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In generale la presenza degli stranieri in Ucraina sarebbe un tema a parte che darebbe luogo a una lunga chiacchierata. Mi limiterò qui solo ad alcuni italiani, in primo luogo per il mio amore verso tutto ciò che è italiano, ma anche perché per tutti gli italiani l’Ucraina potrebbe essere una madre.
Classe 1960, lo scrittore ucraino Jurij Andruchovyč è nato e vive a Ivano-Frankivs’k, città dell’Ucraina occidentale. Membro del gruppo letterario ucraino Bu-Ba-Bu – “burlesque, pagliacciata, buffoneria” – fondato a L’viv nel 1985, Andruchovyč esordisce come poeta, passando solo successivamente alla prosa e alla saggistica, dove riesce a esprimere il meglio di sé. Autore di una trilogia di romanzi usciti nella prima metà degli anni Novanta in Ucraina, Ricreazioni (inedito in italiano), Moscoviade (pubblicato da Besa Muci nella traduzione di Lorenzo Pompeo, 2003) e, infine, Perversione (pubblicato da Del Vecchio Editore, sempre nella traduzione di Pompeo, 2023), Andruchovyč è tra i maggiori esponenti di questo movimento letterario che divulga una rappresentazione carnevalesca della società contemporanea e, soprattutto, di quel periodo di transizione da stato totalitario a Ucraina indipendente. Si colloca tra gli artefici di un percorso artistico che non si ferma alla pura narrazione tradizionale, ma che vuole essere una critica incisiva sia dell’oppressione imperialista russo-sovietica, sia delle forme tradizionali dell’iconografia nazionalista ucraina di epoca coloniale. Lo sviluppo del postmodernismo ucraino, dove possiamo liberamente collocare l’autore, ha origine proprio al fine di decostruire l’eredità sovietica del nuovo stato indipendente.
Indubbiamente le tre opere di prosa citate sono legate da un filo rosso comune, come spiega lo studioso Marco Puleri in Narrazioni ibride post-sovietiche. Se nel primo romanzo Ricreazioni Andruchovyč critica la condizione degli intellettuali ucraini coloniali e della società in generale alla vigilia dell’indipendenza, in Moscoviade prevale un duro atto d’accusa contro il colonialismo sovietico, che si trasforma poi nella scoperta della posizione che occupa un intellettuale ucraino postcoloniale nella cultura globale in Perversione.
In Ricreazioni, Andruchovyč non si limita a testimoniare il declino e la caduta dell’impero, ma ne esplora la sua natura ibrida e contraddittoria. Un tema che continua nell’opera successiva, Moscoviade, in cui un giovane poeta ucraino (protagonista del romanzo) osserva il decadimento della capitale sovietica (Mosca) alle soglie della caduta dell’Urss. È con Perversione, però, che l’autore riesce a dare un ritratto completo delle tensioni artistiche che imperversano all’interno del mondo culturale e letterario ucraino, caratterizzato in quegli anni dalla prima generazione di autori ucraini post-sovietici. In questo romanzo, egli punta i riflettori sul ruolo della cultura ucraina nel mondo e sceglie come “interlocutore” un intellettuale che intraprende un viaggio a Venezia, in Italia, per partecipare a un seminario dal titolo a dir poco emblematico – “L’assurdo post-carnavalesco del mondo: cosa c’è all’orizzonte?” – trovando poi la Morte.
Perfec’kyj e la morte a Venezia
E adesso, signore e signori, di nuovo attenzione! Arrivano i versi, dei quali debbo liberarmi. Questa è un’improvvisazione. Posso sbagliarmi di tanto in tanto. Dunque. Perché, dì, Italia, io ti amo così? O Italia, dì, perché ti amo così?
In Perversione, tutto ruota intorno alla scomparsa di Stanislav Perfec’kyj nel Canal Grande di Venezia, che segna l’inizio non solo del romanzo, ma anche di una narrazione catartica. La raffinatezza linguistica dei lunghi testi si spezza per dare improvvisamente vita a sarcasmo, ironia e misticismo esoterico in un groviglio di testimonianze ibride: documenti ufficiali, interviste registrate, appunti sparsi, rapporti di informatori, inviti, libretti di programmi e altri frammenti di origine sconosciuta. La storia del viaggio a Venezia e di quella d’amore del poeta con la sua interprete vengono raccontate da più personaggi contemporaneamente, in un quadro narrativo polifonico, spesso caotico, al limite dell’immaginazione e del grottesco.
L’opera inizia con una prefazione dell’editore (ovvero l’autore stesso) che svela subito tutte le carte in tavola e annuncia la morte di Perfec’kyj: sul davanzale della finestra della sua camera d’albergo, le sue scarpe stanno ordinatamente una accanto all’altra, con le punte rivolte verso il Canal Grande; tuttavia, del corpo non c’è alcuna traccia. L’autore, lo stesso Jurij Andruchovyč a cui Perfec’kyj ha lasciato in eredità tutti i suoi scritti, racconta l’indagine da lui condotta sulla misteriosa scomparsa del poeta ucraino. I materiali recuperati, con al centro l’avventura veneziana, forniscono informazioni su ciò che gli è accaduto durante i suoi sette giorni nella città lagunare, dove ha probabilmente trovato la morte tra la nebbia più fitta.
Per alcuni giorni, nella Venezia altrimenti morta d’inverno, regna un folle baccano in cui i dettami della ragione, della morale e della realtà si confondono. Perfeck’yj scompare in questo contesto, senza lasciare alcuna traccia, il giorno successivo alla chiusura del seminario: annegato, assassinato, scomparso, suicida?
Perfec’kyj si era messo in viaggio dalla Galizia accettando di rappresentare l’Ucraina in un seminario internazionale di attivisti spiritual-culturali appartenenti alla fondazione La morte di Venezia (riferimento assolutamente non casuale) che si terrà alla fine del Carnevale. I temi proposti per il suo intervento sono tra i più disparati: la morte nella cultura ucraina, l’amore erotico e tanatologico ma relativo ai problemi dell’Europa orientale, la visione del femminismo e del maschilismo oppure quella postcomunista.
Dyke pole, il campo selvatico, questa invitante terra incognita del sud e dell’est ucraino attrae con le sue fatali estensioni sempre nuovi pionieri – qualcosa come il selvaggio west americano per cinque o sei secoli. […]. Ovviamente una terra del genere non poteva non attirare numerose ciurme di personaggi pittoreschi da diversi campi e da diversi paesi. I magnati privati del loro feudo e sacerdoti privati della loro diocesi, mendicanti vagabondi esperti in chiromanzia, chiropratici di chiropterofilia, cantori ciechi che avevano assunto la funzione di cantastorie e cronisti, contadini fuggitivi, pasticcioni al di fuori di ogni corporazione, studenti, espulsi per libero pensiero e sodomia, cavalieri di dubbia genealogia e indubbi genitali, truffatori diplomati e bari, predicatori gesuiti, acrobati di colore, re non riconosciuti di stati inesistenti, dotti truffatori, cercatori della pietra filosofale, venditori di fumo, seguaci dei fiori di felce, degustatori del sale della conoscenza segreta, locandieri esperti in scritti caldei, figli della prima comunione, testimoni del secondo avvento, adepti della terza notte, avventisti del quarto giorno, mochimordy, sociniani, ariani, rastafariani, trinitari, antitrinitari, ma soprattutto liberi amanti e cosacchi, cavalieri Džigit e seguaci di Bohun, ubriaconi, tagliagole e angeli della steppa… Nei nostri carnevali si sono conservati dati personali di alcune summenzionate figure.
Uno dei punti di forza del romanzo di Andruchovyč è la produzione operistica postmodernista di Orfeo a Venezia, tra i tanti simboli. Orfeo, profondamente addolorato, vaga per il mondo e incontra a Venezia una donna, che sembra porre fine alle sue sofferenze, proprio come Perfec’kyj. Lo spettacolo, in cui realtà e follia si mescolano inestricabilmente, è diretto da un certo Matthew Kulikov (uno dei più celebri e innovativi registi operistici del mondo contemporaneo) e dovrebbe essere una nuova combinazione di elementi di opere già esistenti, messa in scena con tutti i mezzi teatrali possibili, anche a costo di far esplodere il palco dell’opera. Ma, si chiede il poeta nel suo contributo al seminario del giorno successivo, esiste una realtà?
Certamente non esiste nessuna realtà. Ma esiste solo una illimitata quantità di nostre versioni della medesima, tutte erronee; prese insieme, sono reciprocamente contraddittorie. Ma se vogliamo salvarci, dobbiamo accettare che ognuna di quelle innumerevoli versioni sia vera. E lo avremo già fatto, se non fossimo convinti che la verità debba essere sempre e solo una e si chiami realtà.
La “perversione” di Perfec’kyj
Il titolo, Perversione,non ha nulla a che vedere con il concetto di perversione come lo intendiamo oggi; acquisisce infatti il significato latino del termine, ovvero distorsione, che spiega così l’intreccio tra il reale e il fittizio, la vita e la morte, l’amore e l’odio del protagonista.
L’opera alquanto rocambolesca, che mescola stili e forme diverse di scrittura e lettura (monologhi, ritagli di giornale, appunti, registrazioni e dialoghi caotici), è incentrata sull’idealizzazione del rapporto con l’Europa, rappresentata ironicamente come impreparata e disinteressata nei confronti della realtà ucraina. Eppure, il protagonista, Stanislav Perfec’kyj, continua a idealizzare questa Europa e a ricercarla fra le rovine dell’Impero austro-ungarico, tra i confini immaginari che legano la Galizia ucraina ai canali di Venezia, passando per la Mitteleuropa.
Perversione non è un romanzo che segue un ordine cronologico, è piuttosto concepito come un’enumerazione di situazioni diverse. Oltre alla storia misteriosa e ricca di riferimenti, un’altra caratteristica essenziale del romanzo è la lingua, che nella traduzione si perde inevitabilmente: nel tipico stile del postmodernismo, il testo è pieno di collage, miti e allusioni teatrali.
Fondamentalmente, Perversione non è un testo traducibile, come afferma lo stesso Andruchovyč, perché il romanzo è un’entità linguistica aperta che dovrebbe perciò apparire diversa in qualsiasi altra lingua. Lo stesso autore è rimasto sorpreso dal fatto che la prima traduzione sia uscita in finlandese e senza alcun intervento da parte sua (a causa della sua scarsa conoscenza del finlandese, dice di non essere in grado di giudicarne l’operato). La traduzione italiana, invece, si rivela ben diversa: Lorenzo Pompeo ha già tradotto non solo altre opere ucraine, ma anche il romanzo precedente, Moscoviade, e conosce quindi molto bene il suo autore.
Per altre recensioni e consigli di lettura, leggi qui!
Perversione, Jurij Andruchovyč, traduzione di Lorenzo Pompeo, Del Vecchio Editore, 2023.
Traduttrice e redattrice, la sua passione per l’est è nata ad Astrachan’, alle foci del Volga, grazie all’anno di scambio con Intercultura. Gli studi di slavistica all’Università di Udine e di Tartu l’hanno poi spinta ad approfondire le realtà oltrecortina, in particolare quella russa e quella ucraina. Vive a Kyiv dal 2017, collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso, MicroMega e Valigia Blu. Nel 2022 ha tradotto dall’ucraino il reportage “Mosaico Ucraino” di Olesja Jaremčuk, edito da Bottega Errante.