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Violenza domestica in Kazakhstan: giustizia per Saltanat

Dopo un processo durato due mesi, un tribunale di Astana ha condannato l’ex ministro dell’Economia Kuandyk Bišimbaev a ventiquattro anni di reclusione per l’omicidio della compagna Saltanat Nukenova. 

Quella che potrebbe sembrare una notizie di ordinaria, seppur tragica, cronaca nera ha invece un significato notevole per la repubblica centroasiatica. Il processo, le cui sedute hanno più di 50mila visualizzazioni su YouTube, ha scosso la coscienza di gran parte della popolazione e riportato in auge il tema della violenza domestica, un problema sistemico in ogni parte del mondo.

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Dati e numeri

Nel 2023 un report dell’ombudsman (difensore civico) Artur Lastaev ha rivelato come, nonostante il numero degli omicidi sia significativamente diminuito negli ultimi anni, in ambito domestico questo numero sia rimasto più o meno invariato. Inoltre, stando ai dati dell’Istituto Nazionale di Statistica i casi (registrati) di violenza nei confronti delle donne sono cresciuti esponenzialmente tra il 2000 e il 2022, cosa che potrebbe indicarne un aumento ma potenzialmente anche un incremento del numero delle denunce.

Dal punto di vista legislativo, nel 2015 gli articoli 79.1 e 79.3 del codice degli illeciti amministrativi che punivano i casi di percosse vennero resi reato e inseriti nel codice penale. Già nel 2017 il reato di percosse venne decriminalizzato, suscitando reazioni opposte tra le attiviste. Se da una parte sulla vittima non ricadeva più la responsabilità di provare di aver subito violenze, allo stesso tempo non molte desideravano vedere il marito in prigione.

A conferma dell’efficacia di misure più severe ci sono i dati del report citato in precedenza: tra il 2015 e il 2017 i casi di omicidi tra le mure domestiche si erano dimezzati, scendendo da 188 a 82 nel primo anno. I numeri sono poi tornati a salire nel 2018, in seguito alla depenalizzazione del reato. Nel 2023 tra le mura domestiche si sono consumati 108 omicidi, il 23% del totale.

Nello stesso anno in Italia, la cui popolazione è circa tre volte quella kazaka, si sono registrati 146 casi (di cui 97 vittime di sesso femminile), che rappresentano il 44% del totale. Nonostante una notevole riduzione degli omicidi negli ultimi anni in Kazakhstan (così come in Italia), il numero di quelli commessi in ambito domestico è rimasto invariato. Tra le altre cose, il report del commissario per i diritti umani sottolinea l’inutilità di misure cautelari in quanto raramente l’autore delle violenze dispone di un domicilio alternativo a quello condiviso con la vittima. Per questa ragione misure cautelari sono applicate solo nell’1% dei casi. Spesso inoltre la donna, costretta ad allontanarsi dal proprio domicilio, è vittima di un ulteriore trauma psicologico.

Il processo e le altre Saltanat

Il caso di Saltanat rappresenta un catalizzatore per un tema la cui importanza le attiviste femministe non hanno mai smesso di sottolineare, nonostante la mancata collaborazione delle autorità in diverse occasioni.

Poche settimane prima dell’inizio del processo infatti l’akimat (governatore) di Almaty, la principale città e capitale culturale del Kazakhstan, aveva respinto più volte la richiesta di attiviste femministe di organizzare una marcia in occasione dell’8 marzo. Le autorità hanno giustificato la scelta parlando di diverse lamentele ricevute dalla cittadinanza e sottolineando che le precedenti manifestazioni non avevano rispettato gli scopi dichiarati nella domanda presentata. L’accusa principale è stata quella di fare propaganda riguardo “relazioni non tradizionali” e di mostrare simboli LGBTQ+.

La condanna dell’ex ministro è arrivata in seguito a un processo seguito con attenzione come dalla popolazione così dalle autorità kazake. In diverse città europee come Milano e Praga si sono tenute manifestazioni a supporto di Saltanat, vittima delle violenze sin dagli inizi della relazione con Bišimbaev. Quest’ultimo nel corso del processo ha cercato in ogni modo di convincere i giurati di essere la vittima di un processo mediatico e ha più volte respinto le accuse di omicidio con l’aggravante della crudeltà e torture, chiedendo di essere punito solamente per omicidio colposo, punito con reclusione fino a tre anni.

Tuttavia, i materiali del processo, tra cui diversi video sul cellulare dell’imputato e quelli recuperati dal sistema di videosorveglianza (che l’ex ministro aveva fatto cancellare) e le deposizioni degli esperti di medicina legale, mostrano molto chiaramente le circostanze che hanno portato alla morte di Saltanat nel novembre dello scorso anno.

Non tutti sono apparsi soddisfatti dalla condanna comminata: tra queste un gruppo di attiviste che ha organizzato una marcia nel centro di Almaty, chiedendo che il colpevole venisse condannato all’ergastolo. Con favore invece è stata vista l’approvazione della “legge Saltanat”, sulla base di un progetto di legge già esistente. Il Senato ha così nuovamente criminalizzato atti di violenza domestica che ora possono essere perseguiti anche in assenza di denuncia della vittima.

Tuttavia, alcuni esperti hanno notato l’assenza di misure cautelari come l’allontanamento immediato ma anche l’uso di termini come “valori familiari tradizionali” che possono essere usati per giustificare pratiche dubbie. Un’altra iniziativa del governo è stata annunciare l’apertura di commissariati di polizia composti solamente da donne in ogni città della repubblica. In Kazakhstan inoltre già da diversi anni operano diverse organizzazioni come krizis centr o nemolči.kz e alcune più recenti come il fondo Saltanat aperto dal fratello di Saltanat.

Sull’onda del processo a Bišimbaev sono emersi numerosi eventi simili a quello di Saltanat. Tra questi c’è il caso della moglie di un diplomatico kazako negli Emirati Arabi Uniti, che è stato immediatamente richiamato in patria in seguito alla denuncia della donna e successivamente licenziato. Inoltre, il 14 aprile un uomo è stato condannato a 11 anni di reclusione per aver tentato di uccidere la compagna con un tagliacarte. 

Immagine di copertina concessa dalla Corte Suprema della Repubblica del Kazakhstan

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Luca Zucchetti
Luca Zucchetti

Laureato in Russian and Eurasian Studies alla Università Carolina di Praga e in Lingue e Letterature Straniere all'Università Cattolica, brevemente studente alla NSPU di Novosibirsk. Si interessa principalmente di ambiente, attivismo politico, diritti umani, società civile e libertà di informazione in Russia e Asia Centrale. Precedentemente ha collaborato con Scomodo e East Journal.