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Nonostante la stampa ne abbia sempre parlato di rado e la propaganda russa si sia imposta in maniera piuttosto efficace, le regioni ucraine orientali di Luhans’k e Donec’k (oggi quasi totalmente occupate dai russi) sono state anch’esse protagoniste di movimenti di protesta di matrice filoucraina e filoeuropea durante le manifestazioni della Rivoluzione della Dignità che hanno scosso l’Ucraina nel 2013-2014.
Benché, come afferma l’analista politica e docente universitaria ucraina Kateryna Zarembo, si pensi facilmente al Donbas come a una regione carbonifera abitata esclusivamente da minatori russi, che parlano solo russo e sono sempre pronti ad accogliere tra due ali di folla festante i “liberatori” russi mandati da Vladimir Putin, quest’area geografica ha sempre avuto legami con l’Europa; e i movimenti nati all’inizio dell’Euromajdan lo dimostrano.
Grazie alla traduzione italiana di Yaryna Grusha, pubblichiamo qui un estratto del volume di Zarembo Il Donbas è Ucraina, edito da Linkiesta Books, che raccoglie un capitolo dedicato proprio alla nascita delle famose proteste nelle regioni di Luhans’k e Donec’k, prima che queste venissero occupate dagli invasori russi e si trasformassero in quelle che oggi chiamiamo Repubblica Popolare di Luhans’k (LNR) e Repubblica Popolare di Donec’k (DNR).
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Gli Euromaydan dell’Ucraina orientale
Anche l’Euromaydan di Donetsk, come quello di Kyjiv, prese il via da un post su Facebook del 22 novembre 2013. Ma, invece che da Mustafa Nayyem [il giornalista ucraino che con un suo post pubblicato su Facebook la sera del 21 novembre 2013 diede inizio alle proteste degli studenti in piazza a Kyjiv – N.d.T.], nel caso di Donetsk, il post fu scritto da Yevhen Nasaduyk, un drammaturgo e regista locale noto anche con il nome di Petro Armyanovsky. Nasaduyk scrisse:
« Prendo la bici e vado al monumento di Taras Shevchenko. Sono per lo sviluppo dell’Ucraina, per il rispetto delle leggi, per la trasparenza dei tribunali, per la responsabilità dei politici di fronte al popolo, per il rispetto reciproco e sono contro la corruzione. Mi sembra che queste cose siano chiamate “valori europei” ».
[Questa citazione, nel testo originale, è riportata in russo – N.d.T.] .
Quella sera all’Euromaydan di Donetsk si presentarono cinque persone: Yevhen Nasadyuk, la giornalista di un portale di notizie politiche Kateryna Zhemchuzhnykova, il giornalista Maksym Kasianov e altri due cittadini di Donetsk che avevano deciso di non rimanere in disparte. Il giorno dopo Kateryna scrisse la notizia dell’inizio dell’Euromaydan a Donetsk. A chi la criticava per il fatto che cinque persone erano poche lei rispose dicendo che « non si trattava di quantità, ma di unità ». Nei primi tempi l’Euromaydan donetskiano rimase poco frequentato. Nelle prime settimane vi partecipavano circa 200-300 persone. Eppure gli attivisti erano convinti che il numero dei sostenitori fosse più alto. E lo attestavano anche i sondaggi: il 20 per cento della popolazione del Donbas era a favore dell’Euromaydan, il che corrisponde a un numero molto più elevato rispetto a quello delle persone che si presentavano di persona in piazza. Ma, se almeno una persona su cinque esprimeva un supporto quantomeno passivo per l’Euromaydan, allora perché erano così poche le persone che andavano in piazza a protestare?
Possono esserci varie spiegazioni. Innanzitutto, una parte dei giovani era andata a Kyjiv per partecipare all’Euromaydan principale, in modo da sentirsi nell’epicentro degli eventi ed evitare problemi all’università o al lavoro a causa della propria posizione filoeuropea. Gli attivisti di Donetsk, oltretutto, avevano già avuto brutte esperienze in occasione di alcune proteste pacifiche che si erano svolte in città e che erano state sgomberate con brutalità. Ciò era avvenuto nel 2004, quando – come ha raccontato Stanislav Fedorchuk – le persone che partecipavano ai presidi della Rivoluzione arancione avevano sempre la polizia alle calcagna. Ma era successo anche più di recente: nel 2012, durante un corteo che chiedeva di non eliminare quelle agevolazioni a cui avevano diritto le persone con lo status di “veterano di Chornobyl” [e cioè le persone che avevano subito danni diretti a causa del disastro provocato dall’esplosione alla centrale nucleare di Chornobyl o ne avevano patito le conseguenze – N.d.T.], un minatore era stato ucciso dalla polizia che aveva caricato i manifestanti pacifici. Inoltre, a Donetsk, era attivo anche l’Avtomaydan [formato da attivisti che pattugliavano la città al volante delle proprie vetture – N.d.T.] che si riuniva per conto proprio e non sotto il monumento a Taras Shevchenko, che era il luogo di ritrovo degli attivisti dell’Euromaydan donetskiano.
Vale la pena menzionare il fatto che gli Euromaydan non fossero attivi solo a Kyjiv e a Donetsk. Il 24 novembre ebbe inizio l’Euromaydan di Luhansk e il 22 novembre quello di Kramatorsk. E poi si registrarono proteste anche a Pokrovsk, Kostyantynivka, Mariupol e in altre città della regione di Donetsk e di quella di Luhansk. Alcuni attivisti filoeuropei, come per esempio gli studenti dell’Università statale di Mariupol, erano disgustati dall’ipocrisia dei loro governatori, i quali negli ultimi anni avevano fatto di tutto per convincere la popolazione locale dei vantaggi dell’integrazione europea ma avevano poi cambiato direzione nel corso di una sola notte. Anche nell’ambito degli Euromaydan di Donetsk e di Luhansk si organizzavano proteste artistiche, simili a quelli che avvenivano all’Euromaydan di Kyjiv. Sia a Donetsk sia a Luhansk apparvero dei pianoforti colorati di giallo e di blu: quello di Luhansk fu chiamato “lo strumento della libertà” e qualsiasi passante lo poteva suonare. Sul palco di Donetsk si esibì Serhiy Zhadan con il suo gruppo Sobaky v Kosmosi [I cani nel cosmo – N.d.T.] e, in seguito, anche la band Haydamaky. Alcuni intellettuali vi tenevano invece delle lezioni pubbliche e tra questi c’era lo storico Vakhtanh Kipiani. E, sia a Donetsk sia a Luhansk, giunsero con le loro performance anche i presepi natalizi viventi. L’Euromaydan di Donetsk ricevette sostegno dalle altre regioni: ad esempio, gli attivisti di Lviv offrivano un supporto tecnico per i concerti e quelli di Ternopil procuravano i volantini.
Gli Euromaydan orientali dovevano misurarsi con degli avversari tosti e ideologicamente agguerriti: i sostenitori dell’Antimaydan, che costituivano a loro volta un 20 per cento della popolazione. A Luhansk gli antagonisti dei filoeuropei avevano formato la Guardia di Luhansk. Secondo l’attivista per i diritti umani Kostyantyn Reutskyy, con la Guardia di Luhansk si poteva anche trattare, perché alla fine quelli che ne facevano parte desideravano molte delle stesse cose a cui puntavano anche gli attivisti filoeuropei:
« Volevano giustizia, volevano un governo locale responsabile e dei rapporti trasparenti con i vertici politici, volevano che la società civile potesse svolgere una funzione di controllo e volevano la decentralizzazione ».
Non erano loro, però, la minaccia più pericolosa. Centinaia di attivisti filoeuropei, che non potevano rappresentare in alcun modo un pericolo per il governo locale, diventarono oggetto di pressioni e di aggressioni fisiche. Alcuni testimoni ricordano come già nel dicembre del 2013 il centro di Donetsk venisse sorvegliato da pattuglie di polizia. Gli agenti mandavano a casa tutte le persone sospette che secondo loro avrebbero potuto prendere parte alle manifestazioni di piazza. Gli studenti-attivisti ricevettero l’avvertimento che avrebbero potuto essere esclusi dall’università per la loro mancata frequentazione delle lezioni. Nel dicembre del 2013, a Luhansk, gli attivisti riuscirono a organizzare solo al terzo tentativo una proiezione pubblica del film Mezhyhir’ya sulla vita di Viktor Yanukovych [il titolo di questa pellicola derivava dal nome della residenza di lusso del quarto presidente dell’Ucraina: Viktor Yanukovych, appunto – N.d.T. ). In occasione del primo tentativo di mostrare il film, qualcuno aveva manomesso il sonoro. E, in occasione del secondo tentativo, venne invece manomesso il proiettore. Il terzo tentativo ebbe finalmente successo, anche se la proiezione fu accompagnata da esplosioni di petardi e fumogeni: il cosiddetto “terrorismo rumoroso” è una vecchia tecnica sovietica per combattere quelli che non sono d’accordo con il regime. A Luhansk le voci dei partecipanti all’Euromaydan venivano invece coperte da canzoni russe su Babbo Natale.
Alla fine di dicembre del 2013 gli agricoltori della provincia di Maryinka, guidati da Vitaliy Pozhydayev, furono convocati per un colloquio all’Agenzia delle entrate di Donetsk per aver devoluto all’Euromaydan di Kyjiv le quote dell’Associazione degli agricoltori.
A partire da gennaio del 2014 per gli attivisti dell’Euromaydan donetskiano la situazione cominciò a peggiorare seriamente. I canali televisivi locali li dipingevano come degli estremisti che volevano abbattere Viktor Yanukovych. Gli attivisti dell’Euromaydan di Donetsk ricordano di aver ricevuto dei messaggi minatori sui loro telefoni cellulari e sui loro account social. E messaggi di questo tipo furono inviati non solo a chi partecipava alle manifestazioni, ma perfino a persone che in quel momento non si trovavano neppure in città. Dai messaggi si passò ad affiggere dei manifestini minacciosi con le fotografie, gli indirizzi e i dati privati degli attivisti.
Le pressioni psicologiche furono presto accompagnate anche da pressioni fisiche. Il 19 gennaio 2014 a Donetsk arrivarono i titushky [così venivano chiamati gli agenti mercenari che, perlopiù con la testa rasata e spesso in abiti sportivi, operavano a sostegno dei servizi di sicurezza ucraini durante la residenza di Yanukovych. Il loro nomignolo derivava dal nome del loro leader, il praticante di arti marziali Vadym Titushko – N.d.T.]. In questa specifica occasione, i titushky provenivano dai boxe club della città di Horlivka gestiti da Armen Sarkisyan, detto anche Horlivsky, un boss criminale legato a Yuriy Ivanyushchenko [un deputato del Partito delle Regioni molto vicino a Yanukovych – N.d.T.]. Tetyana Zarovna, una giornalista di Hazeta po-ukrajinskyj [« Giornale alla maniera ucraina », N.d.T.] dichiarava di avere le prove che i titushky, prima di aggredire gli attivisti, fossero usciti dall’edificio dell’amministrazione regionale, dove avevano sicuramente ricevuto degli ordini specifici.
Cinque attivisti dell’Euromaydan donetskiano che il giorno 22 gennaio 2014 erano stati aggrediti e picchiati si rivolsero per iscritto al governo centrale, accusando il governo locale e l’amministrazione regionale di aver appoggiato e istigato gli aggressori. Secondo alcuni testimoni oculari, la polizia locale non era intervenuta, ma era rimasta a osservare da lontano l’incidente. Questa rimostranza degli attivisti rimase senza risposta.
Di conseguenza, fu la società civile ad assumersi il compito di garantire la sicurezza dei manifestanti. Se a Kyjiv le squadre di samooborona [autodifesa – N.d.T.] erano composte da gente di tutti i tipi, a Donetsk a sorvegliare sulla sicurezza dei manifestanti pacifici erano gli ultras dello Shakhtar, la squadra di calcio della città. La maggior parte degli abitanti della regione non sosteneva né il Maydan, né l’Antimaydan, o perché non condividevano le idee di nessuno dei due movimenti o perché non condividevano la forma di protesta di per sé, « perché il Donbas lavora e non perde tempo a fare chiacchiere in piazza ».
Ma il mancato sostegno da parte di molti abitanti dell’Est dell’Ucraina a un’integrazione europea intesa in senso concreto come ingresso nell’Ue poteva essere spiegato non tanto con un atteggiamento negativo nei confronti dell’Europa, quanto, più semplicemente, con un “complesso di inferiorità” a livello nazionale: quando saremo pronti a trattare con l’Europa allo stesso livello, pensavano in molti, allora potremo integrarci. Alla fine del 2013 la redazione ucraina della BBC riportò in un articolo le ragioni addotte da chi si opponeva all’Euromaydan. Per esempio, una delle persone interpellate, un’imprenditrice della regione di Donetsk, spiegò la sua posizione con queste parole:
« Non sono a favore della firma dell’Accordo di associazione per vari motivi. Uno di questi riguarda il nostro futuro ruolo all’interno dell’Ue. Io penso che saremo soltanto un nuovo mercato di distribuzione per la merce prodotta nell’Unione europea e che invece la nostra merce non potrà mai essere concorrenziale sugli altri mercati europei. E sono anche preoccupata per la richiesta da parte dell’Ue di alzare il costo del gas e delle bollette per i cittadini senza che crescano gli stipendi e le pensioni. A quanto ne so, il 30 per cento degli ucraini già non riesce a pagare le bollette – e non siamo ancora arrivati ai prezzi europei. Tutta l’economia dell’Ucraina è connessa ai mercati dei Paesi della Comunità degli Stati indipendenti [l’organizzazione internazionale, di cui l’Ucraina non fa parte, che è composta da nove delle quindici ex Repubbliche sovietiche – N.d.T.]. Questo ci garantisce posti di lavoro, mercati di distribuzione ed entrate nel bilancio statale. La fine di questo legame significherebbe la chiusura delle fabbriche e, di conseguenza, il default.Nessuno ci impedisce di alzare il livello della cultura e dell’istruzione agli standard europei. Lasciamo che i giovani che oggi protestano in piazza studino secondo quegli standard e ricevano i voti che si meritano, senza che entri in gioco la corruzione. E facciamo in modo che i titoli di studio rilasciati dalle nostre Università siano riconosciuti a livello europeo. Nessuno ci impedisce di occuparsi dell’ambiente, di prenderci cura del nostro Paese, di crescere, di diventare una nazione di grande cultura piena di grandi intellettuali e, solo dopo, di entrare nell’Unione europea. Innanzitutto, dobbiamo fare pulizia in casa nostra: dobbiamo fare in modo che il governo smetta di derubare i cittadini e dobbiamo ambire a una giustizia che sia tale per tutti, perché tutti devono avere gli stessi diritti come nel resto d’Europa ».
Alcuni di questi concetti-chiave – come, ad esempio, la paura che il proprio Paese fosse destinato a diventare solo un mercato di distribuzione; la convinzione che i prodotti ucraini fossero poco concorrenziali; l’idea che prima si dovessero fare le riforme e solo dopo entrare nell’Ue; il timore che non si potesse ottenere un’adesione equa – continuarono a circolare tra gli abitanti dell’Ucraina orientale anche negli anni successivi. E anche i focus group organizzati rispettivamente nel 2018 e nel 2020 dalla fondazione Iniziative democratiche e dal centro La nuova Europa evidenziarono risposte di questo tipo nei sondaggi da loro condotti.
Il Maydan donetskiano raggiunse il suo picco proprio quando il Maydan di Kyjiv piangeva ormai gli eroi della Centuria celeste [la struttura autorganizzata del Maydan applicava una suddivisione in centurie, presa in prestito dalla tradizione dei cosacchi: con l’espressione “Centuria celeste” si indicano i manifestanti uccisi nel Maydan di Kyjiv il 22 febbraio 2014 – N.d.T.]. Nel Donbas, con l’arrivo dei militari russi, delle bande radicalizzate e dei mercenari, era iniziata “la primavera russa”. E allora a Donetsk scesero in piazza persino molti di quelli che prima di allora si erano tenuti lontani dall’Euromaydan. Lo slogan della protesta che il 13 marzo 2014 vide una partecipazione di diecimila manifestanti fu: “Per l’unità e per la pace in Ucraina”. A organizzare quel presidio fu il nuovo Comitato delle forze patriottiche del Donbas. Quel giorno, in conseguenza di ferite inferte con un’arma da taglio, morì il primo eroe della Centuria celeste di Donetsk, il ventiduenne Dmytro Chernyavskyy, portavoce del partito politico nazionalista Svoboda.
Dopo il 20 febbraio 2014 ebbero luogo anche a Luhansk analoghe manifestazioni “Per l’Ucraina unita”.
Le proteste andavano avanti, ma andava avanti, però, anche la farsa delle autoproclamate “Repubbliche popolari” di Donetsk e di Luhansk. Il 17 aprile 2014 fu denunciata la scomparsa di Volodymyr Rybak, rappresentante del partito Batkivshchyna [guidato da Yuliya Tymoshenko – N.d.T.] nel Consiglio comunale della città di Horlivka. Alcuni giorni dopo fu trovato il suo corpo che mostrava evidenti segni di tortura. Rybak, prima di scomparire, aveva cercato di ricollocare al suo posto nella sala consiliare la bandiera ucraina che era stata sostituita da quella dell’autoproclamata “Repubblica di Donetsk”. Rimanere nelle città occupate stava diventando sempre più pericoloso e nel maggio del 2014 molti abitanti delle due regioni furono costretti a lasciare le loro case. Da quel momento inizia la storia di quell’occupazione russa dei territori ucraini nella regione di Donetsk e in quella di Luhansk che dura ancora oggi e che va oltre le pagine di questo libro. L’ultima forma di protesta pacifica che si svolse ancora per qualche mese nella Donetsk occupata fu la Maratona di preghiera, che si teneva in un piccolo gazebo in piazza della Costituzione, vicino al fiume Kalmius, in cui sacerdoti di varie confessioni pregavano per l’Ucraina.
Per approfondire consigliamo la lettura del volume completo Il Donbas è Ucraina di Kateryna Zarembo, traduzione di Yaryna Grusha, Linkiesta Books, 2023.