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Jokić, Dončić e il basket ex-jugoslavo. Intervista con Roberto Carmenati

L’ex Jugoslavia vantava in passato alcune delle migliori scuole cestistiche al mondo. Probabilmente è anche grazie a questo considerevole retaggio culturale, che in un modo o nell’altro si è tramandato alle nuove generazione di atleti, se oggi alcuni dei maggiori talenti della palla a spicchi possono calcare i più importanti palcoscenici dell’NBA.

Per comprendere dove sta andando il basket jugoslavo, come è cambiato nel tempo e quale è oggi il valore degli applauditissimi Jokić e Dončić, abbiamo posto una serie di domande all’ex allenatore dell’Olimpia Milano Roberto Carmenati. Carmenati svolge la professione di talent scout per i Dallas Mavericks ed è stato tra coloro che, lavorando dietro le quinte, hanno contribuito a portare il wonder boy sloveno Luka Dončić da Madrid in NBA.

Quali sono i maggiori talenti della pallacanestro provenienti dal centro-est Europa attualmente sotto contratto negli Stati Uniti?

Nikola Jokić e Luka Dončić guidano il drappello dei migliori giocatori del blocco balcanico e centro-europeo. Seguono Nikola Jović, Bogdan Bogdanović e Vasilije Micić. Sarà interessante vedere come quest’anno Nikola Topić rientrerà dall’infortunio al ginocchio. È un altro giocatore di grande spessore. Infine, non tralascerei dal novero il promettente Aleksej Pokuševski, cestista serbo con cittadinanza greca, interessante ed atipico, con caratteristiche importanti che devono ancora emergere appieno.

Come è cambiato il metodo di reclutamento delle giovani promesse dai tempi di Divac e Petrović ad oggi?

La differenza fondamentale nel reclutamento dei giocatori europei rispetto a trent’anni fa sta nella precocità. Mi spiego. Oggi i ragazzi a diciotto anni, senza aver provato nulla delle esperienze nelle serie senior europee e men che meno senza essersi affermati in Europa, puntano direttamente all’NBA, trovando un mercato relativamente facile a cui accedere. Un tempo le dinamiche erano ben diverse.

Luka Dončić (foto di Erik Drost – Flickr)

Se parliamo della generazione di Petrović, Divac, Kukoč, Danilović, oppure di Marčiulionis e Sabonis, dobbiamo riconoscere che erano delle stelle affermate in Europa. Hanno avuto l’accesso in NBA solamente nel pieno della loro carriera.

Oggi abbiamo ragazzi che si presentano al draft a diciotto anni, avendo giocato, nel migliore dei casi, solo qualche partita in Eurolega, oppure anche prima, subito dopo essersi affermati al torneo di Eurolega junior. Una volta invece c’erano i riferimenti geografici regionali ben noti e chiari. Trenta o quarant’anni fa le società di basket si affidavano a degli allenatori/maestri bravi, attorno a cui crescevano non solo delle stelle, ma anche tanti bravi giocatori. Questo succedeva, appunto, trenta o quarant’anni fa, mente adesso non è più così.

Ritornando a Jokić e Dončić, entrambi sono dei fenomeni fuori dal comune. In cosa si distinguono?

Nikola Jokić era un giocatore per così dire “normale” nel Mega di Belgrado. Non ha avuto il tempo di esplodere con la compagine serba, ma un’esplosione effettiva in quanto a talento l’ha fatta proprio nell’NBA con i Denver Nuggets – franchigia con cui ha vinto il titolo NBA 2023 e dove è stato eletto MVP della serie finale.

Luka Dončić era invece un talento precoce. Due anni prima di accasarsi in NBA era già la stella del Real Madrid, squadra con cui ha vinto l’Eurolega e il titolo MVP del più prestigioso torneo europeo per club. Lasciava intravedere già da giovanissimo delle grandi potenzialità. Tuttavia, i dubbi su di lui da parte dei talent scout erano legati al suo atletismo. Qui va fatta però un’importante puntualizzazione.

Spesso si concepisce l’atletismo in modo riduttivo e fuorviante, dato che si tende a ridurlo all’esplosività o alla capacità di accelerazione del singolo, come se si trattasse di un velocista puro. Non si apprezza abbastanza l’atletismo in termini di coordinazione, in fatto di controllo del corpo, velocità di piedi e in fatto di equilibrio: tutti elementi in cui Luka eccelleva e in cui primeggia tuttora.

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Proprio lei, Roberto Carmenati, è stato tra coloro che invece non hanno avuto dubbi sulle qualità di Luka…

Seguendo la sua parabola, l’ho visto dal vivo nel suo esordio da titolare contro il Darussafaka a Istanbul giocare contro Brad Wanamaker. Luka, giocando titolare anche per via di alcune assenze nel Real Madrid, finì la partita con 5 punti a referto e con 4 falli fatti. Si vedeva che in quella serata tecnicamente non era al suo posto. Ha però poi fatto in men che non si dica un rapido progresso anche in Eurolega. Dieci mesi dopo quell’esordio Luka, infatti, guidava la Slovenia ai campionati europei. Insomma, la sua crescita esponenziale è stata inarrestabile. Si capiva che avrebbe potuto giocare molto bene anche in NBA.

Nell’ultima stagione i suoi Dallas Mavericks sono arrivati fino alla finale del campionato americano, nella quale hanno dovuto però ammettere la superiorità dei Boston Celtics. Cosa è mancato a Dončić e compagni alla fine?

Aver vinto la Western Conference per Dallas significa aver fatto un campionato straordinario. Arrivare in finale NBA è un grande traguardo, che non va assolutamente sminuito. La compagine capitanata da Dončić ha eliminato Clippers, Oklahoma City, Minnesota. Boston è arrivata in finale con più profondità in quanto a talento, ricordiamo che ad inizio campionato ha preso il lettone Kristaps Porziņģis e il playmaker Jrue Holiday, che aveva già vinto il campionato americano a Milwaukee. Potremmo dire che, visti i campionati precedenti del 2022 in cui hanno perso le finali NBA e del 2023 in cui hanno perso la finale di Conference, per Boston è valso il detto secondo cui “prima di vincere bisogna passare per qualche cocente delusione”.

Sono convinto che il futuro sorriderà ai Dallas Mavericks, un club che nei prossimi cinque anni, secondo me, potrà arrivare in finale almeno un paio di volte ancora.

Goran Dragić (Wikimedia/All Pro-Reels – Flickr)
Un capitolo importante per Luka è la nazionale slovena, che, avendo recentemente perso prima contro la Croazia, e poi contro la Grecia, non potrà stavolta disputare le Olimpiadi.

Partiamo invece rammentando che la Slovenia ha fatto un risultato straordinario quattro anni fa proprio alle Olimpiadi, sfiorando la finale, senza dimenticare quanto sia difficile qualificarsi ai Giochi olimpici. Fatta questa precisazione, direi che il nucleo della Slovenia necessita in effetti di un supporto maggiore a favore di Dončić, il quale deve arrivare ai tornei nelle condizioni agonistiche adeguate, e non dopo aver giocato cento partite ed aver comprensibilmente esaurito le energie mentali e fisiche. Il ragazzo ci tiene particolarmente e credo che vincere qualcosa con la Slovenia sia per lui il massimo – anche più che vincere in NBA.

Il ciclo è fatto ancora da giocatori relativamente giovani: pensiamo a Vlatko Čančar, al nuovo innesto Josh Nebo e a Dončić stesso. Pertanto, ritengo che la Slovenia sarà competitiva anche nei prossimi anni.

A proposito, giorni fa la Slovenia ha conquistato la medaglia d’argento agli europei under 20 in Polonia…

Che peccato! La Slovenia avrebbe meritato il primo posto. In finale contro la Francia ha buttato via la gara negli ultimi tre minuti.

Quali sono i paesi che attualmente nella palla a spicchi stanno tirando su i migliori talenti?

Guardando alle dimensioni dei paesi quali la Slovenia, la Croazia, il Montenegro e la Serbia notiamo subito che il blocco balcanico produce molti giocatori di talento. È chiaro che il livello di competizione è notevole. Ravviso persino ulteriori spazi di miglioramento. La Croazia, per esempio, ha un buon serbatoio di giovani, ma molto spesso non riesce a ottimizzare il loro potenziale.

È interessante pure lo sviluppo recente del gruppo baltico. Mi riferisco a Estonia, Lettonia, oltre che alla Lituania – un Paese che ha una lunga tradizione cestistica.

Guardando al basket dell’ex Jugoslavia come mai non ci sono più club forti come un tempo, in grado di primeggiare in Europa?

Ciò che è cambiato nel tempo sono la natura delle squadre e la velocità nei trasferimenti dei giocatori. Come menzionato prima, oggi ci sono trasferimenti in età molto giovane, cioè all’età di quattordici, quindici o sedici anni. Non c’è più il tempo di crescere con lo stesso gruppo, con gli stessi compagni di squadra e con lo stesso allenatore, come accadeva un tempo nelle realtà come lo Zadar, il Partizan, la Jugoplastika Spalato. All’epoca si costituivano dei nuclei di talenti che rimanevano insieme per tanti anni sin dalle giovanili. Viceversa, oggi i giocatori si spostano velocemente. Pertanto, non c’è più una radice singola.

Persino una realtà locale e relativamente modesta come la squadra slovena del Krka Novo Mesto tanti anni fa è riuscita a giocare alla pari con un colosso come il Panathinaikos. Oggi ciò sarebbe surreale. Cosa è cambiato?

Il panorama è alquanto esteso. Si gioca a pallacanestro ovunque e ci sono altresì investimenti un po’ ovunque. Ci sono molte competizioni, tante squadre in Eurolega e in Eurocup. Per partecipare ci vogliono risorse finanziarie e un buon budget complessivo. C’è una diluizione del talento e una riduzione delle squadre in grado di fare cospicui investimenti. In rapporto ai migliori standard europei, direi che i progetti del Partizan e della Stella Rossa sono molto competitivi e molto interessanti.

Chi sono gli allenatori dell’ex Jugoslavia che hanno influito maggiormente su questo sport?

La scuola tecnica serba, che deriva dal grande Aca Nikolić, ha prodotto allenatori di assoluto prestigio. Pensiamo a Bogdan Tanjević, Želimir Obradović, Božidar Maljković, Svetislav Pešić, Dušan Ivković e tanti altri ancora. Si tratta di una grandissima scuola a livello europeo, da cui c’è solo da imparare. Non va poi dimenticata né sottovalutata la scuola tecnica di Zmago Sagadin a Lubiana.

Intervista a Roberto Carmenati - Želimir Obradović
Želimir Obradović (foto Mitja Stefancic)

Queste scuole cestistiche erano un vero e proprio riferimento a livello territoriale. In tutta la regione c’era la scuola tecnica che faceva capo a loro. Oggi questo un po’ manca. La logica è simile a quella descritta sopra per i giocatori, anche gli allenatori sono infatti soggetti a trasferimenti più rapidi di quanto non accadeva in passato, con tutto quel che ne consegue.

Infine, un commento su un giocatore simbolo, che si è appena ritirato, un giocatore apprezzato sia in America sia in Slovenia: Goran Dragić.

Dragić è un grande giocatore, un grande campione. In NBA è riuscito a dimostrare molto di più di quanto è riuscito a fare in Europa. È partito per l’NBA giovane. Rappresenta l’eccellenza sia dentro sia fuori dal campo. Mi associo a togliermi il cappello e a celebrargli una standing ovation.

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Mitja Stefancic
Mitja Stefancic

Nato a Trieste, dopo gli studi conseguiti all’Università dell’Essex e all’Università di Cambridge, è stato cultore in Economia politica all’Università di Trieste. È stato co-redattore della rivista online di economia “WEA Commentaries” sino alla sua ultima uscita. Si interessa di economia, sociologia e nel tempo libero ha seguito regolarmente il basket europeo ed in particolare quello dell’ex-Jugoslavia nel corso degli ultimi anni. Ha tradotto per vari enti ed istituzioni atti e testi dallo sloveno all’italiano e dall’italiano allo sloveno.