A ottobre, a quattro anni dalla vittoria di Maia Sandu sul candidato socialista e filo-Cremlino Igor Dodon, in Repubblica Moldova si terranno le tanto attese elezioni presidenziali. Quel che pochi al di fuori della Moldova sanno, però, è che Maia Sandu ha deciso di accorpare le elezioni presidenziali a un referendum popolare sull’adesione del paese all’Unione Europea.
I precedenti
Nella storia europea, non è la prima volta che uno Stato decide di tenere un referendum sull’adesione all’Unione Europea. Sebbene questo non sia un requisito per l’ingresso, diversi paesi interpretano la consultazione popolare come un’ulteriore garanzia democratica al percorso economico e geopolitico intrapreso dai propri governi.
Dal 1973 a oggi ci sono stati 25 referendum tenuti da vari paesi del continente europeo rispetto sull’adesione all’Ue, e in 18 casi l’esito è stato positivo. Groenlandia e Gran Bretagna hanno abbandonato l’Unione Europea con i voti rispettivamente del 1982 e 2016, mentre Svizzera e Norvegia non ne sono mai divenute parte. Inoltre, gli ultimi tre hanno tenuto referendum di questo tipo due volte.
Fatta eccezione per la Macedonia del Nord, invece, tutti i paesi che hanno votato sì rispetto all’ingresso nell’Unione Europea hanno usato questo strumento a pochi mesi dall’effettivo ingresso nella comunità di Stati.
La Moldova sarebbe quindi un’altra eccezione in questo senso.
È noto, infatti, che all’adesione si arriva solo dopo un lungo percorso di riforme per capitoli che deve terminare in una certificazione da parte delle istituzioni europee e degli Stati membri che il paese in questione sia entrato in possesso del cosiddetto acquis communautaire. Il corollario di questo discorso, sempre opportuno da notare quando si parla di meriti, nasce dal doppio standard applicato dalle istituzioni europee consapevoli che molti degli Stati membri stessi non sarebbero in grado di rispettare i criteri economici (si veda l’Italia) e politici (si veda l’Ungheria) previsti da tale acquis. Ma quando la motivazione politica è abbastanza forte, l’Ue ha dimostrato che non ci sono regole formali che reggano.
Il referendum popolare: una scelta politica
Da questo ne deriva che un referendum è sempre una scelta politica, spesso tinta di colori populisti, perché non vi è convinzione più populista che credere che il popolo sia moralmente superiore alle élite corrotte che lo guidano. La scelta di Maia Sandu, leader del partito più populista della Repubblica Moldova, non è dunque sorprendente per lo strumento, quanto per le tempistiche.
Le previsioni più ottimistiche suggeriscono che la Repubblica Moldova diverrà un membro dell’Unione Europea nel 2030, ma nel 2030, se rieletta due volte, Maia Sandu sarebbe al terzo mandato presidenziale consecutivo. Che la presidente abbia scelto la data del referendum popolare per garantire la propria rielezione? Potrebbe essere così, ma se ci sono dubbi sui risultati elettorali della politica moldava nel prossimo anno, questi non sono sulla presidenza.
Recenti sondaggi hanno tutti confermato che lei è la prima per preferenze dell’elettorato e l’unico sfidante con qualche chance sarebbe il solito Igor Dodon. Ma con una coalizione pro-russa frammentata e il presidente russo che non sembra disposto a dare il suo assenso alla candidatura di Dodon, non c’è ancora un avversario credibile che possa canalizzare il voto delle opposizioni.
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Al contrario, tutti gli analisti politici sono concordi nel sostenere che nel 2025 il Partito d’Azione e Solidarietà (PAS) di Maia Sandu non otterrà la stessa schiacciante maggioranza delle elezioni parlamentari del 2021. Non sarebbe stato più lungimirante associare il referendum alle parlamentari per garantire alti livelli di affluenza alle urne da parte dell’elettorato di riferimento di PAS? A meno che la presidente non abbia ancora una volta messo da parte la strategia politica in favore del suo bisogno di essere percepita dai moldavi come l’eroina che li ha salvati dai corrotti. Basterà questo se la Moldova non dovesse più avere un governo a guida PAS? Verrà ancora l’Unione Europea in soccorso di Sandu?
Per quanto remota, l’ipotesi non è del tutto impossibile. Prima dell’invasione russa dell’Ucraina e della conseguente polarizzazione geopolitica sul territorio europeo, nessuno avrebbe scommesso in un progresso così rapido della Moldova, che solo mesi prima era guidata da un presidente vicino al Cremlino e da un governo tecnico sostenuto esternamente da oligarchi.
Certamente la Moldova di oggi non è la stessa di quattro anni fa e sicuramente ora come ora i giovani moldavi non hanno alternativa a PAS se vogliono un futuro europeo.