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Il 26 luglio del 1963 un terremoto rade al suolo la capitale macedone. Per la ricostruzione di Skopje giungono contributi da tutto il mondo, in uno sforzo collettivo destinato a modificare per sempre l’aspetto della città balcanica.
Un viaggiatore di passaggio a Skopje potrebbe con facilità sentirsi spaesato, tanto è varia e stordente la quantità di riferimenti architettonici e stilistici presenti in città. In un ipotetico itinerario da sud a nord, infatti, ci si imbatterebbe dapprima nell’edilizia popolare tipica dei paesi ex socialisti dell’Europa dell’est: imponente e massiccia, sebbene con qualche nota stilistica e di colore aggiuntiva rispetto al brutalismo sovietico. Superato questo primo impatto visivo, il panorama urbano inizierebbe a mutare, lasciando spazio a edifici candidi e immacolati, archi del trionfo e colonnati, riproduzioni moderne di edifici ellenistici e statue di uomini a cavallo: il lascito, decisamente kitsch, del progetto urbano Skopje 2014.
Ma non è finita qui. Perché spingendosi ancora più a nord si finirebbe per attraversare il fiume Vardar su un ponte ottomano, avendo la possibilità di osservare più da vicino la fortezza osmanica di Kale che domina la città, e fare una passeggiata lungo la čaršija, il vecchio bazar più grande dei Balcani dopo Istanbul. Questa cacofonia visiva è il risultato unico di una serie di stratificazioni architettoniche che hanno, di volta in volta, radicalmente cambiato il volto della città. In questo articolo mi soffermerò su una di queste cesure in particolare: la ricostruzione di Skopje a seguito del terremoto del 1963.
La terra trema
L’orologio della stazione dei treni segna ancora le 5:17 della mattina, orario nel quale in quel fatidico 26 luglio 1963 un suono viscerale e sordo, proveniente dal ventre della terra, dilagò per le vie cittadine. Il sisma, 6.1 della scala Richter, dura appena venti secondi: tanto basta per radere al suolo l’80% della città, causare più di mille vittime e tra i 150mila e i 200mila sfollati. In poco tempo si mette in moto la macchina dei soccorsi jugoslava: l’aiuto arriva, tanto in termini materiali quanto di volontariato, da tutte le entità che compongono la Repubblica socialista federale di Jugoslavia. Le parole del suo leader, Josip Broz Tito, capeggiano ancora sul cortile interno di ciò che rimane della stazione dei treni, trasformata significativamente nel museo della città di Skopje:
Skopje è stata colpita da una catastrofe inaudita, ma la ricostruiremo nuovamente. Con l’aiuto della nostra comunità intera, diventerà il nostro orgoglio e un simbolo di fratellanza e unità, di solidarietà jugoslava e mondiale.
Effettivamente i soccorsi e gli aiuti internazionali per la ricostruzione di Skopje arrivano in proporzioni consistenti da tutto il mondo, da una parte e dall’altra della cortina di ferro. 78 paesi contribuiscono economicamente o materialmente alla ricostruzione della città, tra i quali – vale proprio la pena di sottolinearlo – si annoverano sia l’Unione Sovietica che gli Stati Uniti. Per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale, truppe sovietiche e statunitensi si trovarono a cooperare fianco a fianco nello stesso luogo. Un altro primato riguarda il ruolo svolto dalle Nazioni unite, che su pressione degli stati membri raccolsero diversi milioni di dollari per la ricostruzione di Skopje.
Questo profuso impegno da ogni parte, che valse a Skopje l’appellativo di “città della solidarietà internazionale”, fu determinato da diversi fattori convergenti. Già da qualche tempo la Jugoslavia si era affermata a livello internazionale come leader del movimento dei non allineati, che raccoglieva al suo interno tutti quei paesi che non si volevano identificare né con il blocco orientale, né con il blocco occidentale. Questa terza via non solo aveva spianato la strada a ottime relazioni nei confronti dei paesi emergenti, ma permise a Belgrado di mantenere buoni rapporti tanto con gli Usa e i suoi alleati quanto con l’Urss e i rispettivi satelliti. Per questo motivo la calamità naturale occorsa a Skopje causò un’ondata di solidarietà bipartisan senza precedenti.
Il contesto internazionale, poi, non poteva essere più favorevole. A seguito del drammatico picco raggiunto dalla crisi dei missili di Cuba sul finire del 1962, iniziava proprio nel luglio del 1963 un lento processo di distensione, che condusse nell’agosto dello stesso anno alla sottoscrizione del Ltbt, il Trattato sulla messa al bando parziale degli esperimenti nucleari. A trattative in corso, la ricostruzione di Skopje funse da banco di prova concreto tra i due blocchi per avviare una fase di collaborazione e disgelo.
La ricostruzione di Skopje
Nei mesi seguenti le Nazioni unite fornirono il loro sostegno diretto alla ricostruzione della città. La stesura di un piano regolatore venne affidata ad una partnership internazionale, composta da prestigiosi architetti del calibro di Adolf Ciborowski e Constantinos Doxiadis, e comprendente l’Istituto di urbanistica e architettura di Skopje, l’Ufficio di urbanistica di Varsavia e l’agenzia polacca Polservice, tanto per menzionarne alcuni. A questa partnership si aggiunsero nel 1965 i due gruppi vincitori del concorso per la ricostruzione del centro di Skopje, capitanati rispettivamente dal giapponese Kenzō Tange e dai zagrebesi Radovan Miščević e Fedor Wenzler.
Il progetto, tanto ambizioso quanto dispendioso, non venne mai realizzato per intero. A pesare furono soprattutto i vincoli economici e la necessità, mal digerita dalla popolazione locale, di abbattere ulteriori edifici per fare spazio alla città futuristica immaginata dagli architetti. Venne piuttosto utilizzato dagli addetti ai lavori come una guida generale alla ricostruzione di Skopje. Il risultato è una straordinaria mescolanza di stili – determinata dalle mani e dalle menti differenti che, nel concreto, implementarono e modificarono il progetto originale – accomunata da un motivo di fondo comune, riscontrabile negli edifici più iconici della città. Di seguito è proposta una descrizione di alcuni di essi.
Zid, il muro
Una delle priorità più impellenti della ricostruzione di Skopje fu sicuramente quella di assicurare una sistemazione stabile alle migliaia di persone rimaste senza abitazione. Progetti di edilizia popolare si susseguirono uno dopo l’altro, ma il complesso di edifici abitativi che più ha contribuito a rimodellare l’aspetto di Skopje è sicuramente quello che i cittadini hanno soprannominato zid, il muro.
Si tratta di un semicerchio di edifici che si estende lungo la sponda destra del fiume Vardar, cingendo idealmente il centro cittadino con un muro di caseggiati popolari. I blocchi di abitazioni così realizzati sono interrotti solo dalle strade principali che, a raggiera, penetrano all’interno di questa simbolica muraglia in direzione del centro di Skopje. Agli estremi di ciascun blocco, proprio come bastioni di una fortezza medievale, torreggiano edifici dello stesso stile, ma di diversi piani più alti rispetto ai loro omologhi. Lungo tutto il perimetro del muro così costituito, una sottile linea cremisi ne rompe la monotonia cromatica, assicurando un’elegante continuità all’intero complesso residenziale.
Università Cirillo e Metodio, Marko Mušič
Il polo universitario tutt’oggi in funzione venne eretto per sostituire il complesso accademico preesistente, danneggiato in maniera irreversibile dal terremoto dopo nemmeno 15 anni di attività. La nuova università mantenne il nome ma cambiò residenza, trasferendosi dal lungofiume dove oggi indicativamente sorge l’Holiday Inn a un chilometro di distanza in direzione nord-est, sull’altra sponda del Vardar.
Il polo universitario è costituito da tre blocchi principali che si sviluppano in direzioni differenti, il cui punto d’incontro è rappresentato da una comune piazza centrale. Domina, ovviamente, il cemento a vista, ma la robustezza della struttura non sacrifica affatto la luminosità interna. La combinazione e ripetizione non sempre simmetrica di figure geometriche differenti – tra le quali prevalgono rettangoli, cilindri e triangoli – conferiscono unità all’intero complesso, che richiama e reinterpreta in chiave moderna elementi tipici dell’architettura religiosa macedone, ammantando di sacralità questo tempio laico del sapere.
Studentato Goce Delčev, Georgi Konstantinovski
Dall’altro lato della città sorge invece lo studentato Goce Delčev, un imponente complesso di edifici composto da quattro blocchi verticali disposti specularmente tra loro. Occupando un’area complessiva di circa un ettaro, il dormitorio possiede una capienza complessiva di 1.200 studenti. Le quattro torri di quindici piani e cinquantacinque metri di altezza, disposte agli angoli del quadrilatero così composto, sono affiancate da edifici comunicanti più bassi, di cinque piani, a loro volta collegati tra di loro da passaggi soprelevati.
L’intera facciata in cemento a vista è solcata da scanalature perpendicolari che ne accentuano la verticalità, mentre diverse serie di balconi a sbalzo dalla lunghezza variabile ne rompono monotonia e simmetria. Al centro del perimetro si apre infine uno spazio aperto, che funge allo stesso tempo da luogo di ritrovo e di passaggio. Da questa prospettiva privilegiata, sovrastati su ogni lato da tanta vertiginosa imponenza, da ponti soprelevati e da cemento grezzo, si ha quasi l’impressione di trovarsi sul set di un film ambientato nel futuro.
Centro per le telecomunicazioni e ufficio postale, Janko Konstantinov
Il centro per le telecomunicazioni, senza ombra di dubbio uno degli edifici più iconici di Skopje, riprende alcuni dei motivi che abbiamo già avuto modo di descrivere in precedenza, a loro volta derivanti dal piano generale di Kenzō Tange: elementi geometrici, scanalature verticali e cemento a vista non lasciano molto margine di errore. Il corpo principale del complesso è qui composto da una torre di cinquantaquattro metri, collegato a un blocco orizzontale di venti metri più basso. Tolti gli ingressi alla struttura, molte aperture verso l’esterno assumono una forma circolare o semicircolare, rispettando un codice architettonico tipicamente brutalista. Degni di nota anche i cornicioni sporgenti della struttura orizzontale, che fanno da esatto contraltare ai balconi che si affacciano al piano terra.
La parte più originale del complesso è tuttavia di qualche anno posteriore rispetto al primo edificio, sebbene si sposi alla perfezione con la struttura preesistente. Sede postale principale di Skopje per diversi anni, lo stabile è caratterizzato da otto braccia di cemento intervallate a vetro che, convergendo in alto verso una cupola posta sulla sommità (ora non più presente), vanno a formare una copertura tanto luminosa quanto singolare. Le colonne esterne di sostegno si slanciano invece verso l’alto in maniera centrifuga, similmente agli elementi di supporto alla cupola che adornano l’edificio con una sorta di corona di cemento o, come altri hanno fatto notare, imitando l’eleganza di tanti simmetrici colli di cigno. Gli interni, che contenevano un atrio circolare di marmo bianco e cinque grandi affreschi murali di Borko Lazeski raffiguranti vicende legate al popolo macedone, sono andati irrimediabilmente distrutti dalle fiamme che hanno divorato la struttura nel 2013, lasciando dell’ex ufficio postale nient’altro che un vuoto involucro.
Univerzalna sala, la sala concerti di Jaroslav Stankov
Il nostro tour virtuale per la Skopje post-terremoto non poteva concludersi senza menzionare uno degli edifici più emblematici per la città della solidarietà internazionale, che ha sicuramente vissuto tempi migliori ma che, nonostante ciò, resta molto caro agli scopiesi. La sua costruzione si deve a una cordata di governi e organizzazioni appartenenti a 35 paesi differenti, dall’Afghanistan alla Nigeria, dall’Uruguay alla Nuova Zelanda, da Israele alla Siria. E poi ancora Cuba, Indonesia e Turchia, solo per citarne alcuni.
Eppure questo straordinario esempio di solidarietà internazionale, che oltre al lato meramente funzionale faceva della sala universale il simbolo della cooperazione tra popoli, non è l’unico aspetto della struttura degno di nota. Vale la pena menzionare, infatti, che il progetto per la Sala universale di Skopje venne fornito alla Repubblica socialista di Macedonia dalla Repubblica popolare di Bulgaria, sul modello della sala espositiva emisferica eretta in piazza Solni Pazar a Sofia appena un anno prima del terremoto di Skopje. Lo scheletro metallico venne preassemblato e portato sul luogo prescelto, dove fu espanso, completato e rifinito con l’aggiunta di vetro e alluminio. Questa innovativa tecnica di costruzione permise alla cupola di raggiungere i 19 metri di altezza e i 43 di ampiezza, andando a costituire il più grande spazio espositivo di Sofia. Nel 1983, tuttavia, la copia originale fu completamente distrutta da un incendio, lasciando il suo omologo macedone come unico superstite esistente di tanta maestria.
Un omologo che non se la passa però troppo bene*, e che dal 2015 è chiuso al pubblico per motivi di sicurezza dopo il cedimento di una parte del soffitto. Da allora il suo fato è legato ad alterne proposte di demolizione e ristrutturazione. Nell’arco del suo periodo di attività, dal 1966 al 2015, si stima che la Sala universale abbia ospitato più di 5.700 eventi, per un totale di 8,5 milioni di spettatori.
Tutti questi edifici – e molti altri ancora – costruiti in seguito al terremoto del 1963 rappresentano un patrimonio di inestimabile valore per la città, che ne ha ridefinito il paesaggio urbano e che oggi costituisce parte integrante dell’identità scopiese. Purtroppo, però, molte di queste opere architettoniche versano in condizioni fatiscenti, spesso neglette e oggetto di vandalismo. Il progetto Skopje 2014, già citato in precedenza, con i suoi pacchiani tentativi di cancellare o nascondere l’eredità brutalista della città dietro a una cortina neoclassica (come è stato fatto, giusto per citare l’esempio più eclatante, con il palazzo del governo di Skopje, irrimediabilmente rivestito da una facciata posticcia) è sicuramente da considerarsi corresponsabile per questo lento declino.
Ma non tutto è da considerarsi perduto. Le recenti mobilitazioni in difesa di alcuni degli edifici più emblematici della città e la sospensione di ulteriori progetti di “ellenizzazione” urbana fanno ben sperare. Passata questa ondata iconoclasta, è forse giunto il tempo di valorizzare – piuttosto che demonizzare – un passato architettonico di tutto rispetto, al netto di qualsiasi considerazione politica.
Foto di copertina: modello del piano regolatore per la ricostruzione di Skopje, Kenzō Tange(foto tratta daSpomenik Database).
*Il 09 aprile 2024 l’Univerzalna sala è stata distrutta da un incendio sprigionatosi nel corso dei regolari lavori di manutenzione per la messa in sicurezza della struttura.
Mosso da un sincero interesse per la storia e la cultura della penisola balcanica, si è laureato in Studi Internazionali all’Università di Trento, per poi specializzarsi in Studi sull’Europa dell’Est all’Università di Bologna. Ha vissuto in Romania, Croazia e Bosnia ed Erzegovina, studiando e impegnandosi in attività di volontariato. Tra il 2021 e il 2022 ha scritto per Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa. Attualmente risiede in Macedonia del Nord, dove lavora presso l’ufficio di ALDA Skopje.