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Templi dorati, monaci in abiti dai colori vivaci e, ovunque, riferimenti all’astrologia tibetana. Dove siamo? Non agli estremi confini del continente asiatico, come potreste immaginare, ma nel mezzo del continente europeo, alle porte del Caucaso, in una regione autonoma della Federazione Russa che si affaccia sul Mar Caspio. Ben arrivati in Calmucchia, dove si gioca a scacchi e si vive secondo le credenze buddiste tibetane!
Chi sono i calmucchi?
Nel bel mezzo della Russia ortodossa, tra le steppe desertiche color ocra che si estendono per chilometri e chilometri fino a formare la cosiddetta depressione caspica, sorge una piccola repubblica dove vive una comunità etnica e linguistica perlopiù sconosciuta: quella dei calmucchi. Il capoluogo di questa repubblica autonoma, che porta il nome di Elista (Elesütü in lingua oirata) ed è abitata da un terzo dei 267 mila abitanti, conserva una storia movimentata e molto curiosa.
All’inizio del Seicento, in questi territori desertici, si insediarono gli oirati, dei nomadi buddisti provenienti dalla Mongolia occidentale che praticavano la pastorizia e che decisero di rimanervi in pianta stabile: da qui il nome “calmucchi”, parola di origine turca che significa “coloro che sono rimasti”. In queste terre, i calmucchi fondarono un khanato lungo il delta del Volga secondo usi e costumi tradizionali, tra cui la pratica del buddismo tibetano: la repubblica è infatti l’unico territorio buddista del continente europeo e la città di Elista, nota capitale degli scacchi, ne è il centro nevralgico.
Arrivati nel XVII secolo dai territori dell’Asia Centrale furono proprio i calmucchi a controllare la vasta area della Grande Tataria (o Tartaria – XIII-XIX secolo), che si estendeva dalla Cina al Don e attraversava la Siberia settentrionale. La storia di questo popolo è molto ricca e decisamente complessa: in epoca sovietica la popolazione subì prima la collettivizzazione negli anni Trenta, quindi una deportazione di massa in Siberia nel 1945; solo nel 1958 la repubblica ottenne la sua autonomia, status che mantiene ancora oggi all’interno della Federazione Russa.
La Calmucchia dopo il 24 febbraio
L’amministrazione regionale di questa repubblica autonoma della Federazione Russa è oggi una delle più rigide di tutto il paese in termini di repressione del dissenso politico. La propaganda delle idee nazionali calmucche è vista come estremismo o separatismo e viene repressa con particolare durezza dall’attuale presidente della repubblica, Batu Chasikov, e dal vice premier Dmitrij Viktorovič Trapeznikov, entrambi leader in stretti rapporti con il Cremlino. In particolare, Trapeznikov – che prima di diventare sindaco di Elista nel 2019 e successivamente vice primo ministro della repubblica nel febbraio 2022, è stato il Comandante supremo delle forze armate della Repubblica Popolare di Doneck (dal 31 agosto al 7 settembre 2018) – non è particolarmente apprezzato dai cittadini calmucchi in quanto estraneo alla storia della loro identità e cultura.
“Hai disprezzato la lingua ucraina, hai distrutto la lingua ucraina nel Donbas. Sei venuto a Elista per distruggere anche la lingua calmucca?” – un attivista calmucco durante le proteste contro la nomina di Trapeznikov a sindaco nel 2019.
Già nel 2021, come ricorda lo storico Anton Drobovyč e direttore dell’Istituto ucraino per la memoria nazionale, i cittadini calmucchi avevano tenuto un summit nazionale a Elista che accusava il Cremlino di etnocidio clandestino: tra le altre cose, l’oggetto della protesta era la pessima gestione delle scarse risorse idriche. Naturalmente, il presidente russo Vladimir Putin ha fatto finta di non sentire la voce dei manifestanti calmucchi, poiché lui stesso ha utilizzato la questione della carenza di acqua potabile nella penisola di Crimea (annessa nel 2014) per esercitare pressioni internazionali sull’Ucraina. Con l’evoluzione del conflitto russo-ucraino dello scorso 24 febbraio, la situazione in Calmucchia non è di certo migliorata.
“Se ci fosse una classifica delle regioni democratiche della Federazione Russa, la Calmucchia occuperebbe purtroppo uno degli ultimi posti per indicatori come la libertà di parola e di riunione”, sostiene Daavr Doržin, giovane originario di Elista che si è trasferito dalla Russia in Armenia dopo la recente invasione russa dell’Ucraina.
L’enclave buddista che circonda il mondo ortodosso
L’ex presidente calmucco Kirsan Nikolaevič Iljumžinov (1993-2010) sognava di modernizzare la Calmucchia e di renderla “ricca come il Kuwait”. Noto per le sue amicizie con l’ex leader libico Muammar Gheddafi e con il presidente siriano Bashar al-Assad – oltre che per aver raccontato di essere stato rapito dagli alieni e di voler trasferire la salma di Vladimir Lenin nella sua repubblica nel 2005 – l’estroso oligarca è stato anche presidente della Federazione internazionale degli scacchi, lo sport per eccellenza di questa regione.
A Elista, durante la sua presidenza, Iljumžinov ha fatto costruire un quartiere ad hoc dedicato alla disciplina chiamato Chess City (gorod šachmat in russo), che comprende una serie di padiglioni in stile americano attorno a un museo dedicato proprio al gioco degli scacchi. Il Palazzo degli Scacchi è una struttura di cinque piani con una moderna facciata in vetro e la cui forma ricorda la tradizionale yurta utilizzata per secoli dal popolo calmucco, un tempo nomade.
Fu lo stesso Iljumžinov, nel 2005, a promuovere la costruzione di quello che attualmente è il più grande tempio buddista in Europa. Davanti al tempio d’oro di Shakyamuni Buddha (Burxn Bagşin altn süm in calmucco) a Elista si trova la statua di un uomo con una lunga barba e un bastone: non è Buddha, ma Tsagan Aav (il “vecchio bianco” in lingua calmucca), una divinità pagana presente anche in Mongolia, dove il suo culto si mescola alla pratica buddista e ai riti sciamanici. I calmucchi che si stabilirono nel basso Volga mantennero questa credenza ed elessero Tsagan Aav a protettore delle steppe e del loro popolo.
Ma passeggiando nella piazza principale, la città cambia tono: bancarelle di incenso e note ruote di preghiera tibetane si affiancano ad affreschi monumentali in stile sovietico che riproducono scene di vita quotidiana. Una quotidianità che pesa sulle spalle dei cittadini calmucchi i quali sono sempre più abbandonati al loro destino dalle autorità locali, che si rivelano incapaci di far fronte a una variegata serie di problemi. La colpa è della povertà disarmante: la Calmucchia è, infatti, una delle regioni più povere della Federazione Russa e le scarse infrastrutture lo dimostrano: interruzioni di corrente, crisi idrica e strade in stati pietosi sono all’ordine del giorno. A Elista, dove si vive meglio rispetto al resto del paese, chi può evita di bere l’acqua del rubinetto, ben lontana dall’essere potabile, e riempie taniche di acqua purificata nelle stazioni a pagamento sparse per la città. Gran parte della rete idroelettrica, ormai obsoleta, ha bisogno di essere rinnovata, ma i lavori di costruzione non procedono.
È sufficiente uscire dalla capitale per vedere questo sfacelo: la strada che porta a sud-est attraversa una steppa sonnolenta, arida e piatta, che si risveglia di tanto in tanto con il passaggio di una mandria di mucche o di uno stormo di uccelli. Alla periferia del villaggio di Chulchuta, a 200 chilometri da Elista, la strada principale finisce all’improvviso e si perde nel paesaggio desertico: a causa delle pratiche di pascolo intensivo e degli effetti del cambiamento climatico, la Calmucchia è diventata il primo deserto antropico d’Europa.
Esiste davvero la lingua calmucca?
Sebbene i calmucchi risiedano geograficamente in Europa, le caratteristiche in comune con le popolazioni di lingua mongola, tra cui oirati e buriati (abitanti della repubblica omonima situata al di sopra della Mongolia), sono notevoli e ben consolidate: non solo a livello fisico si nota una certa somiglianza (tratti mongoli), ma anche cultura e tradizioni sono molto vicine fra loro, malgrado le costanti migrazioni e i conflitti. Inoltre, proprio come molte popolazioni mongole, i calmucchi aderiscono al buddismo tibetano e parlano un idioma che ha una stretta affinità linguistica con quello dei suoi lontani parenti.
Il calmucco è una lingua di ceppo mongolico parlata non solo nella repubblica della Calmucchia, di cui è lingua ufficiale, ma anche in Cina e Mongolia. Secondo alcune fonti, ci sono complessivamente circa mezzo milione di parlanti calmucco, di cui 154.000 in Russia, 200.000 in Mongolia e 139.000 in Cina, ma il loro numero sta drasticamente diminuendo da diversi anni, tanto che si parla di una sua possibile estinzione.
Il linguista Nicholas N. Poppe ha classificato il gruppo di lingue calmucco-oirate come appartenente al ramo occidentale delle lingue mongole, dato che il ceppo si è sviluppato separatamente. Poppe sostiene che, benché le differenze fonetiche e morfologiche siano minime, calmucco e oirato possono considerarsi due lingue diverse, data la significativa diversità lessicale. Il calmucco, ad esempio, ha adottato molte parole di origine russa e tatara.
Parlare di una lingua calmucca unica è, tuttavia, complicato. La popolazione mescola diverse varianti dialettali, torgud, dôrvôd, buzava tra le maggiori. Tutte si condizionano a vicenda e sono state più o meno influenzate dalla lingua russa e dalla politica sovietica di russificazione. In generale, si può dire che i dialetti calmucchi delle tribù nomadi e pastorali della regione del Volga sono quelli più “puri”, mentre quelli parlati lungo il Don si sono sviluppati in stretta interazione con la lingua russa, come conseguenza di un’integrazione amministrativa e militare dei calmucchi ai cosacchi dell’area, alla fine del Settecento.
Il sistema di scrittura del calmucco
Il calmucco è una lingua agglutinante, come gran parte delle lingue uralo-altaiche con un sistema fonetico piuttosto semplice; anche sul piano grammaticale non presenta troppe sorprese, ad eccezione dei dieci casi in cui vengono declinati aggettivi e sostantivi, tra singolare e plurale. Non esiste il genere.
In Calmucchia il 5 settembre si festeggia la Giornata nazionale del sistema di scrittura. Oggigiorno l’alfabeto utilizzato dalla lingua calmucca è il cirillico, che tuttavia è stato riformato e ripensato parecchie volte durante il corso della sua storia. Si possono, infatti, distinguere cinque fasi fondamentali nell’evoluzione della scrittura calmucca.
Fino al XVII secolo la scrittura utilizzata era quella delle antiche lettere mongole (alfabeto uiguro). Ma fu presto reinventata e riadattata da un monaco lamaista appartenente alla tribù hošuud, che nel 1648 applicò all’alfabeto classico mongolo la scrittura fonetica oirata, chiamandolo “Todo Bichig” (letteralmente: alfabeto chiaro). La particolarità del “Todo Bichig” era quella di scrivere dall’alto verso il basso, proprio come nelle lingue mongole tradizionali. Questo alfabeto è tuttora in uso fra gli oirati e i mongoli che abitano in Cina, mentre cadde in disuso nel 1923 tra i calmucchi, che lo abbandonarono definitivamente, e tra i mongoli della Mongolia, che usano ufficialmente dal 1941 l’alfabeto cirillico (integrato da altre due lettere: la Ү e la Ө). Tra 1924 e 1930, infatti, sotto l’influenza della forzata russificazione del regime sovietico, la scrittura calmucca adottò progressivamente l’alfabeto cirillico, sistema di scrittura reso definitivo nel 1938. Ci fu anche una piccola parentesi in cui si cercò di abbracciare l’alfabeto latino, ma senza grandi successi.
Un futuro incerto per la lingua calmucca
La lingua e la cultura calmucca sono in continua lotta per la sopravvivenza. Durante la Seconda guerra mondiale, i calmucchi (non solo quelli accusati di appoggiare l’esercito tedesco, ma anche coloro che combatterono nell’Armata Rossa) furono confinati nei gulag siberiani e sparpagliati in Asia Centrale. Qui fu loro vietato di comunicare in calmucco nei luoghi pubblici e pertanto la loro lingua natale non venne più tramandata alle giovani generazioni.
Sebbene il governo di Nikita Chruščëv, in seguito alla denuncia dei crimini staliniani, permise alla popolazione calmucca di far ritorno nelle terre d’origine e di riprendere le proprie tradizioni, il declino della lingua calmucca era ormai irreversibile. Inoltre, l’accoglienza non fu certo rosea: le terre erano ormai occupate da russi e ucraini, che ci lavoravano e vivevano in maniera fissa. I calmucchi tornati dal lungo esilio, inoltre, parlavano essenzialmente russo.
Di recente sono state approvate alcune leggi riguardanti l’uso del calmucco nei luoghi pubblici, come nei negozi o nelle fermate degli autobus, ma non è sufficiente a far rivivere questa lingua. Televisione e radio non possono permettersi di distribuire programmi nella lingua locale e per ridurre i costi preferiscono lasciare spazio al russo e, ormai, all’inglese. Malgrado le difficoltà, esistono comunque riviste e giornali pubblicati in lingua calmucca, tra cui il Hal’mg ynn (Хальмг үнн – Калмыцкая правда, ovvero “Verità calmucca”), ora presente nella versione bilingue calmucca e russa.
Nel 1999 è stato firmato un disegno di legge sulle lingue dei popoli della Repubblica di Calmucchia, in cui si dichiara che russo e calmucco sono entrambe lingue ufficiali e che la seconda verrà preservata e utilizzata in modo equo. Secondo la normativa, tutti i documenti ufficiali, i processi legali e giudiziari, i pannelli stradali e i nomi dei luoghi, come anche ciò che riguarda votazioni e referendum, devono essere redatti rispettivamente nelle due lingue ufficiali.
Nonostante i cambiamenti e i miglioramenti, l’uso della lingua calmucca è in netta diminuzione e la diffusione del russo ne è la principale ragione: il 98% dei bambini calmucchi non parla la lingua madre, che è poco usata ormai anche tra gli adulti, dove il russo ha la meglio.
Traduttrice e redattrice, la sua passione per l’est è nata ad Astrachan’, alle foci del Volga, grazie all’anno di scambio con Intercultura. Gli studi di slavistica all’Università di Udine e di Tartu l’hanno poi spinta ad approfondire le realtà oltrecortina, in particolare quella russa e quella ucraina. Vive a Kyiv dal 2017, collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso, MicroMega e Valigia Blu. Nel 2022 ha tradotto dall’ucraino il reportage “Mosaico Ucraino” di Olesja Jaremčuk, edito da Bottega Errante.