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“Senza una Belarus’ democratica non ci sarà sicurezza in Europa”. Intervista a Cichanoŭskaja

Giornalista, fotografa e curatrice di Lithuanian Stories, Marina Macrì, alla vigilia del vertice Nato svoltosi lo scorso 9-11 luglio a Washington, negli Stati Uniti, ha intervistato la leader dell’opposizione bielorussa Svjatlana Cichanoŭskaja. Attualmente in esilio in Lituania, questa giovane donna ha sfidato Aljaksandr Lukašenka, al potere dal 1994, nelle elezioni-farsa svoltesi nell’agosto del 2020 e sogna oggi una Belarus’ democratica per la sicurezza in Europa.

Nell’intervista sono stati affrontati temi fondamentali riguardanti la situazione interna della Belarus’, lo Stato di diritto nel paese governato ufficialmente dal pugno di ferro di Lukašenka e i rapporti con i paesi europei – in particolar modo con le confinanti Lituania e Polonia. Cichanoŭskaja ha inoltre sottolineato il ruolo primario della Belarus’ nel conflitto armato scoppiato in Ucraina a seguito dell’invasione russa su larga scala.

Intervista a Svjatlana Cichanoŭskaja (in lingua inglese, sottotitolata in italiano)

Diritti umani e Belarus’, un binomio impossibile

Da quattro anni, la situazione dei diritti umani in Belarus’ è definita da diffuse e sistematiche violazioni del diritto internazionale. Il regime di Lukašenka non smette di perseguitare, con pesanti condanne amministrative e penali arbitrarie, dissidenti e oppositori politici del governo.

La tortura e altre forme di trattamento crudeli e disumane sono ancora utilizzate quotidianamente dalle forze dell’ordine bielorusse; tra la popolazione regnano paura e impotenza, aggravate dalla mancanza di responsabilità per i crimini impuniti delle autorità.

Il gruppo di lavoro della Piattaforma di solidarietà civica sulla lotta alla tortura, che comprende rappresentanti di organizzazioni pubbliche e per i diritti umani di sette paesi della regione OSCE (Armenia, Belarus’, Kazakhstan, Kirghizistan, Moldova, Russia e Ucraina), ha presentato i risultati annuali dell’indice di proibizione della tortura in questi paesi: la Belarus’ è all’ultimo posto per il quinto anno consecutivo.

Dopo le detenzioni di massa dei partecipanti alle proteste del 2020, torture e maltrattamenti negli istituti penitenziari bielorussi sono aumentati significativamente e non accennano a diminuire.

“Ad oggi i difensori dei diritti umani contano 1.500 persone come prigionieri politici. Si tratta solo di un numero, ma dobbiamo capire che dietro ad esso ci sono le vite delle persone, migliaia di famiglie divise, migliaia di bambini che crescono senza la madre o il padre o, talvolta, entrambi. […]. Di queste 1.500, almeno 270 persone sono in condizioni fisiche disastrose”, dichiara Cichanoŭskaja aggiungendo di non sapere se suo marito, Sjarhej Cichanoŭskij, in carcere dal 2020, sia ancora vivo.

“Senza una Belarus’ amica e democratica non ci sarà sicurezza in Europa”

“Dopo il 2020 quasi tutti i paesi dell’Unione europea hanno mostrato un enorme livello di solidarietà. In Italia abbiamo una diaspora piuttosto numerosa e che contribuisce anche alla nostra lotta per i cambiamenti democratici”, afferma Cichanoŭskaja. E l’impegno quotidiano dell’associazione Supolka lo dimostra.

L’attenzione europea, però, è inevitabilmente calata con l’invasione russa dell’Ucraina: “Se in Ucraina Putin combatte con missili e carri armati e prosegue una guerra orribile, in Belarus’ c’è un’occupazione strisciante. In Belarus’, il Cremlino sta distruggendo l’identità nazionale, legando l’economia bielorussa alla Russia e facendo di tutto per consolidare il proprio controllo sul paese”, ribadisce la leader dell’opposizione, preoccupata anche per quanto sta accadendo al confine con la Polonia.

“Le cose stanno decisamente peggiorando [per i migranti] al confine”, dichiara l’attivista Agata Kluczewska, membro del gruppo Podlaskie Ochotnicze Pogotowie Humanitarne (POPH), in seguito alla notizia di una guardia di frontiera polacca accoltellata da un migrante al confine lo scorso 28 maggio.

In risposta all’attacco, il primo ministro polacco Donald Tusk ha infatti annunciato la reintroduzione per 90 giorni (a partire dal 12 giugno) di una zona cuscinetto di emergenza di 200 metri. Introdotta per la prima volta nel 2021, tale zona copre in realtà l’interezza del confine con la Belarus’, ma la distanza tra il confine e il territorio interno polacco varia a seconda dell’area (da 200 metri minimo fino a 2 km in alcuni punti), impedendo a stampa, gruppi umanitari e civili di avvicinarsi alla zona di confine.

A tal riguardo, il ministro degli Interni Tomasz Siemoniak di Piattaforma Civica ha dichiarato che non è sua intenzione bloccare l’ingresso ad attivisti e giornalisti, i quali però dovrebbero essere fatti entrare sotto determinate condizioni (non specificate) perché “non si tratta di nascondere nulla, ma di sicurezza”. Ciò significa, comunque, che le organizzazioni e i movimenti in aiuto ai migranti, quali Grupa Granica, dovranno sottoporsi al filtro della polizia.

Difenderemo il nostro confine con tutti i mezzi a disposizione.
I militari, le guardie di frontiera e la polizia possono contare sul mio pieno sostegno.
Sono impressionato dal vostro coraggio, professionalità e dedizione.

Il caso della guardia di frontiera è arrivato subito al Sejm polacco: il 12 luglio i deputati hanno approvato una nuova misura che autorizza gli agenti al confine con la Belarus’ a sparare munizioni vere (non di gomma) contro i migranti, giustificabili come “autodifesa” o “prevenzione”. La bozza esclude infatti la responsabilità penale degli agenti di polizia, delle guardie di frontiera e dei soldati delle forze armate che utilizzano le armi da fuoco contrariamente alle regole del loro uso o del loro scopo.

Il progetto preparato dal ministero della Difesa polacco prevede anche la possibilità di utilizzare l’esercito per azioni indipendenti (e, quindi, non solo per sostenere i servizi del ministero degli Interni e dell’Amministrazione) durante il tempo di pace nel territorio del paese.

Il documento introduce inoltre nel codice penale una disposizione che esclude la responsabilità per l’uso di armi o mezzi di coercizione diretta da parte di un soldato o di un ufficiale in violazione delle regole, se sono stati utilizzati, tra gli altri, per respingere un attacco diretto alla vita, alla salute o alla libertà di quel soldato o di un’altra persona, nonché per contrastare attività volte ad attentare alla vita, alla salute o alla libertà di quel soldato o di un’altra persona.

Ad ora, la legge è stata approvata da 401 deputati parlamentari (17 quelli contrari, di cui 14 di Lewica e 3 di Coalizione Civica; altri 17 si sono astenuti). Il testo passerà ora al Senato per l’approvazione finale.

Il tutto ha fatto infuriare le ONG, che sottolineano come la situazione sia già parecchio tesa nell’area. Queste misure non fanno che concedere alle forze dell’ordine il “diritto di uccidere”, come scrive Gazeta Wyborcza. Secondo le ONG, negli ultimi tre anni circa 130 migranti dalla Belarus’ sono morti nella zona di confine con Polonia, Lituania e Lettonia, molti dei quali per esposizione a temperature sotto lo zero o per annegamento in zone paludose.

La leader bielorussa Cichanoŭskaja scrive: “Le iniziative per limitare il traffico di frontiera a causa delle continue provocazioni del regime dovrebbero essere rivolte al dittatore, non al popolo. Non possiamo abbandonare i bielorussi al loro destino dietro una nuova cortina di ferro”.

E conclude la sua intervista con Macrì affermando: “Senza una Belarus’ amica e democratica non ci sarà sicurezza in Europa: il dispiegamento di armi nucleari rappresenta un’enorme minaccia per la nostra serenità”.

Per approfondire, ecco alcune letture tratte dalla sezione dedicata alla Belarus’ di Meridiano 13 e dalla testata Valigia Blu:

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Claudia Bettiol
Claudia Bettiol

Traduttrice e redattrice, la sua passione per l’est è nata ad Astrachan’, alle foci del Volga, grazie all’anno di scambio con Intercultura. Gli studi di slavistica all’Università di Udine e di Tartu l’hanno poi spinta ad approfondire le realtà oltrecortina, in particolare quella russa e quella ucraina. Vive a Kyiv dal 2017, collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso, MicroMega e Valigia Blu. Nel 2022 ha tradotto dall’ucraino il reportage “Mosaico Ucraino” di Olesja Jaremčuk, edito da Bottega Errante.