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Nel 2004 nell’area di Loznica (confine settentrionale tra Serbia e Bosnia ed Erzegovina) veniva scoperto uno dei più grandi giacimenti mondiali di jadarite. Da allora, l’interesse delle multinazionali e dei governi delle principali potenze globali si è fatto sempre più forte, ponendo la Serbia al centro di quella che può essere definita “geopolitica del litio”.
Il minerale, che prende il nome proprio dal fiume Jadar che scorre nella Serbia occidentale, è composto da litio, utilizzato per la fabbricazione di batterie per autoveicoli elettrici, smartphone e pannelli solari, e boro, utile per la produzione di vetro, ceramica e anche in campo nucleare e aerospaziale. Le ricerche condotte in questi anni hanno dimostrato che la miniera serba risulta essere uno dei più grandi giacimenti al mondo, capace di produrre fino al 10% del litio mondiale.
Tutto nasce nel 2017 quando la compagnia anglo-australiana Rio Tinto firmava un memorandum d’intesa con il governo serbo, prevedendo un sicuro aumento nella vendita di veicoli elettrici e di pannelli solari. Nel 2021, la multinazionale presentava un piano di investimento di ben 2,5 miliardi di dollari per lo sfruttamento della miniera per i prossimi 40 anni, su una superficie di oltre 2 mila ettari. Il piano prevedeva la creazione di oltre 2000 posti di lavoro nella fase preparatoria per poi scendere a 1000 una volta avviata la produzione. Le stime prevedevano ricadute economiche per la Serbia pari all’1% diretto del PIL e al 4% considerato l’indotto.
Le imponenti proteste dei cittadini e delle cittadine serbe, preoccupate soprattutto per le ricadute ambientali legate allo smaltimento degli scarti, costringevano due anni fa il governo serbo a bloccare l’accordo.
L’accordo con l’Europa
Nel frattempo, però, non si sono placati gli appetiti e i tentativi di mettere le mani su una delle risorse naturali più importanti del futuro. A fare da sponda a una ripresa del progetto originario ci ha pensato la Corte Costituzionale serba che lo scorso 11 luglio dichiarava incostituzionale la decisione presa dal governo due anni fa.
Appena una settimana dopo, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il vicepresidente della Commissione Europea nonché Commissario per le relazioni interistituzionali e le prospettive strategiche Maroš Šefčovič si recavano a Belgrado per firmare con il presidente serbo Aleksandar Vučić un memorandum d’intesa per un partenariato strategico sulle materie prime sostenibili, con al centro proprio l’estrazione di litio e la conseguente produzione di batterie per auto elettriche. All’incontro erano presenti anche rappresentati delle più grandi case automobilistiche europee come Stellantis e Mercedes.
Il testo firmato a Belgrado esplicita gli obiettivi fondamentali del Memorandum
“affrontare il cambiamento climatico, perseguire una transizione verde e garantire forniture stabili di energia, materiali e tecnologie sostenibili” ma soprattutto “mitigare le possibili interruzioni nella fornitura di materie prime […] fondamentale per preservare la competitività globale, sviluppare la resilienza delle nostre industrie, rafforzare il mercato unico dell’UE e l’economia della Serbia”.
Nei prossimi mesi è previsto lo sviluppo di una Roadmap con “una riunione annuale regolare di alto livello (a livello ministeriale) per fare il punto sui progressi del partenariato”.
La geopolitica del litio
L’accordo si inserisce in un contesto internazionale in cui l’Unione Europea sta provando in tutti i modi a bilanciare gli equilibri tra grandi potenze in un settore già adesso strategico e che lo sarà ancor di più nei prossimi anni. Il 4 luglio infatti, due settimane prima dell’accordo con Belgrado, Bruxelles ha introdotto dazi sui veicoli elettrici prodotti in Cina compresi tra il 17,4% e il 38,1%, che si aggiungono al già previsto 10% per le importazioni di auto.
L’intento è di limitare quello che viene considerata una concorrenza sleale da parte dei produttori cinesi che esportano in Europa veicoli a prezzi estremamente contenuti rispetto ai competitors europei. Attualmente la Cina non si limita a giocare il ruolo di leader globale nella produzione di veicoli elettrici ma anche in quella di litio. La stessa Europa, ad oggi, è completamente dipendente da Pechino per l’approvvigionamento di questa materia prima. E vorrebbe rendersi indipendente prima del 2035 anno in cui nel Vecchio continente saranno banditi i veicoli a combustione.
In questo quadro appare allora più chiaro l’enorme interesse europeo, e tedesco in primis, suscitato per il litio serbo. Bisogna inoltre considerare come nell’ultimo decennio Belgrado e Pechino abbiano stretto fortissime relazioni politico-economiche, nonostante i numerosi “rimproveri” europei per il mancato allineamento della Serbia, paese candidato all’adesione, alla politica estera dell’Unione. Lì dove non è arrivata la diplomazia, sembrano arrivare gli enormi interessi economici in gioco.
Lo sfruttamento sotto supervisione europea del giacimento di Loznica da un lato permetterebbe all’Unione di allentare la dipendenza dalla Cina e allontanare almeno temporaneamente Belgrado e Pechino, dall’altro lato la Serbia attrarrebbe importanti investimenti esteri (il presidente Vucic parla di oltre 6 miliardi di euro) e giocare un ruolo centrale a livello internazionale. Vučić ha infatti specificato che solo una parte del litio verrà esportato, mentre la parte maggiore verrà utilizzata per produrre, all’interno dei propri confini, le batterie per i veicoli elettrici. Una prospettiva che proietterebbe il paese al centro della catena del valore a livello globale.
Le proteste dei cittadini
Nonostante il Memorandum preveda “il pieno rispetto dei diritti umani […] elevati standard ambientali, sociali e di governance e pratiche sostenibili”, non tutti sembrano però condividere questo entusiasmo. Soprattutto tra la cittadinanza e le associazioni ambientaliste che, come due anni fa, si sono immediatamente mobilitate contro l’accordo.
La promessa del presidente Vučić di occuparsi personalmente degli aspetti ambientali della vicenda non sembra aver fatto presa tra la popolazione. Ancor prima della firma dell’accordo e in vista della scontata presa di posizione della Corte Costituzionale, una manifestazione partecipatissima, con persone giunte da tutta la Serbia, si è svolta a Loznica. Nelle ultime settimane le proteste si sono diffuse a macchia d’olio in tutto il paese e si concentrano soprattutto sui problemi legato all’utilizzo di enormi quantità di acqua necessarie per l’estrazione del litio, le emissioni prodotte dalle fasi di lavorazione e la produzione di rifiuti ad esse connesse.
Il governo sembra però avere tutt’altre intenzioni per un progetto che appare troppo importante, dal punto di vista economico e politico, per rinunciarvi. Nei giorni scorsi sono già arrivati i primi arresti per il blocco di arterie autostradali e ferroviarie. C’è da aspettarsi un ulteriore innalzamento dello scontro tra istituzioni e popolazione nei prossimi mesi.
Dottore di ricerca in Studi internazionali e giornalista, ha collaborato con diverse testate tra cui East Journal e Nena News Agency occupandosi di attualità nell’area balcanica. Coautore dei libri “Capire i Balcani Occidentali” e “Capire la Rotta Balcanica”, editi da Bottega Errante Editore. Vice-presidente di Meridiano 13 APS.