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Un titolo in rosso, sulla prima pagina del supplemento speciale di Neues Deutschland, l’organo della Sozialistische Einheitspartei Deutschlands (SED), il partito di governo della Repubblica Democratica Tedesca.
Il primo tedesco nello spazio è un cittadino della DDR.
È il 27 agosto 1978 e in questo modo la popolazione dello “Stato degli Operai e dei Contadini” scopre il lancio della Sojuz 31, partita alle 15:51 del giorno precedente dal cosmodromo di Bajkonur, con a bordo il comandante sovietico Valerij Bykovskij e un loro connazionale, Sigmund Jähn. Per annunciare l’evento le autorità della DDR hanno preparato accuratamente i testi per carta stampata, radio e TV. Per sicurezza avevano anche redatto delle versioni alternative nel caso in cui ci fosse stato un incidente o il razzo fosse caduto in territorio nemico.
Dai boschi allo spazio
Jähn, nato a Morgenröthe-Rautenkranz nel cuore del Vogtland, zona collinare tra Turingia, Baviera e Boemia, a volare nello spazio ci è arrivato dopo più di 20 anni di carriera militare. Al termine degli studi per diventare tipografo, Jähn, che da adolescente era stato capo dei Pionieri, l’organizzazione che nella Freie Deutsche Jugend raggruppava i ragazzi dai 6 ai 14 anni, in una scuola della sua zona, nel 1955 svolge infatti il servizio di leva nella VP-Luft, l’antenata dell’aeronautica della DDR. Arruolatosi e formatosi come pilota, viene promosso a ufficiale e nel 1965 le autorità della Germania Est lo inviano a Monino, vicino a Mosca per un corso all’Accademia dell’aeronautica militare “Jurij Gagarin”.
Jähn, preparato professionalmente e solido per le autorità sotto il profilo ideologico, nel 1976 è mandato insieme ad altri tre suoi connazionali, Eberhard Köllner, Rolf Berger e Eberhard Golbs a Zvëzdnyj gorodok, la “Città delle Stelle” vicino a Mosca per compiere l’addestramento come astronauti. I quattro entrano a far parte del programma Interkosmos, inaugurato nell’aprile 1967 dall’Unione Sovietica per sviluppare la ricerca e l’esplorazione spaziale all’interno dei paesi del blocco socialista e ampliatosi proprio nel ‘76, in risposta alla fondazione avvenuta un anno prima a Parigi della ESA, l’Agenzia spaziale europea. I cosmonauti provenienti dalla DDR sono stati scelti con criteri precisi: devono avere esperienza come piloti da caccia, essere in possesso dell’idoneità al volo e conoscere la lingua russa, oltre al superamento dei test medici all’istituto di medicina aeronautica di Königsbrück vicino a Dresda. Dopo due settimane di test intensivi a Mosca rimangono solo Jähn e Köllner, che vengono assegnati a due gruppi di lavoro differenti. Lavoreranno per venti mesi con le rispettive équipe.
Interkosmos, fratelli nello spazio
L’Urss, che ha avviato Interkosmos anche per dividere i costi ingenti delle spedizioni con i “paesi fratelli”, è però interessata alla cooperazione con la DDR soprattutto per il grande know how tecnico in possesso degli ingegneri della Repubblica Democratica Tedesca. Nei primi anni del programma sono ben 167 gli apparecchi costruiti nella Germania Est a volare nelle missioni dell’Unione Sovietica. Particolarmente interessante è per gli scienziati dell’Urss la camera multispettrale MKF 6, sviluppata a partire dal 1975 dalla Carl Zeiss, azienda nazionalizzata con sede a Jena. La sua evoluzione la MKF 6M, che consente di riconoscere da 600 metri di altezza oggetti alti dieci, sarà con il 41enne tedesco orientale sulla Sojuz 31. Che Jähn sarà il primo tedesco nello spazio però non lo sa neppure lui, come pochissimi sono al corrente della sua missione.
Tra di loro Gerhard Kowalski, dal 1966 redattore della Adn, l’agenzia di stampa di Stato della DDR. A lui qualche mese prima è arrivato sulla scrivania un dossier sia su Eberhard Köllner e su Sigmund Jähn. In vista di un possibile lancio ha il compito di raccontarli, senza che ovviamente nessuno lo sappia. Raccoglie testimonianze, confidenze, parole. Leggendo tra le righe Kowalski capisce che è probabile che sia proprio il “candidato numero uno”, così è chiamato Jähn nel burocratese della DDR, a volare nello spazio. In un interessante articolo uscito nel 2018 su Der Spiegel ricorda come un istruttore di Köllner gli abbia fatto notare come una persona con il suo cognome non avrebbe mai potuto essere il primo cosmonauta della storia della Germania (Köllner è troppo simile a Kölner, di Colonia) e come anche l’incontro tra i genitori di Köllner e le autorità della DDR sia andato non proprio previsto, poiché il padre di Eberhard si era lamentato perché i russi (non i sovietici) non avevano fatto volare entrambi gli astronauti della Repubblica Democratica Tedesca.
La preparazione
L’annuncio ufficiale della composizione dell’equipaggio della Sojuz 31 Jähn e Köllner lo ascoltano meno di ventiquattro ore prima del lancio. Sulla navicella l’astronauta del Vogtland, che pochi giorni prima era diventato nonno, una circostanza tenuta oscura ai media della DDR perché poco adatta a un “eroe del cosmo”, oltre alla camera multispettrale MKF 6 si porta una serie di oggetti. A partire da una serie di ricordi della DDR: bandiere, medaglie, gagliardetti, un ritratto di Erich Honecker, una edizione in miniatura degli scritti di Karl Marx, oltre al pupazzo di Sandmännchen, “sabbiolino”, il protagonista della più famosa serie televisione a cartoni animati della Germania Est. In più ci sono degli oggetti personali, come la foto di sua figlia maggiore, ai tempi incinta, una lettera dell’altra figlia e un biglietto carbonizzato, il suo portafortuna, “ricordo” di un atterraggio di fortuna con un MiG-17.
Il volo
Dopo il lungo protocollo di preparazione, che Köllner, segue con le lacrime agli occhi insieme ai giornalisti della Germania Est arrivati a Bajkonur, Jähn e Bykovskij si avviano alla rampa Gagarin. La missione della Sojuz-31 è agganciare la stazione spaziale alla Saljut 6 e svolgere una serie di esperimenti in campo medico, psicologico e di carattere biologico. Dopo il decollo il programma si svolge come preventivato. Jähn, che è diventato il novantesimo astronauta della Storia trasformando la DDR nel quinto paese al mondo ad avere un proprio cittadino nello spazio il terzo del programma Interkosmos dopo Cecoslovacchia e Polonia, in patria è già una star. Durante la sua permanenza, ha trasmesso messaggi per radio e si è collegato in diretta con la TV di stato della Germania Est.
Collegamenti televisivi dalla stazione Saljut 6, dove Jähn mostra monete d’oro con il viso di Marx e Lenin, gagliardetti che inneggiavano alla fratellanza tra DDR e Urss, sono in bella vista i ritratti di Brežnev e Honecker e dove il cosmonauta della Germania Est presenta la camera multispettrale MKF 6. Insieme a Bykovskij, Jähn mette in scena il matrimonio di “Sabbiolino” con Maša, l’orsa mascotte portata nello spazio dal cosmonauta sovietico, un’unione che susciterà le ire dei giovani telespettatori della DDR. Il volo della Sojuz-31 si conclude dopo sette giorni, 20 ore, 49 minuti e quattro secondi durante i quali sono stati compiuti 125 giri intorno alla Terra. L’atterraggio, il 3 settembre in Kazakhstan, è a dir poco complicato. La capsula sbatte violentemente per tre volte a terra e Jähn riporta danni seri alla colonna vertebrale che gli causeranno dolori permanenti.
L’umiltà del mito
Con l’atterraggio il cosmonauta diventa un simbolo e un “Volksheld”, un eroe del popolo, Gli vengono intitolate scuole, strade, centri ricreativi, viene invitato a eventi e conferenze, riceve una serie di onorificenze tra cui quella di “Eroe della DDR” ed “Eroe dell’Unione Sovietica”, senza contare le promozioni sia in campo militare (alla caduta del Muro sarà generale) che in campo scientifico con la direzione del Zentrum für Kosmische Ausbildung, il centro di formazione per gli astronauti. Un uomo importante che però non ha mai perso la sua umiltà e la sua disponibilità verso gli ammiratori e verso i colleghi. Ed è uno di loro ad aiutarlo, quando cade il Muro e Jähn rimane brevemente disoccupato.
Si chiama Ulf Merbold e nel 1983, cinque anni dopo Sigmund, è il primo tedesco dell’Ovest a volare nello spazio con la missione STS-9. Lui e Jähn si conoscono nel 1984 a Salisburgo in una manifestazione e hanno molto in comune. Merbold infatti è nato a Greiz in Turingia a una quarantina di chilometri dal luogo di origine del suo collega. L’astronauta della Germania Ovest, figlio di un soldato morto in un campo di prigionia sovietico, nel 1960 è fuggito a Berlino Ovest, non ancora divisa dal Muro, in quanto non essendo membro della FDJ, l’organizzazione giovanile del Partito, gli è impedito di studiare fisica. Nonostante queste differenze, Jähn e Melbold sono amici e si stimano. È lui a consigliare Sigmund per un posto da consulente prima dell’ente aerospaziale della Germania unita e poi per l’Agenzia spaziale europea.
In questo ruolo, lavorando a Bajkonur grazie alla sua esperienza e alla sua affabilità, sarà il mentore di tanti colleghi tra cui Alexander Gerst, poi comandante della Stazione Spaziale Internazionale che l’ha voluto in Kazakhstan per il suo lancio. Jähn andrà in pensione nel 2002 e un anno dopo diventerà ancora una star. Perché nel film Good Bye Lenin! gli sceneggiatori Bernd Lichtenberg e Wolfgang Becker scelgono lui, o meglio, un tassista che gli somiglia, per impersonare il successore di Erich Honecker alla guida della DDR, avviata verso una Riunificazione “al contrario”, Negli ultimi anni Jähn, che ha vissuto fino alla sua morte a Strausberg, coltivando piante e nuotando, è rimasto una personalità apprezzata anche a distanza di anni dal suo volo. Che idealmente è terminato il 21 settembre 2019, quando il primo tedesco nello spazio è scomparso all’età di 81 anni.
Classe 1984, nato a Sesto San Giovanni quando era ancora la Stalingrado d’Italia. Germanocentrico, ama la Spagna, il Sudamerica e la Mitteleuropa. Collabora con Avvenire e coordina la rivista Cafè Rimet. È autore dei volumi “C’era una volta l’Est. Storie di calcio dalla Germania orientale”, “Rivoluzionari in campo” e coautore di “Non solo Puskas” e “Quattro a tre”.