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Armenia e Unione Europea: riavvicinamento in nome della sicurezza

Il 21 novembre 2013 la decisione del presidente ucraino Viktor Janukovyč di sospendere la firma di un accordo di associazione con l’Unione Europea diede avvio alle proteste note come Euromaidan e alle dichiarazioni di indipendenza delle repubbliche popolari di Donec’k e Luhans’k, nonché alla successiva annessione della Crimea da parte della Russia e alla guerra totale in corso in Ucraina ancora oggi. Poche settimane prima, un’altra mancata firma aveva, invece, definito i rapporti tra Armenia e Unione Europea in maniera, in apparenza, irreversibile.

Il 3 settembre di quell’anno, infatti, l’allora capo di stato del paese caucasico Serzh Sargsyan annunciava, dopo un incontro a Mosca con Vladimir Putin, che l’Armenia sarebbe entrata nell’Unione doganale euroasiatica (e in seguito, nell’Unione Euroasiatica) a guida russa, atto incompatibile con l’Accordo di libero scambio globale e approfondito che Erevan, dopo anni di negoziati, aveva finalizzato con l’Unione Europea nel luglio di quell’anno e che sarebbe dovuto essere firmato nel novembre successivo.

Le dinamiche nel Caucaso del Sud apparivano chiare, mentre la Georgia spingeva per l’integrazione euro-atlantica, la vicina Armenia, per motivi economici e, soprattutto, di sicurezza, sembrava destinata a rimanere nell’orbita di Mosca. Ma da allora le cose sono cambiate e nell’ultimo anno Erevan ha puntato verso Bruxelles in cerca di garanzie per la propria difesa.

I rapporti tra Armenia e Unione Europea a cavallo del nuovo millennio

Armenia e Unione Europea firmarono il primo documento di cooperazione bilaterale nel 1996: un Accordo di partenariato e cooperazione che avrebbe costituito il quadro giuridico dei rapporti tra le due parti fino al 2021.

Negli anni Duemila, l’Armenia venne inclusa nelle due iniziative di politica estera europee che riguardavano anche il Caucaso del Sud: la Politica di vicinato (nel 2005) e il Partenariato orientale (nel 2009). Fu in questo contesto che nel 2010 iniziarono i negoziati per la firma di un Accordo di associazione che avrebbe dovuto includere il già menzionato Accordo di libero scambio globale e approfondito.

Le cose non andarono come previsto e il governo armeno optò per una maggiore cooperazione con Mosca. La Russia rimaneva, infatti, un partner fondamentale per l’Armenia in ambito commerciale, in quello delle infrastrutture, delle forniture energetiche e per le rimesse della diaspora armena residente in territorio russo.

Ma, soprattutto, Mosca veniva considerata come indispensabile per la sicurezza dell’Armenia e per quella della repubblica non riconosciuta del Nagorno-Karabakh. La vittoria armena nel conflitto negli anni Novanta per il controllo di questa regione aveva lasciato Erevan in una posizione precaria con i suoi paesi confinanti: a est l’Azerbaigian che si stava riarmando con l’idea di risolvere militarmente la questione del Nagorno-Karabakh e a ovest la Turchia, alleata di Baku, e le cui relazioni con l’Armenia sono storicamente complicate.

Per questo Erevan entrò nell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), un’alleanza difensiva a guida russa che include gli altri membri dell’Unione Eurasiatica (Belarus’, Kazakhstan e Kirghizistan) e il Tagikistan.  Inoltre la Russia dispone di due basi militari in territorio armeno: la base 102 dell’esercito, dove sono dislocate forze di terra, a Gyumri, e la base 3624 dell’aviazione militare, all’aeroporto di Erebuni, poco lontano da Erevan. Col “Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza” che lo lega all’Armenia dal 29 agosto 1997, il Cremlino s’impegna a fornire sostegno militare in caso di attacchi e viceversa.

La svolta degli anni Venti

Nel periodo successivo, quindi, l’Armenia sembrava destinata a una cooperazione limitata con Bruxelles che si coniugò nel 2017 con la firma di un Accordo di partenariato globale e rafforzato compatibile con la partecipazione armena nell’Unione Euroasiatica.

Nel 2018, la leadership politica cambiò bruscamente nel paese caucasico con la cosiddetta “Rivoluzione di velluto” che portò al governo l’attuale primo ministro, Nikol Pashinyan.

La salita al potere del nuovo premier, meno gradito al Cremlino dei suoi predecessori, lasciarono intaccate in apparenza le relazioni tra l’Armenia e Mosca. I nuovi conflitti nella regione a partire dal 2020 incrinarono però questi rapporti.

Vista su Erevan (Meridiano 13/Giorgia Spadoni)

Nel settembre del 2020, l’Azerbaigian attaccò il Nagorno-Karabakh conquistandone una parte consistente nel corso della cosiddetta guerra dei 44 giorni. Mosca non si mostrò interessata a difendere la regione, ma mediò l’accordo di pace che pose fine al conflitto e che includeva, nelle sue clausole, il dispiegamento di una forza di peacekeeper russi in Nagorno-Karabakh per evitare future escalation.

La presenza dei soldati russi, non impedì, però un nuovo attacco azero nel settembre del 2022 che si concluse con la conquista azera di alcune parti di quello che è internazionalmente riconosciuto come territorio armeno (territorio che, al contrario di quello del Nagorno-Karabakh, Mosca si era impegnata formalmente a difendere).

Gli eventi nei mesi successivi non fecero altro che complicare le relazioni tra Erevan e il Cremlino. A partire dal dicembre 2022, Baku bloccò per nove mesi, senza che i peacekeeper intervenissero, il passaggio di mezzi e persone nel corridoio di collegamento tra l’Armenia e le parti del Nagorno-Karabakh ancora sotto il controllo armeno causando una crisi umanitaria.

Nel settembre 2023, l’Azerbaigian attaccò nuovamente la regione separatista portandola alla resa e costringendo alla fuga in Armenia dei suoi circa 100 mila abitanti armeni. Già alla vigilia dell’ultimo attacco azero, Pashinyan aveva definito l’alleanza con la Russia un errore strategico e le cose non migliorarono dopo la guerra con Erevan che ha intrapreso una serie di iniziative palesemente invise al Cremlino quali: la sospensione della sua partecipazione nel CSTO, la ratifica dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale (atto che teoricamente implicherebbe l’arresto di Vladimir Putin se si recasse in territorio armeno) e il bando delle carte del sistema russo MIR.

Gli esponenti del governo armeno hanno anche iniziato a parlare di una possibile entrata dell’Armenia nell’Unione Europea. Per esempio, il ministro degli Esteri Ararat Mirzoyan lo scorso marzo ha dichiarato:

“Tenendo conto di tutte le sfide che abbiamo dovuto affrontare negli ultimi tre o quattro anni, in Armenia si stanno discutendo attivamente nuove opportunità. Non rivelo un segreto se dico che l’idea di aderire all’Ue è una di queste”.

Bruxelles ha preso atto del nuovo corso della politica estera armena in una risoluzione del parlamento europeo dello scorso 12 marzo in cui si legge:

“Se l’Armenia fosse interessata a richiedere lo status di paese candidato e a continuare il suo percorso di consolidamento della democrazia tramite riforme durature, ciò potrebbe gettare le basi per una fase di trasformazione nelle relazioni tra Armenia e Unione Europea”.

L’Unione Europea si è mossa timidamente anche in ambito di sicurezza, la questione indubbiamente più importante per Erevan. Oltre alle forniture di armamenti da parte francese, dal dicembre 2022, in Armenia opera una missione civile dell’Unione Europea (EUMA) per monitorare la situazione al confine con l’Azerbaigian.

Nonostante questi sviluppi è troppo presto per dire se l’Armenia si muoverà attivamente verso l’integrazione europea. Se la cooperazione con l’Unione Europea ha importanti potenzialità economiche, il 40% delle esportazioni armene va in Russia che è anche il principale riferimento per le importazioni di grano e petrolio, qualcosa a cui è difficile rinunciare. Ciononostante, gli eventi nel Caucaso del Sud negli ultimi anni dimostrano che le sorprese sono sempre dietro l’angolo e le cose possono cambiare rapidamente.

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Aleksej Tilman
Aleksej Tilman

Laureato in scienze politiche, ha vissuto due anni a Tbilisi, lavorando e specializzandosi sulle dinamiche politiche e sociali dell'area caucasica all'Università Ivane Javakhishvili. Ha collaborato con East Journal dal 2015 al 2021.