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Ogni 12 aprile, in Russia e nel mondo, si celebra la Giornata della Cosmonautica dedicata al primo volo orbitale umano della Storia: in questo giorno, nel 1961, il ventisettenne Jurij Gagarin a bordo della Vostok 1 divenne il primo uomo al mondo a orbitare intorno alla Terra. Forse, però, non tutti sanno che Gagarin è riuscito a compiere la sua missione con successo anche grazie al lavoro di un altro scienziato sovietico di spicco: il primo capo-progettista di razzi e sistemi spaziali dell’Unione Sovietica, Sergej Korolëv.
Se Jurij Gagarin è volato nel cosmo, lo dobbiamo anche a Sergej Korolëv
Originario di Žytomyr – città dell’Ucraina occidentale che oggi ospita la sua casa natale e il Museo della cosmonautica – l’ingegnere Sergej Korolëv (Žytomyr, 1907 – Mosca, 1966) non ha mai avuto il successo (e i dovuti riconoscimenti) per quanto ha apportato al mondo della cosmonautica sovietica. Il destino di Korolëv – alla pari di quello di molti altri scienziati sovietici, ma ben diverso da quello di Gagarin – è stato infatti tutt’altro che roseo: durante le repressioni staliniane degli anni Trenta lo scienziato è stato accusato di sabotaggio, arrestato e mandato ai lavori forzati, costretto perciò a vivere nell’anonimato per cinquantanove anni. Solo post-mortem si è guadagnato il titolo di “genio della missilistica e della cosmonautica” da parte dei suoi contemporanei, che ne hanno riconosciuto i risultati nell’industria spaziale, oggi paragonabili ai meriti di Albert Einstein in fisica.
Sergej Korolëv nacque il 12 gennaio 1907 in una dimora con due ingressi in via Dmytrivs’ka. Oggi è una casa-museo i cui interni dei primi anni del Novecento sono stati ricreati secondo le memorie della madre di Sergej, Marija Moskalenko (1888-1980), che ha donato al museo tutti gli oggetti personali del figlio: fotografie, oggetti per la casa, appunti e disegni, persino una ciocca di capelli del suo primo taglio. La casa natia dell’accademico e l’adiacente edificio che ospita il Museo della cosmonautica (sala Kosmos) è stato inaugurato solo nel 1970, quando un gruppo di studiosi ucraini hanno appreso che l’ingegnere era nato a Žytomyr da un necrologio.
Cittadino sovietico di nazionalità ucraina, Sergej nacque nell’allora governatorato della Volinia (all’epoca parte dell’Impero russo) da Pavlo Korolëv, di origini russe e bielorusse, e da Marija Moskalenko, ucraina figlia di un ex ufficiale cosacco di origini polacche e greche (la sua famiglia era emigrata dalla Grecia all’epoca dell’etmanato di Bohdan Chmel’nyc’kyj). Un matrimonio che ebbe vita breve e che portò la madre a crescere Sergej lontano dal padre, prima presso i nonni materni a Nižyn, cittadina ucraina dell’oblast’ di Černihiv, e poi a Odessa. E fu proprio a Nižyn che Sergej-bambino si innamorò del cielo, il giorno in cui vide per la prima volta il volo di un aereo pilotato dall’aviatore Sergej Utočkin: “Non solo gli uccelli possono volare”, disse alla nonna con ammirazione.
Fin da piccolo, Sergej dimostrò una particolare predisposizione per l’ingegneria aeronautica, soprattutto dopo aver preso parte a un’esibizione di volo nel 1913. La città di Odessa, dove era presente un distaccamento di aerei militari, contribuì ad alimentare questo interesse per il mondo aeronautico nel giovane Sergej.
Ai suoi studi, a cui si dedicò sempre come autodidatta prima a causa della Rivoluzione russa bolscevica del 1917 e poi per motivi di salute (Sergej si ammalò di tifo), affiancò questa sua grande passione e fu così che progettò il suo primo aliante all’età di 17 anni, nel 1924, anno in cui si iscrisse all’Istituto Politecnico di Kyiv. Due anni dopo venne ammesso alla Baumanka, la prestigiosa università tecnica statale moscovita, dove ebbe modo di approfondire i suoi studi aeronautici e progettare alianti finché, ottenuto il diploma sotto la guida dell’ingegnere aeronautico Andrej Tupolev, entrò a far parte della quarta sezione sperimentale di progettazione di aeroplani iniziando la sua carriera insieme ai migliori progettisti sovietici e diventando in seguito membro dell’Accademia delle Scienze dell’Urss.
Il triste destino di Sergej Korolëv e il Nobel mancato
All’età di 25 anni, Korolëv divenne capo del gruppo di ricerca sulla propulsione dei razzi e successivamente vicecapo del nuovo Istituto di ricerca sui razzi dell’Urss. Tuttavia, la sua carriera fu improvvisamente interrotta: il 27 giugno 1938 il capo-progettista fu inghiottito dalla macchina repressiva di Stalin. Fu accusato di aver partecipato a un’organizzazione di “parassiti trotzkisti antisovietici” e di aver “sin dal 1935 partecipato all’interruzione dello sviluppo e della messa in servizio di nuovi modelli di armi per l’Armata Rossa”.
Al processo, che si svolse tre mesi dopo, l’accusa era rappresentata dal procuratore generale dell’Urss, Andrej Vyšinskij, il giudice-boia al servizio di Stalin noto anche come il “Freisler sovietico”. Il verdetto era prevedibile: dieci anni di campi di lavoro nella penisola di Kolyma, confisca dei beni e privazione dei diritti politici. Dato che all’inizio del processo Korolëv figurava sulla “lista di esecuzione”, sembra quasi un miracolo che non sia stato giustiziato.
L’ingegnere finì nella miniera di Maldjak, dove aveva il compito di estrarre oro. Lì, fu maltrattato da criminali e guardie, torturato e sottoposto ai lavori forzati, contrasse lo scorbuto e sopravvisse solo per miracolo. Insieme ai suoi compagni di prigionia, passava otto o più ore al giorno a trasportare la sabbia aurifera dalla cava: “Sabbia, sabbia, sabbia… per una manciata di pepite d’oro. Ma l’oro vale un lavoro così duro ed estenuante? Sarebbe meglio se rimanesse per sempre nel terreno…”, così lo cita Aleksander Romanov nella biografia omonima.
In molti intercedettero per il prigioniero della Kolyma: non sappiamo se le lettere degli importanti piloti Michail Gromov e Valentina Grizodubova abbiano raggiunto Stalin, ma nel 1939 il carnefice Lavrentij Beria ricevette l’ordine da Stalin di rivedere i casi degli specialisti della difesa e nel novembre 1939 Sergej fu informato che sarebbe andato a Mosca. Gli ci vollero diversi giorni per raggiungere Magadan sotto scorta, ma un ritardo nelle pratiche burocratiche fece sì che perdesse l’ultimo piroscafo per Vladivostok di quell’anno. L’ingegnere lo considerò un segno del destino: il 12 dicembre, l’Indigirka affondò al largo dell’isola giapponese di Hokkaido durante una tempesta e tutti i prigionieri rinchiusi nelle stive morirono.
A salvare il progettista da una morte certa furono quindi le dinamiche della Seconda guerra mondiale. Poco dopo l’inizio del conflitto, Stalin si rese improvvisamente conto che quasi tutti gli scienziati e gli inventori erano stati fucilati o repressi con il pretesto di combattere i “nemici del popolo” e scoprì che non c’era nessuno in grado di sviluppare le armi più recenti. Così la dirigenza dell’Urss decise di radunare tutti gli scienziati, i progettisti e gli ingegneri sopravvissuti nelle carceri e nei campi e di creare uffici di progettazione speciali nelle prigioni, dove si lavorava in cambio di cibo. Nel 1940, su richiesta dell’altrettanto prigioniero Andrej Tupolev, Korolëv fu inserito in uno di questi uffici. Il primo bombardiere strategico supersonico fu progettato qui e messo in produzione di massa.
Nel 1944 il capo-progettista fu rilasciato ma dovette attendere ancora due decenni perché il suo buon nome tornasse: fu pienamente riabilitato solo nel 1957, “per mancanza di corpus delicti”. Durante la prigionia doveva firmare le sue pubblicazioni scientifiche con lo pseudonimo di “K. Sergeev”. Una segretezza che influì molto nel riconoscimento delle sue opere scientifiche a livello mondiale: quando il Comitato per il Premio Nobel chiese alla leadership sovietica di nominare il capo-progettista del primo satellite terrestre artificiale, il capo di Stato Nikita Chruščëv rispose che l’intera nazione, e non una sola persona, era lo sviluppatore delle nuove tecnologie dell’Unione Sovietica.
Nell’agosto 1956, Sergej fu il progettista principale del più grande centro missilistico dell’Unione Sovietica (nell’ufficio di progettazione responsabile OKB-1) e supervisionò le attività di molti istituti di ricerca e uffici di progettazione. Per tutto questo tempo, rimase ancora formalmente un “nemico del popolo”. Fu riabilitato solo il 18 aprile 1957, sei mesi prima di lanciare il primo satellite artificiale terrestre del mondo.
Nel 1962, sotto la guida del capo-progettista, inizia lo sviluppo della navicella Sojuz per il programma lunare. In seguito, il veicolo spaziale a tre posti divenne il principale cavallo di battaglia dell’Unione Sovietica, e poi della Russia, per trasportare astronauti e merci nello spazio. Molti esperti ritengono anche che, se Korolëv non fosse morto così presto, l’Unione Sovietica avrebbe potuto superare gli Stati Uniti nella “corsa lunare”: per portare un equipaggio sulla Luna era necessario un razzo potente ma Korolëv riuscì solo a progettarlo e i test iniziarono dopo la sua morte. Furono fatti quattro tentativi per mandarlo nello spazio, ma tutti si conclusero con un incidente. Anche la navicella L-3 per il volo dei cosmonauti sulla Luna fu sviluppata sotto la guida di Korolëv: come l’Apollo americano, era composto da due parti – un orbiter e un lander. È interessante notare che il modulo di atterraggio della navicella sovietica, chiamato Block E, fu prodotto in Ucraina, nell’allora città di Dnipropetrovs’k (oggi Dnipro).
Il 14 gennaio 1966, pochi giorni dopo aver compiuto 59 anni, lo scienziato, inventore e designer si spense. Morì dopo essere stato sottoposto a un intervento chirurgico per rimuovere un tumore al retto che era stato individuato poco prima. Già durante il suo arresto, i boia dell’Nkvd usarono brutali torture contro il designer per estorcergli una “confessione”. Durante uno dei suoi interrogatori, la mascella fu rotta e fusa in modo errato, il che significa che Korolëv non poté mai più aprire completamente la bocca e i medici non furono mai in grado di intubare l’uomo in caso di emergenza. Meno di un’ora dopo l’operazione, il cuore del genio si fermò. Gli amici amavano ricordare che, come tutti gli scienziati missilistici, il capo-progettista era superstizioso: non amava i lanci di lunedì e aveva l’abitudine di portare con sé due monete da un copeco come portafortuna.
Solo dodici anni dopo la fine dell’estenuante Seconda guerra mondiale, che ha avuto un impatto devastante sulla demografia e sull’economia dell’Unione Sovietica, e dopo una repressione totale che ha spazzato via l’intellighenzia del paese, l’Urss è riuscita a mandare in orbita il primo satellite artificiale terrestre. E poi, per altri dieci anni, ha mantenuto la leadership nell’esplorazione spaziale. Dietro la facciata di queste vittorie c’era il duro lavoro di un gruppo di ingegneri guidati da un questo capo-progettista “anonimo”.
I successi “anonimi” di Korolëv
Sotto la sua guida sono stati lanciati il primo missile balistico intercontinentale e il primo satellite artificiale terrestre dell’Unione Sovietica nel 1957; sono stati effettuati il primo volo spaziale umano (quello di Jurij Gagarin del 12 aprile 1961 a bordo della Vostok 1) e la prima passeggiata spaziale umana effettuata nel 1965 dal cosmonauta Aleksej Leonov.
L’ultimo progetto di Korolëv, la navicella Sojuz, oggi tanto ammirata dall’industria spaziale di lusso e tuttora uno dei modi più affidabili per trasportare gli equipaggi sulla Stazione spaziale internazionale (Iss), è stato completato dopo la morte del geniale progettista. I suoi progetti sono ancora alla base dei progressi dell’umanità nell’esplorazione dello spazio e chissà come sarebbe il mondo oggi se il capo-progettista ucraino fosse vissuto più a lungo.
In meno di dieci anni di esplorazione spaziale, il sovietico Sergej Korolëv ha realizzato così tante conquiste che il suo record non è ancora stato battuto.
1957 – Viene lanciato nello spazio il primo satellite artificiale, lo Sputnik 1.
1959 – La sonda Luna 2 raggiunge per la prima volta la Luna e lascia dei gagliardetti sulla sua superficie.
1959 – Luna 3 fotografa per la prima volta il retro della Luna.
1961 – Il primo uomo (il pilota-cosmonauta Jurij Gagarin) vola con successo nello spazio a bordo della navicella Vostok 1.
1962 – Mars-1 è la prima navicella spaziale a essere lanciata verso il Pianeta Rosso.
1962 – Primo volo di gruppo delle navicelle Vostok 3 e Vostok 4. Due cosmonauti convergono, manovrano e comunicano nello spazio per la prima volta.
1963 – Volo spaziale della prima donna, Valentina Tereškova.
1964 – Viene lanciata in orbita la prima navicella multisede della serie Voschod con tre cosmonauti a bordo.
1965 – Il 18 marzo il cosmonauta Aleksej Leonov si lancia dalla navicella Voschod-2 passeggiando nello spazio per la prima volta nella Storia.
1965 – La sonda Venera 2 compie il primo volo verso un altro pianeta del Sistema Solare.
Il primo documentario ucraino sul capo-progettista
Nella sala Kosmos del museo intitolato a Korolëv sono esposti oggetti unici: una capsula di salvataggio, un modello della navicella Sojuz, un modello di un rover lunare, una vera capsula della navicella Sojuz-27. Il museo dedica anche una piccola parete ad altri cosmonauti ucraini di rilievo, tra cui Leonid Kadenjuk, il primo cosmonauta dell’Ucraina indipendente, e Pavlo Popovyč, il primo ucraino che volò nello spazio il 12 agosto 1962 e che dedicò al capo-progettista di razzi dallo spazio i versi della canzone ucraina Sto guardando il cielo… (Divljus’ ja na nebo…).
Canzone che figura anche nel primo film documentario sulla vita di Korolëv girato dal regista e attore Petro Avramenko tra Žytomyr, Berdyčiv e Odessa Nezlamnyj. Šljach do mriji (Infrangibile. La via del sogno) e uscito il 4 settembre 2021.
Tutte le foto sono di proprietà dell’autrice, che ha avuto l’occasione di visitare Žytomyr e il Museo della cosmonautica dedicato a Sergej Korolëv nel maggio 2017 e nel giugno 2020.
Traduttrice e redattrice, la sua passione per l’est è nata ad Astrachan’, alle foci del Volga, grazie all’anno di scambio con Intercultura. Gli studi di slavistica all’Università di Udine e di Tartu l’hanno poi spinta ad approfondire le realtà oltrecortina, in particolare quella russa e quella ucraina. Vive a Kyiv dal 2017, collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso, MicroMega e Valigia Blu. Nel 2022 ha tradotto dall’ucraino il reportage “Mosaico Ucraino” di Olesja Jaremčuk, edito da Bottega Errante.