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Se si dovesse dire così, su due piedi, per cosa è famosa la Macedonia del Nord, si potrebbe menzionare l’ajvar, la rakija, Madre Teresa o al massimo Goran Pandev. Difficilmente verrebbe in mente l’oppio macedone. Eppure, stando ai dati a disposizione, si tratta del migliore al mondo.
Il simbolo araldico della Macedonia del Nord, succeduto all’emblema della Repubblica Socialista di Macedonia, è praticamente uguale al suo predecessore. In esso si possono scorgere alcuni tra i simboli dell’identità macedone: il sorgere del sole alle spalle della catena montuosa di Šar, i flutti del lago di Ocrida. A incorniciare il tutto è rappresentata una striscia di tessuto con i ricami tradizionali macedoni, due simmetriche spighe di frumento, foglie di tabacco e… quattro frutti di papavero stilizzati.
A riprova che non si tratti di un equivoco basta analizzare una comunissima banconota da cinquecento dinari macedoni, equivalenti a poco più di otto euro. Sul suo retro, evidente e senza margini di errore, spicca proprio un fiore di papavero rosso.
Ma come sono finiti questo fiore e i suoi frutti rispettivamente sulle banconote e sullo stemma della Macedonia del Nord?
Una tradizione antica
Secondo Vladan Jovanović, autore dello studioL’oppio macedone 1918-1941: le dimensioni finanziare e politiche del fenomeno, la prima pianta di papavero venne piantata nel 1835 nei pressi di Štip, quando ancora il territorio era sotto il dominio dell’Impero ottomano. Il clima favorevole e il terreno calcareo e sabbioso delle valli del Vardar e della Struma offrirono le condizioni ideali per una rapida diffusione della pianta, che nel giro di breve tempo si espanse a una quarantina di municipalità in tutta la Macedonia. Tra queste, quelle a ricavarne i risultati migliori furono Kavadarci, Strumica e Veles.
A rendere la coltivazione del papavero particolarmente redditizia non era unicamente l’adeguatezza del clima e la relativa facilità di coltura, ma anche la sua qualità: il papavero macedone poteva vantare il più alto contenuto di morfina al mondo, compreso tra il 14 e il 16 per cento del prodotto. Per fare un paragone l’oppio cinese, uno dei migliori sul mercato, poteva vantare una percentuale di morfina al suo interno di 3-5 punti percentuali.
Fu così che nel giro di breve tempo l’oppio macedone guadagnò prestigio e riuscì a imporsi a livello internazionale. Si stima che nel 1880 la Macedonia producesse quasi il 30% dell’oppio coltivato in tutto l’Impero ottomano, per un ammontare annuo di circa 70 tonnellate di prodotto nella sola valle del Vardar.
Difficile pensare che una produzione talmente massiccia non entrasse a far parte della cultura macedone. Per esempio, fino alla metà del secolo scorso in Macedonia era usuale accantonare un discreto quantitativo di oppio da dare alle figlie come dote. Questa bizzarra tradizione è legata a un utilizzo insospettabile che si faceva dei frutti del papavero: in un territorio spesso soggetto a conflitti e guerre che facevano oscillare anche di molto il valore del denaro, “l’oro nero macedone” – come vengono popolarmente definiti i semi dell’oppio macedone, a causa del loro tipico colore scuro – costituiva una valuta stabile e affidabile alla quale ricorrere in caso di emergenza.
Al di là del suo utilizzo prettamente economico, l’oppio macedone entrò nella cultura popolare anche nella preparazione di oli e, ovviamente, in ambito culinario. Ancora oggi c’è chi coltiva nel proprio giardino di casa qualche papavero per preparare dolci, torte e addirittura spezie. È il caso del k’cana sol, un tipo di spezia che nella sua variante all’oppio prevede la tostatura dei semi a 100 gradi per 30 minuti, che vengono successivamente macinati e uniti al sale.
Prima e seconda Jugoslavia
La produzione di papavero non si arrestò dopo la ritirata dell’Impero ottomano dalla penisola balcanica. Nel 1927 la Macedonia produceva il 95% dell’oppio jugoslavo, che da solo soddisfaceva un impressionante 43% del fabbisogno internazionale. In seguito a questo picco, la superficie agricola destinata a questa pianta iniziò gradualmente a decrescere.
Tale inversione di tendenza fu dovuta a tre fattori in particolare: la diffusione di malattie del papavero e di un clima avverso per svariati anni consecutivi, che ne ridussero notevolmente la produttività; la Convenzione di Ginevra del 1928, che sancì una stretta internazionale alla produzione e al commercio dell’oppio a livello globale; e il conseguente crollo del suo prezzo negli anni Trenta. Come risultato, nel solo biennio 1930-1931 gli ettari destinati a questo tipo di coltivazione in Jugoslavia si ridussero di tre volte.
Nonostante ciò, la qualità e l’importanza dell’oppio macedone furono la leva principale che portò nel 1936 alla costituzione dell’azienda farmaceutica Alkaloid, colosso del settore tuttora con sede a Skopje. Oltre a questo lodevole servizio, il papavero macedone portò però anche a conseguenze un po’ meno nobili e più opache. Infatti, è stato recentemente provato che i proventi illeciti del traffico di oppio andarono a finanziare svariati attori e associazioni a dir poco discutibili. Tra questi, tanto per citarne uno, l’Organizzazione rivoluzionaria interna macedone (Vmro), il movimento terrorista che, nel 1934, di comune accordo con gli ustascia croati di Ante Pavelić, si rese corresponsabile dell’assassinio del re Aleksandar I di Jugoslavia a Marsiglia, in quello che viene considerato essere il primo regicidio filmato della storia.
Con l’avvento della seconda Jugoslavia la Macedonia rimase l’unica repubblica della federazione a perseverare nella produzione di oppio, con risultati via via più modesti. Anche questo ulteriore calo di produttività fu dovuto all’intreccio di molteplici fattori. Sicuramente contarono le restrizioni imposte dalle nuove autorità, che mal digerivano gli utilizzi ludici e le vere e proprie dipendenze causate dagli oppiacei. Questo non impedì, tuttavia, alla ricerca jugoslava di incrociare varie qualità di oppio a fini scientifici: fu proprio dai laboratori macedoni che uscì la varietà di oppio che, secondo un rapporto della CIA risalente al 1949, aveva il contenuto di morfina più alto al mondo, pari al 21,62%.
In secondo luogo, nella decrescita della superficie agraria destinata all’oppio macedone contribuirono i cattivi racconti del 1949, le condizioni climatiche avverse e l’aumento dei prezzi degli altri prodotti agricoli, che resero la coltivazione del papavero meno attraente. La Jugoslavia aveva appena vissuto la rottura tra Tito e Stalin, ma nonostante ciò il settore agricolo stava attraversando proprio in quegli anni i contraccolpi più negativi, dovuti proprio all’emulazione dogmatica e pedissequa della politica di collettivizzazione forzata delle campagne. In questo contesto di profonda crisi ideologica e materiale, la coltivazione del papavero ne risultò inevitabilmente sacrificata.
L’oppio macedone oggi
La produzione dell’oppio macedone praticamente scomparse a seguito del collasso della Jugoslavia. Fu ancora una volta l’azienda farmaceutica Alkaloid a rivitalizzare questo settore, organizzando la coltivazione di oppio insieme ad agricoltori medio-piccoli e fornendo loro le varietà di semi da piantare. In questo modo la superficie coltivata raggiunse il record di 180 ettari nel 2012, per scendere a 90 nel 2016: nulla in confronto ai 5mila ettari del 1955, ma comunque sufficienti a soddisfare il 30% del fabbisogno interno della Macedonia del Nord. Una percentuale che il ministero dell’Agricoltura si è imposto di accrescere, in modo da ridurre l’importazione dall’estero dei suoi derivati.
Di recente si è assistito a un rinnovato interesse da parte del mondo imprenditoriale nei confronti di questo prodotto. È il caso, per esempio, di Aleksandar Dimitrievski, un giovane imprenditore macedone che ha deciso di investire nel seme di papavero per la produzione di prodotti farmaceutici. “I valori nutrizionali dei semi di papavero inalterati sono affascinanti e rivoluzionari”, ha affermato ai microfoni di OBCT, e “trovano applicazione nella dieta moderna”. Secondo Dimitrievski gran parte del territorio coltivabile macedone è adatto a questa coltura e le ricadute socio-economiche di una produzione su larga scala sarebbero importanti.
Per un paese che fatica a farsi largo sul mercato globale, si tratterebbe di un’eccellenza da tenere in debita considerazione.
Mosso da un sincero interesse per la storia e la cultura della penisola balcanica, si è laureato in Studi Internazionali all’Università di Trento, per poi specializzarsi in Studi sull’Europa dell’Est all’Università di Bologna. Ha vissuto in Romania, Croazia e Bosnia ed Erzegovina, studiando e impegnandosi in attività di volontariato. Tra il 2021 e il 2022 ha scritto per Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa. Attualmente risiede in Macedonia del Nord, dove lavora presso l’ufficio di ALDA Skopje.