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Grande Padre – Viaggio nella memoria dell’Albania rappresenta la pietra angolare di un progetto più ampio, che si propone di raccontare al pubblico il frutto di oltre un decennio di lavoro. L’Albania che emerge da questo libro è raccontata dalle voci degli albanesi stessi, filtrate dalla penna di Christian Elia, che ne smussa la cacofonia altrimenti stordente, e dalle foto di Camilla de Maffei, che ne interpreta il sentire. Accompagnati da queste due guide esperte, ci si immerge nel passato recente e nel caotico presente del paese delle aquile, tra storie di prigionia, libertà sofferta, viaggi e speranza, che iniziano tutti con la stessa domanda: dove ti trovavi quando è morto Enver Hoxha?
Tra storia…
Appena 71 chilometri. È la distanza che separa Capo d’Otranto, il punto più orientale d’Italia, dalle coste albanesi. Eppure, nonostante la sua sottigliezza, questa lingua di mare talvolta ha saputo stagliarsi alla stregua di un muro invalicabile tra le due sponde dell’Adriatico. Come ad esempio durante il regime quarantennale di Enver Hoxha, quando la Repubblica popolare socialista d’Albania era idealmente dall’altra parte della cortina di ferro e qualsiasi contatto con “l’altro” non solo era ideologicamente pericoloso, ma anche materialmente pressoché impossibile. Perché se è vero che la Repubblica federale socialista di Jugoslavia si apre a poco a poco all’Occidente, per l’Albania del “Grande Padre” Hoxha è l’esatto contrario: si chiude sempre più su sé stessa, prima denunciando l’eresia di Tito, poi condannando la critica allo stalinismo in Unione sovietica e infine chiudendo le porte anche alla Cina. Ma se si ha in testa l’idea di un monolite socialista sempre uguale a sé stesso, si rischia di cadere in errore: il regime in Albania ha dovuto reinventarsi tante volte quanti sono stati i suoi riposizionamenti a livello internazionale, per culminare in quel mix unico di comunismo e nazionalismo che ha caratterizzato l’ultimo periodo, prima del collasso.
Tuttavia, ben prima del regime di Hoxha, e immediatamente dopo la sua burrascosa conclusione, l’Adriatico non era né più né meno di ciò che uno specchio d’acqua dovrebbe sempre essere: un elemento di connessione, come sta a testimoniare la secolare presenza delle comunità Arbëreshë in Italia. Comunità che si formarono nel meridione d’Italia in tempi remoti, composte da profughi in fuga dalla conquista ottomana della penisola balcanica, che ancora oggi conservano il loro specifico bagaglio culturale di una ricchezza straordinaria.
Forse proprio questa commistione tra vicinanza e lontananza, tra estraneità e affinità, ha favorito nel tempo la proliferazione di tutta una serie di pregiudizi che, se dal punto di vista albanese rivela nei confronti degli italiani una mitezza quasi adulatoria, da parte italiana si traduce invece in convinzioni poco edificanti. Come quelle che, foraggiate da una certa stampa compiacente, vedono nell’albanese lo stereotipo del balcanico rozzo, spesso squattrinato, ma sempre e comunque violento, quasi fosse una questione genetica, di inferiorità animalesca, in un misto aberrante di razzismo e orientalismo.
Ecco allora che gli autori cercano di fare giustizia nei confronti di queste concezioni stereotipate, e lo fanno raccontando l’Albania e gli albanesi con l’occhio attento di chi conosce bene entrambi, in tutte le loro caleidoscopiche sfumature, in tutte le loro contraddizioni, apparenti e non. Perché con loro hanno vissuto per anni, condividendo esperienze ed emozioni, conoscendo tanto il dramma della diaspora quanto la sofferenza di chi resta, tanto la grinta di chi vuole cambiare le cose quanto la rassegnazione di chi ha perso ogni speranza. E laddove non dovessero giungere le parole di Christian Elia, arrivano puntualmente le foto di Camilla de Maffei, in un lavoro d’intreccio che, capitolo dopo capitolo, ha il merito di restituire al lettore un pezzo vivo e autentico di quella terra complessa chiamata Albania.
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…e memoria
Un libro sull’Albania per tutti, dunque, ma per noi italiani in particolare, in quanto aiuta a rimettere le cose a posto, a riordinare la memoria. Per ribadire che no, l’Albania non è riemersa dal fondo del mare nel 1991 con la Vlora: è sempre stata lì. Dimenticata, nel suo stesso isolamento e nella nostra autoassoluzione postbellica. Ma quando parliamo di Albania e vogliamo farlo con un briciolo di serietà, non possiamo rimuovere il 1939, quando eravamo noi italiani ad attraversare l’Adriatico, e lo facevamo armi in pugno. Non possiamo dimenticare Mallakasha, la “Marzabotto albanese”, che come tante altre stragi perpetrate per mano italiana nei Balcani durante l’occupazione nazifascista sta lì a testimoniare come quel “italiani, brava gente” possa essere un buon titolo per un film, ma non certo per descrivere la realtà di quegli anni.
Né si può omettere la responsabilità omicida del governo italiano negli speronamenti in alto mare tra l’inverno e la primavera del 1997. Bisogna ricordare che se è vero che Tirana è diventata una delle capitali europee del riciclo di denaro sporco, deve esserci anche chi in Albania va a riciclare proventi illeciti; guarda caso, il paese delle aquile risulta essere proprio la meta prediletta per i fondi illeciti nostrani. E se Tirana fatica così tanto a rispettare i criteri comunitari per entrare a far parte dell’Unione europea, è anche perché molte imprese europee hanno delocalizzato in Albania per evadere quegli stessi vincoli che sarebbero obbligati a rispettare in patria.
Così, tra passato e presente, si approda infine all’ultimo “Grande Padre” dell’Albania contemporanea, transitata da Enver Hoxha al liberismo più sfrenato che, si scopre sempre troppo tardi, non è necessariamente sinonimo di libertà. In mezzo a questo trasferimento di potere, focus del libro sono due generazioni in particolare: quella che negli anni Novanta ha abbattuto uno tra i regimi comunisti più asfissianti che siano mai esistiti, sognando l’Europa, e quella che si è vista sbattere la porta in faccia dall’Unione Europea. Quest’ultima però non demorde e continua a lottare, in patria e in esilio, per un futuro migliore, per condizioni di vita più umane. Per la libertà.
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Grande Padre. Viaggio nella memoria dell’Albania, di Christian Elia, frontiere, 2022
Mosso da un sincero interesse per la storia e la cultura della penisola balcanica, si è laureato in Studi Internazionali all’Università di Trento, per poi specializzarsi in Studi sull’Europa dell’Est all’Università di Bologna. Ha vissuto in Romania, Croazia e Bosnia ed Erzegovina, studiando e impegnandosi in attività di volontariato. Tra il 2021 e il 2022 ha scritto per Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa. Attualmente risiede in Macedonia del Nord, dove lavora presso l’ufficio di ALDA Skopje.