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“Che la poesia possa vivere e fiorire”. Due antologie di poesia contemporanea

che la poesia possa vivere e fiorire
nei loro paesi e nelle loro lingue.

Andrej Chadanovič

Riferendosi alla letteratura contemporanea in traduzione, è innegabile che oggi ci si ritrovi a dover fare i conti con una vera e propria crisi editoriale. Complice è sicuramente la mancanza di fondi volta a incentivare la pubblicazione di opere tradotte, la quale implica, di conseguenza, l’esistenza di un sistema selettivo.

Si usa spesso sostenere l’infelice assunto che i lettori italiani siano poco inclini a leggere poesia, che nell’editoria le antologie poetiche non trovino la stessa fortuna di cui godono, al contrario, le opere in prosa. In una recente intervista rilasciata per Meridiano 13, Alessandro Achilli, in riferimento alla ricezione della letteratura ucraina in Italia, si interrogava sul perché “nonostante il boom di traduzioni dall’ucraino degli ultimi due anni, la poesia ucraina faccia ancora così fatica a richiamare l’attenzione degli editori”.

Due recenti pubblicazioni dimostrano o, per lo meno, intendono indirettamente dimostrare che si può ricavare uno spazio per la poesia tradotta in Italia. La mancanza di una ricezione della produzione poetica può portare a delle considerazioni errate, come l’idea che nei contesti di partenza la poesia sia subordinata alla prosa. In molti contesti letterari di lingua slava si ha la condizione opposta, è la poesia a svolgere un ruolo di primaria importanza nel tessuto culturale, sia come veicolo di idee che, di conseguenza, come collante sociale.

Un caso specifico è rappresentato, ad esempio, dal panorama ceco, dove è la poesia ad animare la maggior parte delle iniziative di raccoglimento sociale. Ciò accade non solo nella capitale, Praga, ma anche in altri centri urbani più o meno grandi. Questa scena poetica si sviluppa anche nel digitale, dove si assiste a una proliferazione di piattaforme online. Difficile, a tal proposito, proporre in questa sede una stima di tutte quelle organizzazioni culturali o organi editoriali impegnati nella promozione della poesia ceca contemporanea, prodotta tanto da voci ormai affermate dentro e fuori i confini del Paese che da coloro che incalzano i primi passi nel costituire quella che si potrebbe definire in termini della nuovissima generazione poeti.

Questa nuova comunità poetica ha delle sue caratteristiche specifiche se messa a confronto con quella prodotta dalle generazioni precedenti, con le quali continua a costruire un dialogo proficuo. Ad esempio, non è più possibile, proprio in virtù del carattere tentacolare di questa nová vlna poetica, individuare produzioni urbane circoscritte, come l’esistenza di una “poesia praghese” distinta da una “poesia ostraviana”. Un altro aspetto significativo è la propensione della poesia – e, più in generale, della letteratura ceca – a internazionalizzarsi attraverso un’intensa attività di traduzione. Molte sono, a tal proposito, quelle riviste che si occupano di světová literatura, “letteratura mondiale”.

La poesia ceca giunge in Italia solo attraverso riviste specializzate, rare raccolte poetiche – si vuole qui segnalare la recente Fertile solitudine di Viola Fischerová, tradotta da Annalisa Cosentino per i tipi di Fiorenzo Albani Editore – o l’iniziativa di singoli, relegata alla fruizione digitale. Nonostante questi sforzi, la letteratura ceca in Italia è oggi ancora orfana di un’antologia che mostri lo sviluppo della poesia contemporanea e possa predisporre, come si è detto poc’anzi, uno spaccato sull’effettiva produttività di questo ricco contesto letterario.

L’unica e sola antologia propriamente detta è infatti quella pubblicata da Angelo Maria Ripellino nel 1950, riedita una prima volta nel 1981 da e/o e di recente nel 2022 da Marsilio. Tuttavia, questa raccoglie componimenti risalenti alla prima metà del Novecento che veicolano forme o stili oggi non più indagati. L’idea diffusa e sviante, nonché abusata, della Praga magica dovrebbe forse lasciare spazio a una nuova definizione, quella di Praga poetica.

A seguito di questa breve riflessione introduttiva, che non ambisce a esaurirsi in una semplice digressione, occorre porre lo sguardo su due antologie di recente pubblicazione che, al contrario, evidenziano l’attenzione sul contemporaneo e la necessità di traghettare voci poetiche da contesti di lingua slava nel panorama editoriale italiano. Si tratta, tuttavia, di due diversi concetti di “contemporaneità”.

poete polacche contemporanee

Poete polacche contemporanee

Pubblicato da Lithos Editrice nella collana curata da Luigi Marinelli, Poete polacche contemporanee, propone un concetto di contemporaneità che mette in crisi la tradizionale definizione di “contemporaneo”, ovvero inteso come aggettivo volto a identificare una letteratura che “accade” nel momento in cui se ne scrive al riguardo o, in questo caso, nel momento in cui la si traduce. 

Serena Buti, curatrice del volume, nell’introduzione osserva come la presenza di poete che hanno debuttato negli anni Sessanta potrebbe destare qualche perplessità nel lettore. A mettere a tacere ogni possibile dubbio circa il titolo scelto interviene una considerazione centrale:

ad essere contemporanea, più che la poesia in sé, è la ricezione italiana di queste poesie.

Qui risiede un primo elemento importante che sta alla base dell’antologia, ovvero l’idea che la poesia si rinnovi attraverso la traduzione, assumendo una nuova temporalità e, di conseguenza, una nuova funzione nel rapportarsi con il lettore. La letteratura non è dunque “accaduta”, ma si identifica, piuttosto, in un perpetuo “accadimento”.

Soffermando ancora l’attenzione su questioni preliminari, vi è un altro tassello che costituisce argomento di riflessione. Il titolo vuole dichiaratamente essere un rimando all’antologia Poeti polacchi contemporanei, curata nel 1961 da Carlo Verdani. Un rimando che presenta un estro quasi provocativo, volto a mettere in discussione una visione tradizionale, se non tradizionalista, della poesia prodotta da donne e problematizzandone la ricezione “in sordina” nel contesto italiano. Si tratta, in questo caso, di una disparità numerica evidente, una questione tutt’altro che sconosciuta e che trova spesso spazio nel dibattito contemporaneo circa la storia della letteratura e gli studi genere.

Riprendendo ancora una volta le parole di Buti:

una diretta conseguenza della rappresentazione in poesia di queste esperienze ‘diverse’ è stata la messa in questione dell’universalità del punto di riferimento dal quale veniva definita tale ‘diversità’, cioè il punto di vista maschile.

Tuttavia, non è uno sterile ribaltamento quello a cui giunge la curatrice, ma un tentativo riuscito di creare uno spazio vivo che incentiva l’apertura a una interpretazione basata su codici diversi, padroneggiati da chi, in traduzione, può finalmente fruire di questi testi poetici. A chiudere la nota introduttiva vi è una considerazione che, prendendo piede dai versi di Szymborska, riecheggia le considerazioni che aprono questa recensione: 

Parlando di autrici, poi, è cosa nota che le poete costituiscano una ristretta minoranza, mentre le scrittrici di prosa sono ben più affermate nel mercato editoriale e sono amate e lette da milioni di persone, in particolare dalle lettrici. Forse a maggior ragione, allora, vale la pena di cimentarsi nella lettura di ciò che scrivono le appartenenti a questa minoranza.

L’antologia è costituita cinque poete polacche, Urszula Kozioł, Ewa Lipska, Julia Fiedorczuk, Krystyna Dąbrowska e Małgorzata Lebda. Ciascuna poeta è introdotta da una nota biografica, dove vengono forniti gli elementi necessari a destreggiarsi nella selezione di componimenti proposta. Le venticinque poesie raccolte, cinque per ogni poeta, sono qui presentate con testo a fronte. Altrettanto significativa è anche la scelta di inserire alcune testimonianze di cinque poete italiane che, quasi come a fare da contrappeso, sulla loro personale ricezione di alcuni versi di Szymborska.

il mondo è finito poesia

Il mondo è finito e noi invece no. Antologia di poesia bielorussa del XXI secolo

Nella raccolta Il mondo è finito e noi invece no. Antologia di poesia bielorussa del XXI secolo il concetto di “contemporaneo” è rispettato nel suo significato tradizionale. La contemporaneità con cui si cimentano le curatrici e i curatori del volume, d’altra parte, si sviluppa secondo delle dinamiche differenti. Si vuole qui iniziare con un assunto molto semplice, ovvero che la risonanza della letteratura bielorussa in Italia è nettamente inferiore a quelle di altre realtà.

Vale la pena rimarcare il fatto che la stessa Belarus’, fatta eccezione per la “breve” attenzione mediatica di cui ha goduto durante le proteste del 2020, viene spesso espunta dallo sguardo, anche da parte di coloro che solitamente si rivolgono ad “est”. Risuonano qui efficaci le parole di Claudia Bettiol: “si finisce così per dimenticare altre realtà dell’est, tutt’altro che apatiche, protagoniste di movimenti dal basso che passano in secondo o terzo piano nel momento in cui l’attenzione internazionale si sposta altrove: è il caso esemplificativo della Repubblica di Belarus’.”

La letteratura bielorussa tradotta in Italia presenta comunque un corpus rilevante, come ricordato in sede d’introduzione da Ulyana Veryna. Tra le pubblicazioni menzionate, ci si limita a ricordare Terra sorella, la raccolta di Dmitrij Strocev tradotta nel 2021 da Giulia De Florio. Sia Strocev che De Florio sono parte dell’officina di coloro che hanno collaborato all’edizione, in cui figurano anche Alessandro Achilli, Maya Halavanava e Massimo Maurizio.

Nell’introduzione Eppure, esistere Veryna muove dalla consonanza tra le parole bielorusse che significano dimensione (vymjarenne) ed estinzione (vymjaranne) evidenziata in alcuni versi di Hanna Yankuta per delineare il carattere esistenziale della cultura bielorussa. Riflettendo sul titolo, citazione di un verso di Vol’ha Zlotnikava, si riflette su come la periodizzazione della storia bielorussa non sia scandita da avvenimenti positivi ma, piuttosto, da momenti di crisi.

Le parole di Veryna descrivono un popolo in cui sofferenza e subordinazione sono condizioni naturali:

I molteplici periodi di crisi, la minaccia costante di sparizione mi hanno portata a proporre un parallelismo tra la storia della poesia di Hanna Yankuta e il destino nazionale del mio Paese: da un’estinzione all’altra, da una catastrofe a quella successiva.

p. 17

Quasi a porsi in contrasto alla visione di un popolo che silenziosamente sopporta le sfide della Storia, Il mondo è finito e noi invece no convoglia un insieme di voci che mostrano la produttività del contesto poetico bielorusso contemporaneo.

A colpire è la complessità linguistica di questa coralità di voci, determinata una “crisi linguistica” che Veryna valuta in termini di un vettore fondamentale della poesia bielorussa contemporanea. Nella raccolta sono tradotte poesie dal bielorusso, russo, ucraino e yiddish: un ventaglio linguistico che ha richiesto quell’officina traduttiva a cui si faceva riferimento poc’anzi. Questo mosaico “contemporaneo” di lingue che animano il contesto della Belarus’ è in realtà una misera eredità del secolo scorso, si tratta di un “plurilinguismo [che] rispecchia la situazione reale della letteratura bielorussa contemporanea, nella quale non molto è rimasto della multiculturalità delle epoche passate”.

Si tratta di un plurilinguismo che porta anche a dinamiche conflittuali nel caso di una singola voce poetica. Spesso si ha a che fare con episodi di bilinguismo in cui, ancora più spesso, si manifesta la complessa convivenza tra bielorusso e russo. Tale conflitto linguistico si rivolge sul piano dell’identità, uno dei temi fondamentali della poesia bielorussa. A tal proposito, si può citare nella poesia Belorusskaja meditacija (Meditazione bielorussa), pubblicata da Dmitrij Strocev nella raccolta Ulej (L’alveare), inedita in italiano, dove il drakon (“drago” in russo) occupa il medesimo spazio poetico dello cmok (“drago” in bielorusso). 

Sebbene sia complesso avere uno sguardo d’insieme dei temi che emergono nei componimenti proposti nell’antologia, è possibile identificare il ricorrere di alcuni di questi. Ad esempio, la paura che in Julia Cimafieva è “una reliquia di famiglia”, in Sveta Ben’ è “rupestre”, mentre secondo Tania Skarynkina convive con la speranza. Alla paura si affianca poi il concetto di dolore che in Halina Dubianieckaja è qualcosa che lo sguardo dovrà attraversare per raggiungere il chiarore, mentre in Hanna Sevjarynec finisce per sopraffare l’io. Un terzo tema è quello della guerra. Vera Burlak ne scrive come di un qualcosa che si è abituati a comprendere:

Capisco i versi sulla guerra,
L’agricoltura, la caccia e la pesca,
E quelli sull’inverno e sull’estate,
La notte e il giorno, il mattino e il tramonto.

Coi versi “nel regno della guerra / i fiori non mancano” Volha Hapeyeva sembra a sua volta ribadire questa dimensione tragicamente “reale” del conflitto. Vladimir Glazov afferma che “è guerra tutto il resto”, mentre per Vol’ha Zlotnikava l’unico “spazio” che sfugge alla guerra è rappresentato dalle tasche dell’infanzia.

Traendo delle conclusioni, le due antologie qui presentate rappresentano un importante traguardo nella diffusione della poesia di lingua slava nel contesto italiano. Sarebbe tuttavia forse improprio parlare, specie in riferimento al discorso iniziale, di esempi “felici”, di “stelle solitarie” in un panorama editoriale sempre più selettivo come quello nostrano. Queste due raccolte dimostrano, al contrario, una questione che si è già detta cruciale, ovvero la volontà di mettere in discussione la falsa credenza secondo cui non ci sia spazio per la poesia, quando questa è invece nitida espressione di una contemporaneità che si fatica a discernere.


Poete polacche contemporanee, a cura di Serena Buti, Lithos, 2024
Il mondo è finito e noi invece no. Antologia della poesia bielorussa del XXI secolo, a cura di Alessandro Achilli, Dmitrij Strocev, Giulia De Florio, Massimo Maurizio, Maya Halavanava, WriteUp, 2024
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Martina Mecco
Martina Mecco

Dottoranda in Studi germanici e slavi presso l’Università La Sapienza di Roma e l’Univerzita Karlova di Praga. I suoi studi si concentrano sulla letteratura e la critica ceca degli anni Venti e Trenta. Cofondatrice del progetto Andergraund Rivista, è anche membro attivo della redazione di Est/ranei.