4×4 che in zona sembrano avere solo un gruppo di kosovari. Il paesaggio è da togliere il fiato: da un lato la roccia rossa da cui spuntano numerosi bunker militari voluti da Hoxha, dall’altro la vista del mare che si confonde con il cielo e in lontananza l’isola greca di Corfù. Una volta arrivati a destinazione, i pochi ombrelloni in affitto non disturbano la vivibilità della spiaggia mentre a poca distanza è possibile percorrere un tratto del torrente che attraversa il canyon.
Tra molteplici identità e luoghi sospesi
Un viaggio on the road in Albania è sicuramente un’ottima occasione per cominciare a conoscere un luogo dove le cose si mischiano e sembrano restare in sospeso. Un luogo dove l’Est e l’Ovest si incontrano senza che nessuno riesca a prendere il sopravvento, dove in pochi chilometri la montagna lascia spazio al mare, dove l’eredità del lungo periodo comunista si scontra con un neoliberismo senza freni, dove il divenire della Storia e l’immutabile non sono altro che due facce della stessa medaglia.
Parlando con i locals e osservando alcune dinamiche, sicuramente influenzate dall’essere turisti italiani in vacanza, sembra di respirare una costante ricerca di identità che si presenta però spesso in maniera confusa, in cui il tentativo di rivendicare orgogliosamente la propria “albanesità” si intreccia con l’imitazione acritica di altri modelli, contribuendo a creare un’aria di continua attesa. Un’attesa in cui tradizione e modernità convivono, creando un’alchimia non sempre chiara.
Viaggiare in questa parte di Albania è sicuramente un ottimo modo per scardinare alcune categorie, rimescolare convinzioni e aspettative in una realtà multiforme. E anche semplicemente per farsi qualche bagno o rilassarsi in riva a un fiume.
* si ringrazia il giornalista Guglielmo Sano per il contributo fornito alla stesura di questo articolo, in termini di esperienze e riflessioni.
Dottore di ricerca in Studi internazionali e giornalista, ha collaborato con diverse testate tra cui East Journal e Nena News Agency occupandosi di attualità nell’area balcanica. Coautore dei libri “Capire i Balcani Occidentali” e “Capire la Rotta Balcanica”, editi da Bottega Errante Editore. Vice-presidente di Meridiano 13 APS.