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Romania, se la Corte Costituzionale ti annulla le elezioni

Il 6 dicembre i giudici della Corte Costituzionale rumena hanno annullato le elezioni presidenziali. Due giorni prima del secondo turno, quando il voto in diaspora era ormai avviato (avevano votato già più di 37mila elettori), la Corte ha annullato il primo turno delle presidenziali.

Si ritiene che nuove elezioni si svolgeranno in primavera e, quindi, Klaus Iohannis resterà presidente fino a data da determinare. Il secondo turno, previsto per l’8 dicembre, si sarebbe svolto tra Călin Georgescu (22,94%) ed Elena Lasconi (19,17%). Il terzo candidato in classifica è stato Marcel Ciolacu (19,14%), l’attuale capo di governo del paese.

La decisione della Corte Costituzionale

La decisione della Corte è stata presa ai sensi dell’articolo 146, lett f), che di per sé non dice granché, se non che la Corte: “f) garantisce il rispetto della procedura per l’elezione del Presidente della Romania e conferma i risultati della votazione.”

L’intero processo elettorale sarà ripreso “nella sua interezza” dal governo, in una nuova data, che sarà comunicata successivamente dall’esecutivo”. Nel comunicato stampa della Corte si legge che: “Gli argomenti addotti per giustificare la soluzione pronunciata dalla Plenaria della Corte Costituzionale saranno presentati nel contenuto della Decisione, che sarà pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Romania, parte I”. La decisione ufficiale non è ancora stata resa nota, ma è stato divulgato che questa è nata dalla declassificazione del Consiglio Supremo di Difesa del Paese di cinque documenti secretati.

Cosa contengono questi documenti?

La lista è consultabile qui: cinque documenti di poche pagine ciascuno. Le considerazioni sono di due ordini diversi: normative e geopolitiche. Le prime si riferiscono alle violazioni delle leggi (nel caso specifico la 208/2015) riferibili alla gestione delle informazioni durante la campagna elettorale, le ultime a relazioni internazionali tra stati avversari all’interno di un determinato spazio geografico più o meno esteso.  

Le considerazioni normative sono quelle più estese. Per esempio, nel primo documento, del Ministero degli Interni, si dettaglia come su TikTok un centinaio di influencer rumeni con un seguito collettivo di 8 milioni di profili abbiano promosso la candidatura di Călin Georgescu negli ultimi giorni di campagna elettorale. Tra il 13 e il 26 novembre, l’attività è stata tanto intensa che i video in questo trend hanno raggiunto il nono posto a livello mondiale. Il Ministero ritiene che la piattaforma abbia violato le disposizioni dell’Autorità Elettorale Permanente (AEP) rispetto alle norme di silenzio preelettorale. Gli influencer in questione sono stati pagati da un attore esterno (si legga Russia) e molto spesso manipolati nella loro attività di sponsorizzazione di Georgescu.

L'estrema destra in Romania ha vinto le elezioni parlamentari. Una fotografia della sede del parlamento della Romania. Corte costituzionale
Il Parlamento romeno (Meridiano 13/Gianni Galleri)

Nel terzo documento, prodotto dai servizi informativi, si spiega come TikTok e l’Autorità Elettorale Permanente rumena abbiano discusso rispetto alle violazioni delle norme disposte da quest’ultima, ma la piattaforma non avrebbe rimosso i video in violazione delle norme come richiesto dall’AEP. L’attività di organizzazione dei profili TikTok è avvenuta attraverso Telegram. Si fa inoltre notare che seppur Georgescu abbia dichiarato di aver speso zero lei per la campagna elettorale, il cittadino rumeno Bogdan Peșchir abbia speso circa un milione di dollari su TikTok per la sua sponsorizzazione. Peșchir è stato rilasciato dalla polizia l’8 dicembre, ma 7 milioni di dollari sui suoi conti correnti sono stati sequestrati.

Nel quarto documento, anch’esso prodotto dai servizi informativi, si rendono noti i tentativi di attacchi informatici alle piattaforme elettorali rumene (circa 85mila) e provenienti da 33 stati. Eppure, nel quinto documento, il Servizio Speciale di Comunicazione, sostiene che tutti gli attacchi informatici siano stati respinti senza alcun danno o malfunzionamento per il sito dell’AEP.

Nel secondo documento, quello del sistema informativo esterno, ci sono invece considerazioni geopolitiche e si legge che: “La Russia ha invaso lo spazio informativo con narrative divisive e a sostegno di vettori […] associati al Cremlino”. Interessante notare come si menzionino direttamente le elezioni svoltesi tra ottobre e novembre in Repubblica Moldova, dove la macchina propagandistica e di compravendita di voti è stata decisamente agguerrita. Scrivono che : “La Romania è percepita dai centri decisori di Mosca come uno stato ostile (non amichevole) […] rappresenta un concorrente diretto in Repubblica Moldova”. Nella comunicazione si menzionano direttamente anche la Nato e la guerra in Ucraina.

Che conclusioni trarne?

Quella che segue è una riflessione dove si troveranno più domande che risposte. Questo fatto politico stimola, infatti, una riflessione più ampia sullo stato in cui versano le nostre democrazie. La Romania ha subito un attacco e ingerenze da parte di una potenza straniera nello svolgimento delle proprie elezioni. Si è saputa difendere? Senz’altro. Gli attacchi non sono andati a buon fine e la difesa informatica del paese ha retto il colpo. Perché allora la Corte ha annullato le elezioni?

La conclusione logica che sembra emergere (ma per una valutazione conclusiva sarebbe opportuno attendere di leggere la decisione della Corte) è che, vista l’asimmetria informativa causata da un comportamento scorretto di TikTok, le elezioni non sono valide. Se questo è il ragionamento della Corte, le conclusioni sono completamente prive di senso e arbitrarie e, in quanto tali, pericolose.

Pur essendo un concetto normalmente usato in ambito economico, l’asimmetria informativa si applica bene ai discorsi elettorali. Questa è una condizione in cui un’informazione non è condivisa integralmente fra gli individui facenti parte dello stesso processo, in questo caso, quello elettorale. Perché questa condizione, di base, non è sufficiente per invalidare delle elezioni? È semplice, perché l’asimmetria informativa è sempre in atto.

Si parte dal presupposto che, se i rumeni fossero stati esposti alla giusta quantità di informazioni da parte di tutti i candidati, Georgescu non avrebbe vinto al primo turno. È difficile negare che la popolarità di Georgescu era praticamente inesistente prima del suo boom TikTok, ma in che realtà, in futuro, uno stato sarà in grado di vigilare rispetto a tutte le piattaforme social? Quando lo stato sarà in grado di gestire tutte le informazioni pervenute ai cittadini? E in quale realtà questo dovrebbe essere considerato giusto?

A mio avviso, una reazione proporzionata alle informazioni declassificate dal Consiglio Supremo di Difesa del Paese sarebbe stata quella di una grossa multa ai danni di TikTok che avrebbe dovuto spingere la piattaforma a vigilare più e meglio rispetto ad altre elezioni, ma l’annullamento complessivo racconta di una debolezza sistemica del processo democratico rumeno.

Com’è possibile che Donald Trump abbia potuto vincere nonostante il sostegno di Elon Musk e di X e che la Corte Suprema americana non abbia trovato nulla da eccepire rispetto a questo? Quale delle due scelte ha senso, quella rumena o quella americana? Personalmente ritengo che non esista persona che possa evitare di manifestare un’opinione politica, e vivere nell’ipocrisia che la neutralità sia possibile anche quando il nostro mondo si regge su monopoli informativi (Facebook, TikTok, X) e di consumo (Amazon) è esasperante. Ormai non sembra esistere differenza tra la politica e il marketing.

Infine, chi dice che solo la quantità di informazioni è rilevante? Che dire della qualità? Probabilmente la narrazione di Georgescu, fatta di opposizione allo status quo, risulterà sempre più attrattiva rispetto a quella fatta di pazienza e di riforma progressiva. Ma soprattutto, la Corte ha privato i propri cittadini della possibilità di provarle che ha torto, che non hanno bisogno di qualcuno che decida per loro ma solo di decidere. Probabilmente questa decisione avrà fatto infuriare chi ha votato Georgescu e avrà dato ragione alle frotte di complottisti che dicono che i nostri sistemi democratici poi tanto democratici non sono.

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Gian Marco Moisé
Gian Marco Moisé

Ricercatore e divulgatore scientifico, esperto in relazioni internazionali, scienze politiche e dell'area dello spazio post-sovietico con un dottorato conseguito alla Dublin City University. Oltre all’italiano parla inglese, francese, russo, e da qualche mese studia romeno.