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Quattro secondi. Tanti ne mancano alla fine della partita. È il 30 luglio 1980 e alla Sokolniki Arena di Mosca si sta giocando la finale del torneo olimpico di pallamano. Di fronte ci sono la Germania Est e i padroni di casa dell’Unione Sovietica. I tedeschi sono avanti 23-22 e dopo aver perso la possibilità di chiudere la partita attendono. I sovietici lanciano e dietro la linea di difesa della DDR spunta l’ala di origine bielorussa Aljaksandr Karšakevič. Pallone afferrato al volo e tiro in tuffo. Sembra gol ma Wieland Schmidt, portiere del Magdeburgo devia in qualche modo con l’avambraccio. L’urlo degli spettatori è strozzato. Non è gol.
Wieland afferra la palla, la mostra urlando e poi la scaglia rabbiosa in tribuna. Da quel momento lui sarà Der Phantom, “il fantasma”, perché nessuno ha mai capito come avesse fatto a evitare la rete. La Germania Est è campione olimpica. È la prima volta per la nazionale dello “Stato degli operai e dei contadini”, la seconda (e ultima) per una rappresentativa tedesca, dopo quella di Berlino 1936, quando lo sport di squadra preferito da Adolf Hitler aveva debuttato nel programma a cinque cerchi. Era però un’altra Germania, ma soprattutto un’altra pallamano. Si giocava all’aperto e soprattutto undici contro undici, mentre a Mosca si giocava in palestra e sette contro sette (nel video sotto a 1h 24m).
Sotto la guida di Paul Tiedemann
Una vittoria, quella DDR che ha un “padre”. Si chiama Paul Tiedemann, ha 55 anni ed è il ct della Nazionale, l’uomo che nell’immediato post-partita, tra i visi disperati degli sconfitti, viene lanciato in aria. È nato a Sudnicken, l’odierna Pirogovo, nell’allora Prussia Orientale, parte del Terzo Reich. Con l’avanzata dell’Armata Rossa la sua famiglia fugge verso Ovest a Radenburg, vicino a Dresda, in quella che poi sarebbe diventata la Germania Est. Gioca sia a calcio che a Feldhandball, la pallamano all’aperto e ha un altro talento: è un ottimo studente.
Quando entra alla Deutsche Hochschule für Körperkultur (DHfK) di Lipsia, uno dei migliori istituti di educazione fisica del paese, Paul si unisce alla squadra di pallamano dell’università. Sarà l’unica maglia di club che indosserà, togliendosi la soddisfazione di vincere la Coppa dei Campioni 1966, da capitano. Accanto alla carriera con la squadra che ancora oggi milita nella Bundesliga di pallamano, Tiedemann diventa una colonna della nazionale, sia quella “unificata” con la Repubblica Federale sia quelle della DDR. Con quest’ultima nel 1963 conquista il titolo mondiale all’aperto, battendo in finale proprio i “cugini” della BRD.
A 30 anni, con una interessante carriera da docente già alle spalle, diventa allenatore. Nel 1971 è al fianco del ct della nazionale Heinz Seiler, che peraltro era stato il suo tecnico da giocatore. È una squadra forte, quella della DDR degli anni Settanta. Quarto posto a Monaco 1972, quando la pallamano era tornata ai Giochi e un argento ai Mondiali ’74 giocati in casa. Nel 1976 arriva a 41 anni la chiamata da capoallenatore. È un momento nero per la Nazionale della DDR, che ha appena perso il pass per i Giochi di Montreal. E a toglierglielo era stata la Germania Ovest dello jugoslavo di Zagabria Vlado Stenzel al termine di un doppio spareggio drammatico, tra astuzie (la Repubblica Federale fece giocare l’andata su un campo di feltro) e un epilogo amarissimo con un tiro da 7 metri, l’equivalente del rigore del calcio, tirato da Hans Engel e parato a pochi secondi dalla fine dal portiere della BRD Manfred Hoffmann.
Wolfgang Böhme da fuoriclasse a “non persona”
Tiedemann ricostruisce una squadra che nel 1978 arriva terza ai Mondiali in Danimarca, vinti dai cugini dell’Ovest. Il capitano di quella squadra e una delle sue stelle è Wolfgang Böhme. Ha 29 anni ed è considerato un fuoriclasse. È il leader tecnico, l’uomo ideale per guidare la Nazionale a Mosca 1980. In Unione Sovietica Wolfgang, che ha disputato 192 partite con la DDR-Nationalmannschaft, però non ci giocherà mai. A pochi mesi dai Giochi, a cui la DDR si sta preparando in maniera rigorosissima, Böhme viene escluso dalla selezione nazionale e poi dal suo club l’Empor Rostock.
Su di lui le autorità della Repubblica Democratica Tedesca decretano il silenzio mediatico. È diventato una Unperson, una “non persona”. I giornali hanno l’ordine di non scrivere più di lui e addirittura le sue immagini spariscono dall’archivio di Deutsches Sportecho, il quotidiano del Comitato Olimpico della DDR. Sulle ragioni di questa esclusione, che porterà Böhme nel tunnel dell’alcolismo da cui uscirà solo negli anni Novanta, ci sono ancora oggi diverse teorie. Secondo alcuni il pallamanista, che anni dopo dichiarerà di aver assunto dal 1969 l’Oral Turinabol, sarebbe stato escluso per colpa di una lettera scritta alla sua allora moglie, la slittinista Ute Rührold, argento nel singolo ai Giochi di Sapporo e Innsbruck, dove minacciava che sarebbe rimasto in Danimarca durante una delle sue trasferte.
Secondo altri la Ausdelegierung sarebbe stata legata a un possibile contrabbando di merci occidentali o ancora ad alcuni atteggiamenti di Böhme. Per esempio ai Mondiali del 1978, alla vigilia della finale il capitano della DDR aveva spiegato ai colleghi della Germania Ovest le tattiche per battere l’Unione Sovietica. In 512 pagine di dossier della Stasi però non c’è nulla. L’unica cosa che rimane è che Böhme vede quelle Olimpiadi da casa, tra lacrime e birre.
La fase finale e il miracolo di Mosca
Giochi, articolati su due gironi da sei squadre, con le prime di ogni raggruppamento che si vanno a giocare l’oro e le seconde il bronzo. C’è il meglio della pallamano mondiale del momento, con un’eccezione: la Germania Ovest. A causa del boicottaggio degli alleati degli Stati Uniti i tedeschi occidentali non partecipano, neppure sotto la bandiera del CIO come Spagna e Danimarca. Il percorso della Nazionale della DDR è quasi netto. Quattro vittorie, tra cui quella di misura contro la Polonia di Jerzy Klempel, il capocannoniere del torneo e un pareggio. Un 14-14 contro l’Ungheria che costringe la squadra di Tiedemann a non poter sbagliare più un colpo fino alla finale, giocata punto a punto contro i sovietici.
Un incontro, terminato in perfetta parità all’intervallo (10-10) e al termine dei regolamentari, con il pareggio dell’Urss arrivato solo a 22 secondi dalla fine. E poi i supplementari chiusi con la parata “fantasma” di Wieland Schmidt. È un trionfo che ha un significato particolare per Hans-Georg Beyer, l’uomo che ha realizzato la rete del 23-21 per la DDR. Con lui festeggia suo fratello Udo, argento nel lancio del peso in quell’edizione dei Giochi. Una selezione tedesca – occidentale, orientale o riunificata – non vincerà più un oro olimpico. Nonostante l’unicità di quel trionfo, l’unico nella pallamano indoor per la Germania, i 14 giocatori della Nazionale della DDR non sono mai entrati nella Hall of Fame dello sport tedesco. Una mancanza che per molti appassionati è un delitto sportivo.
Classe 1984, nato a Sesto San Giovanni quando era ancora la Stalingrado d’Italia. Germanocentrico, ama la Spagna, il Sudamerica e la Mitteleuropa. Collabora con Avvenire e coordina la rivista Cafè Rimet. È autore dei volumi “C’era una volta l’Est. Storie di calcio dalla Germania orientale”, “Rivoluzionari in campo” e coautore di “Non solo Puskas” e “Quattro a tre”.