Separatismo e Majdan: due questioni in apparenza diverse, ma correlate fra loro. Originario di Tiraspol (Transnistria), Nikolaj ha preso parte alle proteste di Majdan del 2013-2014. A dieci anni dall’inizio della Rivoluzione della Dignità, ha condiviso alcuni ricordi e impressioni con il giornalista Francesco Brusa. La traduzione dal russo è a cura di Claudia Bettiol e Giulia Pilia.
Nikolaj, parlaci di te e di come nel 2013-2014 hai deciso di unirti alle proteste di Majdan, in Ucraina. Cosa ti ha spinto a prendere questa decisione?
Sono nato a Tiraspol in una famiglia di classe media. I miei genitori volevano darmi una buona istruzione e io ero interessato alle materie umanistiche (in particolare alla storia e ad alcune aree della filosofia), così nel 2010 mi sono iscritto alla facoltà di Scienze politiche dell’Università statale pedagogica “Mychajlo Dragomanov” di Kyiv.
Qualche anno dopo, quella città così estranea che era per me Kyiv ho iniziato a sentirla più vicina e a capirla di più, a sentirmici più tranquillo, più sicuro e anche più a mio agio. Il mio percorso di formazione prevedeva questioni di politica o di diritto, cosa che ha agevolato il mio coinvolgimento nell’attuale processo politico. Tutto questo era perfettamente in linea con la mia visione del mondo e con la mia attività giovanile: nei primi anni, tutte le mie ricerche all’università erano dedicate alla teoria e alla pratica dell’anarchismo, caratterizzato dai valori di libertà, solidarietà e auto-organizzazione.
Nell’autunno del 2013, quando frequentavo il terzo anno di studi, si parlava della possibilità che la firma dell’accordo di associazione dell’Ucraina con l’Ue potesse essere bloccata dall’allora presidente in carica Viktor Janukovyč. A quanto ricordo, alcune decine, forse centinaia, di persone si riunivano periodicamente nei pressi di Piazza Indipendenza (Majdan Nezaležnosti) per protestare contro la possibile sospensione dei preparativi per la firma dell’accordo di associazione.
Se non ricordo male, tra i miei amici e conoscenti dell’ambiente studentesco l’opinione era quasi univoca: tra Janukovyč, che era visto come “l’uomo di Putin” e che durante gli anni della sua presidenza era stato oggetto di un numero enorme di battute a causa dei suoi fallimenti pubblici, delle sue gaffe e del suo passato criminale, e la promettente, economicamente più sviluppata e umana Ue, la stragrande maggioranza sceglieva la seconda.
Verso il 20 di novembre 2013, le autorità ucraine hanno annunciato la sospensione dei preparativi per la firma dell’accordo di adesione all’Ue e diverse decine di migliaia di persone erano già scese in piazza. Chiedevano la ripresa dei negoziati per l’integrazione europea; apparvero le prime tende in Piazza Indipendenza, dove si stabilirono non più di un paio di centinaia di persone. La società ucraina ha iniziato a prestare molta più attenzione alla questione rispetto al passato. Questo ha influenzato anche il corpo studentesco il quale, interessato dall’argomento, è diventato rapidamente una forza molto significativa (se non la principale) della protesta pacifica.
Alla fine di novembre, di notte, la polizia ucraina ha usato la forza contro i manifestanti. Le foto e i video di diverse centinaia di civili, alcuni dei quali con la testa fracassata, che cercavano di sfuggire a una folla di agenti della polizia antisommossa armata di manganelli, hanno avuto un impatto enorme nella società. Un uso così aperto, sfacciato e ingiustificato della violenza da parte delle autorità ha suscitato in molti un vero e proprio senso di indignazione. Tra le vittime vi erano molti studenti, il che ha fatto arrabbiare non solo la comunità universitaria ma anche i genitori.
Il giorno dopo è iniziato l’Euromajdan. Da come ricordo, alle decine di migliaia di persone che volevano un avvicinamento all’Ue ed erano pronte a reclamarlo in piazza, si sono aggiunte centinaia di migliaia di persone insoddisfatte dell’uso inadeguato della forza da parte delle autorità e che, per contrasto, simpatizzavano per l’Ue. Il numero dei manifestanti è cresciuto rapidamente. Naturalmente, tra loro c’erano molti studenti, e tra di loro c’ero anch’io.
La mia risposta alla domanda su cosa mi abbia spinto a partecipare alla protesta è complessa: il vigore e l’avventurismo giovanile, uniti a convinzioni ideologiche amanti della libertà che richiedevano antiautoritarismo, solidarietà e auto-organizzazione, insieme alle tendenze dell’epoca e all’umore di protesta dell’ambiente studentesco e urbano che mi circondavano, al mio interesse per le scienze politiche e alla riluttanza di perdere l’occasione di partecipare a un evento storico.
Ma più in generale, Majdan sembrava probabilmente rappresentare la difesa dell’umanità e, nel complesso, qualcosa di molto giusto.
Come erano organizzate le proteste? Chi c’era in piazza e qual era il tuo ruolo? Come è stato gestito il movimento di protesta?
Non ho avuto un ruolo importante, ero solo un civile in piazza, quindi è difficile che io possa raccontarvi qualcosa di esclusivo, ma potrebbe esserci qualcosa di interessante.
La prima volta che sono sceso a Majdan è stato un paio di giorni dopo l’occupazione dell’Amministrazione statale della città di Kyiv. Al piano terra avevano costruito una mensa, mentre al primo piano c’era un’enorme sala, che era stata trasformata in un’area ricreativa e in un’infermeria. È stato un momento molto strano. In primo luogo, c’era la sensazione che questo edificio sarebbe diventato un luogo di decisione e coordinamento, una sorta di quartier generale delle forze di protesta. Come seconda cosa, era ovvio che questo luogo era appena stato organizzato e non era chiaro cosa sarebbe diventato. Infine, c’erano tutte le ragioni di pensare che l’edificio sarebbe stato preso d’assalto dalla polizia di Kyiv (la Berkut).
La difesa o la sicurezza dell’edificio erano gestite da un ex militare in pensione proprietario di un club di arti marziali. Era un signore molto aperto. Gli offrii la mia partecipazione e il mio aiuto, ma declinò poiché non avevo mai praticato arti marziali e non avevo mai prestato servizio nell’esercito. Tuttavia, ogni tanto avevamo il tempo di scambiare due parole, mentre io cercavo un posto dove inserirmi e dare una mano. Mi raccontò sia del proprio lavoro, che della sua pensione. Alla fine, ha condiviso la situazione in cui ci trovavamo tutti: quando si fece buio, mi fece vedere due autobus nel cortile dell’Amministrazione statale, dove si trovava la Berkut e aspettava l’ordine di assaltare l’edificio.
Sono passati dieci anni e ora, quando descrivo tutto questo, sembra molto strano che un uomo che si era preso il compito della sicurezza racconti e mostri certe cose a un ragazzo ventenne completamente estraneo. Ma allora, nei primi tempi, non sembrava affatto insolito. Certo, c’era la consapevolezza che ci potessero essere dei provocatori, ma questa non era la preoccupazione principale.
Molte persone semplicemente “arrivavano dalla strada”, e un grande esempio erano i medici che entravano negli uffici dell’Amministrazione e dicevano: “Salve, sono un medico, qualcuno ha bisogno di aiuto?” – e nessuno faceva domande inutili. C’era la sensazione che, se eri a Majdan, sostenevi le aspirazioni comuni delle persone: difendere l’umanità e un orientamento umanistico. E se così, allora sei uno di noi. E se sei uno di noi, allora possiamo fidarci. E basta. I primi giorni, forse la prima settimana, sono stati per me memorabili proprio per questo.
A un certo punto, un’auto si è avvicinata a una delle tende di Majdan, che la gente stava montando, e ha scaricato ogni sorta di articoli per la casa che potevano tornare utili in una situazione del genere: tè, caffè, tazze, tovaglioli, biscotti e così via. Ce n’erano parecchi. Qualcuno, ricordo, spiegò che venivano da un imprenditore privato che non poteva lasciare la sua attività e stare in piazza tutto il giorno, ma poteva sostenere le persone che erano a Majdan.
C’erano anche proprietari di auto private, che presto si unirono nel movimento Avtomajdan, i cui rappresentanti agivano come una sorta di servizio di trasporto per i manifestanti: portavano le cose necessarie come legna da ardere, carburante o cibo in collaborazione con gli imprenditori, se ho capito bene, e a volte solo i singoli individui, perché era difficile raggiungere Majdan.
Ciò è avvenuto grazie ai social media: qualcuno ha scritto qualcosa e qualcuno ha risposto. Siamo nel 2013-14, l’epoca delle Twitter-revolution.
Inoltre, ci sono stati fenomeni come la Veče del popolo (Narodnoe veče) e il “Consiglio del Majdan”. Da quanto ricordo e capisco, quest’ultimo era un insieme di politici che proponevano ulteriori azioni o avanzavano richieste alle autorità, mentre la Veče del popolo era un appuntamento in cui si dava voce a tutto ciò e si sosteneva/non sosteneva con urla. Politici ucraini come Petro Porošenko o Vitalij Klyčko hanno guadagnato una parte significativa del loro capitale politico in questi eventi e, bisogna ammetterlo, questa organizzazione del processo non è piaciuta a tutti. Alcuni li hanno percepiti come “estranei” e “politici” che li avrebbero traditi.
Mi è venuto in mente un fatto accaduto verso il 20 gennaio 2014, quando in alcune strade vicine al Majdan sono iniziati scontri più tangibili con bottiglie molotov, pietre, granate stordenti, idranti, proiettili di gomma, pneumatici in fiamme e così via. L’aggressione di alcuni manifestanti era dovuta all’adozione da parte del Partito delle Regioni e dei Comunisti di una serie di leggi che aggiravano la procedura ufficiale, che di fatto rendevano un reato la presenza sul Majdan.
Alcuni rappresentanti del “Consiglio di Majdan” hanno cercato di calmare la minoranza radicalizzata che cercava di dirigersi verso la Verchovna Rada, e per tutta risposta sono stati mandati nello stesso luogo in cui è stata mandata la famosa “nave da guerra russa” da una guardia di frontiera ucraina nel 2022. E non si trattava di urla isolate, ma di canti corali (una parte significativa dei manifestanti radicalizzati era costituita da tifosi di calcio, almeno quelli che si trovavano in quella strada e nel momento in cui si è verificato l’episodio a cui ho assistito e che sto descrivendo). È forse importante notare che, nonostante questa reazione, alla fine i politici sono riusciti a contenere gli irrefrenabili rivoluzionari.
Quindi, dal mio punto di vista, l’Euromajdan o la Rivoluzione della Dignità è stata un’ondata di auto-organizzazione di molte forze e gruppi insoddisfatti del potere di quel periodo, che alla fine alcuni politici sono riusciti a cavalcare, nonostante alcuni eccessi. All’inizio c’era più auto-organizzazione, verso la fine è diventata più una politica organizzativa, come sembrava allora e come mi sembra ancora adesso.
Qual era lo scopo principale delle proteste? La Russia ha avuto un ruolo in esse? Le ha influenzate in qualche modo?
Gli obiettivi della protesta variavano a seconda del periodo. Quando è stata annunciata la sospensione dei negoziati per la firma dell’accordo di associazione con l’Ue, l’obiettivo era “ottenere la firma”. Quando, a fine novembre, ha avuto luogo la repressione e sono iniziati i primi arresti, all’obiettivo si sono aggiunte le “dimissioni del governo e del presidente”, considerati i massimi responsabili dell’uso inadeguato della violenza contro i manifestanti (allora) pacifici.
Quando a metà gennaio il parlamento (a maggioranza filo-presidenziale) ha approvato leggi repressive e la protesta ha cessato di essere pacifica, è stata chiesta l’indizione di elezioni anticipate della Verchovna Rada e il ritorno alla vecchia versione della Costituzione (che implicava, in particolare, il trasferimento del diritto di formare il governo dal presidente al parlamento).
Per quanto riguarda il ruolo della Russia, per qualche motivo Igor Strelkov, che è stato ministro della Difesa della Repubblica popolare di Donec’k (DNR) e, secondo le sue stesse parole, “ha dato il via al volano della guerra” nel Donbas nel 2014 (ha guidato il gruppo di battaglia che ha occupato la prima città dell’Ucraina orientale, Slovjans’k), era presente al Majdan per scopi di “familiarizzazione”. Durante il Majdan, il generale Beseda, capo del 5° reparto dell’FSB che, secondo fonti aperte, si occupa tra l’altro di intelligence sul territorio dell’ex Urss, sarebbe venuto a Kyiv per verificare il livello di sicurezza dell’ambasciata russa.
Nell’ambito delle indagini sul “caso Euromajdan” è emerso che durante le proteste (circa 3 mesi) Viktor Janukovyč aveva contattato circa una cinquantina di volte il “compare di Putin” Viktor Medvedčuk (detenuto dalle autorità ucraine dopo l’attacco russo e poi scambiato con i difensori di Azovstal’). E pochi giorni prima della sua partenza per la Russia, secondo la stessa indagine, l’allora presidente ucraino Viktor Janukovyč avrebbe chiamato Vladimir Putin.
Se guardiamo al paragrafo precedente attraverso il prisma delle dichiarazioni odierne di Putin, secondo cui l’Ucraina sarebbe stata “creata artificialmente” e sarebbe “territorio russo” (in un’intervista con Tucker Carlson, il presidente russo dimostra con dovizia di particolari la sua strana comprensione del mondo), non si può fare a meno di pensare al coinvolgimento della Russia nel Majdan. Probabilmente, da un lato Vladimir Putin ha cercato di aiutare Viktor Janukovyč in qualche modo, dall’altro ha pensato a cosa avrebbe potuto ottenere se il governo di Janukovyč fosse caduto. Di conseguenza, la Crimea è stata annessa dalla Russia ed è scoppiata la guerra nel Donbas. Ma non posso dire nulla di più specifico, perché semplicemente non lo so.
Che ruolo ha avuto la Berkut a Majdan? Come è intervenuta?
La Berkut era un’ex unità del ministero degli Affari Interni ucraino, le cui funzioni erano “proteggere l’ordine pubblico durante eventi di massa” e “reprimere il teppismo di gruppo e le rivolte di massa”. È importante notare che Viktor Janukovyč e il suo governo avevano una propria concezione di queste funzioni e una propria visione del diritto alla libertà di riunione e della possibilità di “ribellione contro la tirannia e l’oppressione” (cfr. Dichiarazione universale dei diritti umani, paragrafo 3). Di conseguenza, la Berkut ha svolto il ruolo di principale forza di strada filogovernativa.
Ecco ed ecco, ad esempio, come è stata usata questa forza il 30 novembre, il giorno della prima repressione. Qui potete vedere come si presentava la Berkut in via Hruševskij, dove mi trovavo durante alcuni giorni di scontri. E qui ci sono i blindati della Berkut che fanno irruzione sulle barricate di Majdan a metà febbraio, quando sono iniziati gli scontri più duri, durante i quali sono state uccise circa 70 persone tra i manifestanti e circa 10 agenti della Berkut.
In quel periodo non ero più a Kyiv: alla fine di gennaio e all’inizio di febbraio gli eventi si sono calmati e ho avuto i miei motivi personali per tornare a casa per un po’; alla fine sono rimasto a Tiraspol e ho appreso gli eventi successivi da Internet.
Come hanno reagito i tuoi amici e conoscenti in Transnistria agli eventi del Majdan? Come hanno percepito la tua partecipazione alle proteste?
In maniera diversa. Qualcuno non approvava, qualcuno era d’accordo, altri sono rimasti neutrali. In generale non c’è stata una reazione emotiva particolare né all’evento né alla mia partecipazione.
Anche se bisogna dire che io ne parlavo solo alle persone che conoscevo bene, o se mi sembrava che valesse la pena dirlo per qualche motivo. Non volevo entrare in conflitto con i miti della televisione russa, che è popolare in Transnistria. Nonostante questo le domande erano tante, questo me lo ricordo. Non crederai quante volte ho dovuto dire che ho bevuto il tè al Majdan e non ho avuto nessuna intossicazione da farmaci, o che non davano soldi per partecipare alle proteste e che le persone si trovavano a Majdan volontariamente.
Sono trascorsi già dieci anni dagli eventi di Majdan. Quali sono state le tue impressioni allora e oggi? Cosa pensi della situazione attuale nel paese e in Transnistria?
La mia reazione adesso è semplicemente più distaccata. Mi sembra che questa sia l’unica cosa che è cambiata. Allora mi sembrava giusto, e ora mi sembra che, almeno in quella particolare situazione, fosse giusto. E se uniamo la domanda sulle impressioni di allora e di oggi con la domanda su cosa penso della situazione attuale (cioè la guerra) in Ucraina, sembra suggerire che, se non ci fosse stato Majdan, allora non ci sarebbe stata neanche la guerra. Allora posso dire che non sono assolutamente d’accordo.
Se parliamo della situazione in Ucraina in generale, la situazione è difficile, cos’altro si può dire? L’Ucraina sta conducendo una guerra con un paese che dispone di risorse superiori e che potrà vincere solo grazie all’aiuto del resto del mondo, nello specifico dell’Europa, dell’America settentrionale e di alcuni paesi dell’Asia e dell’Oceania.
Per quanto riguarda la Transnistria, con l’inizio della guerra l’Ucraina ha chiuso il confine e tutto il flusso di merci e persone già da due anni transita esclusivamente dalla Moldova. La Moldova non perde occasione di estendere le sue leggi alla Transnistria. L’ultimo esempio: a partire da quest’anno le persone giuridiche della Transnistria pagheranno i dazi doganali al Tesoro moldavo.
Le autorità moldave si sforzano di entrare in Unione Europea e mirano a essere pronte per l’adesione nel 2030. In vista di ciò, come dichiarano, vogliono reintegrare anche la Transnistria. Le autorità della Transnistria ovviamente si oppongono e prendono misure di ritorsione. In risposta all’introduzione dei dazi, hanno aumentato il costo dell’elettricità per gli agricoltori moldavi e per le persone giuridiche situate nel territorio della Transnistria (dove il costo del gas e dell’elettricità è di molto inferiore rispetto alla Moldova).
A Majdan, volevi esprimere solidarietà con gli ucraini o credevi che queste proteste avrebbero potuto portare un vento di cambiamenti in Moldova e Transnistria?
Per quanto riguarda i cambiamenti in Moldova e Transnistria, è difficile rispondere. Però posso dire che mi piace l’Europa. È più ricca e più libera, e i governi dei paesi europei sono più efficaci (a giudicare dall’indice di percezione della corruzione di Transparency International). Se l’Ucraina e la Moldova faranno sforzi per diventare membri dell’Unione Europea, allora anche la Transnistria, in luce della sua posizione specifica, non potrà fare altrimenti.
Ciò significa che anche in Transnistria ci muoveremo verso una società più ricca, più libera e più efficiente. Ma allora, nel 2013, per me era molto difficile delineare la catena logica “Majdan” – “adesione all’UE” – “Transnistria”. Forse da qualche parte sullo sfondo c’erano dei contorni vaghi. In generale, mi sono percepito come una persona che vive e studia a Kyiv durante eventi che risuonano con le sue convinzioni e idee sul mondo nel suo insieme.