Come potrai immaginare, questo progetto ha dei costi, quindi puoi sostenerci economicamente con un bonifico alle coordinate che trovi qui di seguito. Ti garantiamo che i tuoi soldi verranno spesi solo per la crescita del progetto, per i costi tecnici e per la realizzazione di approfondimenti sempre più interessanti:
IBAN IT73P0548412500CC0561000940
Banca Civibank
Intestato a Meridiano 13
Puoi anche destinare il tuo 5x1000 a Meridiano 13 APS, inserendo il nostro codice fiscale nella tua dichiarazione dei redditi: 91102180931.
Durante la seconda metà degli anni Settanta, dopo tre decenni di sforzi autogestionari per far uscire il paese dalle macerie della guerra e farlo divenire il paradiso dei lavoratori per antonomasia, l’adolescente medio jugoslavo era con tutta probabilità già giunto alla conclusione che il grosso del lavoro era stato già fatto, che lo slancio patriottico e rivoluzionario era ormai scemato. Dunque, non partecipava più come un tempo alle brigate di lavoro giovanili, né prendeva troppo sul serio i dogmatismi del Partito. Lo studio, a scuola, del marxismo e dell’autogestione socialista era un peso, una materia da prendere con una serietà che era impossibile trovare. Inoltre, chi all’epoca era adolescente non aveva conosciuto gli orrori della guerra o le difficoltà del dopoguerra; per lui, oltretutto, lo schlager o la costante imitazione della musica sanremese erano noiosi e superati.
Già alla fine degli anni Sessanta in Jugoslavia il rock occidentale aveva iniziato a farsi strada, tant’è che nel 1966, a Belgrado, era stata fondata la prima rivista ufficiale dedicata a quel genere di musica nel paese, Džuboks (trascrizione di jukebox). Tuttavia, solo nel 1974, con la fondazione del gruppo sarajevese Bijelo Dugme (“Bottone bianco”), si assisté alla vera svolta nella storia della musica rock jugoslava. La produzione di questa band è innovativa e qualitativamente eccellente per gli standard locali, ispirata ad artisti come gli Who o ai Led Zeppelin. I testi, però, che parlano di amore e tematiche, tutto sommato, futili, sono ancora troppo “da pastori” (come li definì il critico musicale zagabrese Dražen Vrdoljak nel 1974) e non contengono nulla del sentimento di ribellione giovanile che si sta facendo strada tra le nuove generazioni, soprattutto con la nascita del punk inglese.
Si immagini ora l’adolescente jugoslavo, magari un abitante di una delle grandi città, appena tornato da scuola con un singolo di un gruppo lubianese dal nome aggressivo, Pankrti (“I bastardi”). La copertina presenta uno sfondo bianco e una scritta: “Lepi in prazni” (“Belli e vuoti”). Sul retro, una cartolina in bianco e nero della capitale slovena con scritto: “Lublana je bulana”, che nello sloveno informale della capitale significa “Lubiana è malata”.
Sulla musica slovena, leggi anche il nostro articolo sui Laibach e ascolta la nostra playlist!
Il giovane entra in camera sua dopo aver salutato i genitori, ripone il vinile sul giradischi e, prima di posare la puntina, si infila le cuffie e si stende sul proprio letto. Quel che sta per sentire questo immaginario studente rappresenta una storica svolta non solo nella musica, ma nella cultura jugoslava in generale.
Un incalzante riff di chitarra apre il singolo, per poi essere completamente travolto da un’energica esplosione di batteria. Sopraggiunge poi la voce del cantante, Pero Lovšin. Senza grazia, quasi urlando, e forse con qualche stonatura, Lovšin già con le prime parole della canzone Lepi in prazni riesce a catturare il giovane jugoslavo medio:
Ni več upanja
Povozil ga je tank
Kva nej drucga počnemo
Kot da šibamo pank?
Ni več upanja
Ni več l(j)udi
Ni več poguma
Smo sami!
Non c’è più speranza
L’ha investita un carro armato
Cos’altro ci resta da fare
A parte suonare il punk?
Non c’è più speranza
Non ci sono più persone
Non c’è più coraggio
Siamo soli!
È il 1978 e Lepi in prazni è il primo assaggio ufficiale di punk in Jugoslavia. Il gruppo che l’ha inciso, i Pankrti, si è formato a cavallo tra il 1976 e il 1977 a partire da alcuni studenti lubianesi ed è, almeno stando a quanto affermarono gli stessi membri del gruppo, il primo gruppo punk non solo in Jugoslavia, bensì in tutto l’universo socialista.
In realtà, nel 1976, per le strade di Fiume era comparso un curioso graffito recitante: “Paraf punk”. Quella scritta si riferiva a un gruppo punk appena fondato, Paraf appunto, che forse può essere definito come il primo vero gruppo punk in Jugoslavia, sebbene il suo successo sia stato inferiore a quello dei Pankrti e sebbene i primi dischi ufficiali risalgano al biennio 1979-1980.
Contemporaneamente ai Pankrti, nel 1977, a Zagabria, nascono i Prljavo Kazalište (“Teatro sporco”). Si tratta di un gruppo di studenti delle superiori, alcuni ancora minorenni, che, ispirandosi sia al punk, che al two-tone ska e al rock dei Rolling Stones, portano definitivamente alla ribalta il punk-rock in Croazia e in Jugoslavia. Il 30 settembre 1978 la rivista ufficiale dell’Unione della Gioventù socialista di Croazia, Polet, pubblica un numero la cui copertina ritrae i membri di Prljavo Kazalište durante un concerto. Sotto la fotografia, una scritta: “Nešto se događa”, “Qualcosa sta succedendo”.
I tempi stanno cambiando, la gioventù è protagonista di una rinascita culturale e sociale senza precedenti e senza eguali nel paese balcanico. Questo fenomeno, musicale, culturale, sociale viene definito come Novi val, “nuova ondata” e non c’è dubbio che i responsabili dell’inizio di questo fervore siano proprio i primi gruppi punk in Jugoslavia.
La musica dei Pankrti, dei Paraf o dei Prljavo Kazalište è la svolta definitiva per quella generazione di giovani che, stanca della vita monotona che il socialismo aveva da offrire, a lungo aveva cercato una valvola di sfogo per esprimere le proprie pulsioni, frustrazioni, la propria rabbia e le proprie paure, spesso andando contro il sistema ufficiale che, però, pareva, almeno all’apparenza, accettare volentieri il fatto che i giovani si stessero finalmente divertendo.
In realtà, il partito aveva timore che, come era successo pochi anni prima nella Repubblica Popolare di Polonia, la popolazione si ribellasse contro il governo. Come evitare rivolte popolari che, con un presidente, Tito, ormai anziano e malato, avrebbero messo in difficoltà un paese già cronicamente affetto da crisi economiche e disoccupazione? La leadership jugoslava lasciò, quindi, che quella gioventù, che tanto veniva idealizzata e celebrata nella retorica ufficiale e durante la Festa della gioventù ogni anno a maggio, si sfogasse, al costo di ricevere critiche, spesso pesanti.
I Paraf, ad esempio, furono, durante i loro primi anni di esistenza, particolarmente aggressivi verso il sistema. Una loro canzone, Narodna pjesma (“Canto popolare”), disponibile solo in versione live e mai registrata in studio per motivi di censura, prende apertamente in giro la polizia jugoslava:
Lopovi ne kradu
Ubice ne kolju
Mulci ne siluju
I krv ne liju
Nijedne nema bolje
Od naše policije!
Nijedne nema bolje
Od naše policije!“
I ladri non rubano
Gli assassini non uccidono
I teppisti non stuprano
E non spargono sangue
Non c’è niente di meglio
Della nostra polizia!
Non c’è niente di meglio
Della nostra polizia!
In una canzone, Otok goli, “L’isola nuda” – nome di un’isola a sud di Fiume (isola Calva) dove è stata presente la prigione per prigionieri politici più famosa e temuta del paese – anch’essa registrata solo dal vivo e la cui riproduzione è stata poi vietata, il gruppo fa riferimento alla vita dura degli internati nella struttura:
Otok goli, otok goli, otok goli!
Sunce sije, kamen gori
To je, majko, otok goli
Udarci se čuju, kamen puca
Pločice se rade, bura puše
L’isola nuda, l’isola nuda, l’isola nuda!
Il sole splende, la pietra brucia
Questa è, madre, l’isola nuda
Si sentono i colpi, la pietra si crepa
Si fabbricano piastrelle, soffia la bora
Per quanto riguarda i Prljavo Kazalište, invece, la loro produzione è varia e i testi riguardano numerosi argomenti. Nel loro primo, omonimo album del 1979 parlano, per la prima volta in Jugoslavia, di omosessualità nella canzone Neki dječaci (“Certi ragazzi”), delle loro prime pulsioni sessuali e della vita sotto il socialismo con una bonaria ironia. La canzone Sretno dijete (“Bambino felice”), che oltretutto ha ispirato, oltre al titolo, l’omonimo documentario del 2003 diretto da Igor Mirković, uno dei più famosi film sul Novi val jugoslavo, recita:
Ja sam odrastao uz ratne filmove u boji
Uz česte tučnjave u školi
Uz narodne pjesme pune boli
Ja sam stvarno sretno dijete
Ja sam stvarno sretno dijete
Ja sam stvarno sretno dijete
Ja sam stvarno sretno dijete
Ja sam odrastao uz predivne vojne parade
Uz studentske demonstracije
Izgubio sam sliku iz legitimacije
Sono cresciuto con film di guerra a colori
Con frequenti risse a scuola
Con canti popolari pieni di dolore
Io sono davvero un bambino felice
Io sono davvero un bambino felice
Io sono davvero un bambino felice
Io sono davvero un bambino felice
Sono cresciuto con meravigliose parate militari
Con dimostrazioni studentesche
Ho perso la foto della carta d’identità
Iconica è la canzone Crno-bijeli svijet (“Un mondo in bianco e nero”), che descrive la quotidianità socialista con una leggera, a tratti difficile da captare, punta di malinconia:
Moje ime je Davorin Bogović
A ovo sve oko mene je crno-bijeli svijet!
Crno bijeli svijet, crno bijeli svijet
Crno bijeli svijet, crno bijeli svijet
Crno-bijeli televizori
Rijetki nočni tramvaji
Moja bijela djevojka
Uvozni eksluzivni programi
Mama, tata, pas i kravata
Il mio nome è Davorin Bogović
E tutto questo intorno a me è un mondo in bianco e nero!
Un mondo in bianco e nero, un mondo in bianco e nero
Un mondo in bianco e nero, un mondo in bianco e nero
Televisori in bianco e nero
Rari tram notturni
La mia ragazza bianca
Esclusivi programmi d’importazione
La mamma, il papà, il cane e la cravatta
A questo testo possono esser collegati i già citati Pankrti, che con la loro Totalna revolucija (“Rivoluzione totale”), apparsa nell’album Dolgcajt (“Noia”) del 1980, esprimono tutta la voglia di cambiamento che stava prendendo piede presso la gioventù e la società jugoslave in toto:
Janez noče it v službo
Janez hoče bit doma
Janez hoče pit več čaja
Janez, kurbin sin, zakva?
Totalna revolucija za njega ni rešitev
Janez kurbin sin hoče samopotrditev
Janez non vuole andare al lavoro
Janez vuole starsene a casa
Janez vuole bere più tè
Janez, figlio di puttana, perché?
La rivoluzione totale per lui non è la soluzione
Janez, il figlio di puttana, vuole l’autoaffermazione
La rivoluzione tanto decantata dalla propaganda socialista come un vecchio vestito ormai troppo stretto non fa più al caso dei giovani e ciò è, ormai, un fatto definitivo.
Già alla vigilia del 1980 i gruppi punk in Jugoslavia o new-wave sono numerosi e ben consolidati. Riviste come la slovena Mladina o come le già citate Džuboks e Polet, entrambe riviste ufficiali, finanziate dal partito, attivamente promuovono la nascita di nuove band o di nuovi artisti in generale, pubblicando interviste, informazioni sui concerti, annunci per lo scambio di strumenti musicali o di dischi.
Non a caso in Piazza delle vittime del fascismo, a Zagabria, spunta un graffito che recita: “Polet je kriv za sve!”, “È tutta colpa di Polet!”. In breve tempo quella generazione di belli e vuoti riesce a prevalere e a farsi giustizia, complice il lassismo delle autorità, espandendosi in ogni aspetto della vita culturale del paese.
Le band del Novi val vengono invitate nelle scuole, appaiono nei film e nelle serie televisive, i graffiti che inneggiano a loro sono nelle strade di tutte le maggiori città. Il gruppo Film, di Zagabria, sebbene non sia definibile come punk, proponendo una musica più vicina al rock tradizionale o alla new-wave, fornisce un’entusiastica descrizione dell’atmosfera che si vive per le strade di Zagabria durante quegli anni:
Pogledaj, ulice su pune ljudi
Dječaci koračaju s tranzistorom na uhu
Muzika dolazi iz podruma i krova
I čitav grad pleše kao da je lud, lud, lud
I ja sam lud!
Guarda, le vie sono piene di gente
I ragazzi girano con lo stereo all’orecchio
La musica viene dalle cantine e dai tetti
E tutta la città balla come fosse pazza, pazza, pazza
Anche io sono pazzo!
Se nel 1978 la band anarcho-punk Crass aveva definito il punk come un genere morto, esso sopravvive proprio in un paese socialista, soprattutto in Croazia e in Slovenia. Segno dell’impatto e dell’importanza del punk in quegli anni è la pubblicazione nel 1981 da parte della casa discografica di Radiotelevisione Lubiana della compilation Novi Punk Val 78-80, a cui hanno partecipato i Pankrti, i Paraf, i Prljavo Kazalište e altri gruppi croati e sloveni come i Problemi, i Termiti e i Berlinski zid. L’anno successivo, in Slovenia, la stessa casa discografica pubblica la compilation Lepo je… v naši domovini biti mlad (“È bello… essere giovani nella nostra patria”, riferimento all’omonima canzone partigiana), che include le canzoni di numerosi gruppi punk sloveni minori e che rappresenta tutt’oggi, per gli amanti del genere, una pietra miliare di assoluta importanza nella storia del genere in Jugoslavia.
È giusto, tuttavia, specificare che tra Novi val e punk vero e proprio ci siano delle differenze, nonostante il fatto che, inizialmente, i due termini coincidessero nel contesto jugoslavo. Innanzitutto, tutti i gruppi punk jugoslavi appartengono al Novi val, ma non tutti i gruppi del Novi val sono punk. Questo movimento è col tempo diventato un melting pot che, oltre a non coincidere più col punk, comprendeva una varietà di generi che andavano dal power pop al reggae, passando per il rock psichedelico e, dall’inizio degli anni Ottanta, il synth-pop. Il punk, dopo la consolidazione del Novi val come mix di generi sottoposto a frequenti cambiamenti ed evoluzioni, ha mantenuto un’andatura costante e autonoma, ma, con l’andare del tempo, sempre più di nicchia. Laddove le band punk non si sono evolute in band new-wave o pop, esse raramente (i Pankrti sono un’eccezione) hanno ottenuto successo oltre i confini delle proprie repubbliche di appartenenza o, addirittura, delle proprie città. Il punk fiumano o polesano, ad esempio, salvo per i Paraf, rimane in gran parte poco conosciuto al di fuori dei confini di Fiume e Pola e i suoi rappresentanti hanno nella stragrande maggioranza mantenuto un profilo basso, continuando a suonare nei club studenteschi o nei centri sociali delle proprie città.
A distanza di anni, il punk jugoslavo continua ad attirare curiosità e a essere apprezzato. Chiaramente, si tratta di un genere che prevede una coscienza e un impegno civico, cose che i giovani jugoslavi, desiderosi sì di ribellione, ma anche apatici dal punto di vista delle idee politiche, non erano disposti a far proprie.
Per questo motivo, sebbene al punk resti l’indubbio pregio di aver dato vita nuova non solo a una gioventù, ma anche a un paese, è il Novi val che si è originato proprio dal punk ad avere un successo maggiore, perché, pur trattandosi di musica rock, si tratta di una musica relativamente leggera e adatta a tutti i contesti, dal cortile di casa alla discoteca. Non a caso i Paraf e i Prljavo Kazalište hanno cambiato, col tempo, il proprio modo di far musica. Se i primi, però, sono rimasti su una new-wave dai testi fini e dal significato profondo, i secondi si sono reinventati, alla pari di tanti altri, come gruppo pop commerciale del quale oggi pochi ricordano le primissime canzoni che, lontane dalle ballate d’amore o patriottiche di fine anni Ottanta, parlavano di rabbia verso il mondo, di professoresse che risvegliano l’eros, di un’infanzia difficile, di risse, di miseria e di televisori in bianco e nero.
È dottorando in letterature comparate presso l’Università di Zagabria. Le sue ricerche e i suoi interessi vertono sulla cultura pop e giovanile in Jugoslavia e sulla letteratura della transizione in Croazia e Slovenia. Da aprile 2024 collabora in qualità di ricercatore indipendente con l'Istituto di Etnologia e Folkloristica di Zagabria. Collabora coi progetti Est/ranei e Andergraund.