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Sloboda Tuzla: la Libertà non può morire, viva la Libertà.

“Libertà”: è questo il nome di una delle squadre più gloriose e storiche di tutta la Bosnia, che proprio in questi giorni è tornata in prima divisione dopo un periodo di purgatorio nel girone croato-bosniaco della Serie B nazionale. Ma lo Sloboda Tuzla è molto di più di una normale squadra di calcio: è un’idea che riunisce dietro al suo simbolo un’intera città, una città unica, diversa da tutte le altre.

Di cosa parliamo quando parliamo di Tuzla

Da una collinetta il busto di Tito sorveglia la città. Nonostante siano passati anni dalla dissoluzione, la statua è ancora lì, immobile a difesa di Tuzla. Intorno a lui tutto il pantheon partigiano. Da qui si possono vedere i laghetti pannonici e una parte della città. Tutto intorno ci sono alberi alti, ogni tanto si vede qualche scoiattolo o qualche volpe che si arrampicano sulle pendici della collinetta. Poco più avanti un memoriale ricorda altri caduti della Seconda guerra mondiale. Infine, bianche su un tappeto verde di erba sintetica si trovano le tombe dei ragazzi del 1995.

Il 25 maggio in tutta la Jugoslavia, e in quello che di essa rimaneva, si festeggiava il Giorno della Gioventù. Nel 1995 c’era ancora la guerra, ma i ragazzi di Tuzla si ritrovarono comunque di fronte alle Kapija, nel centro della città, per stare insieme.

Perché quando hai 20 anni vuoi essere felice, vuoi stare con gli amici, non puoi vivere per sempre sotto il ricatto delle bombe.

Alle 21:05 una granata, lanciata dalle alture che circondano la città cadde in mezzo alla folla. Ci furono 71 morti e quasi 300 feriti.

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Sandro aveva tre anni. Era nato nel 1992 e fu il più giovane a perdere la vita. Erano tutti ragazzi nati negli anni Settanta e Ottanta. Avevano quindici o vent’anni. Una vita davanti. Una vita finita il 25 maggio 1995. Gli abitanti di Tuzla non diventarono serbi, né bosgnacchi, né croati, rimasero quello che erano: tuzlaci e jugoslavi. Quando si decise dove seppellire quei corpi, quasi nessuno dei genitori non accettò di metterli nei cimiteri delle comunità etniche. Vollero che i loro ragazzi stessero insieme ancora e per sempre.

Le casette colorate delle vie centrali della città lentamente sprofondano in quel terreno svuotato da sotto, privato del sale che dà il nome alla città (tuz significa sale in turco), eppure, nonostante tutti i problemi, la città ha sempre deciso di non affidarsi alle spinte etniche. Qui non ha mai vinto uno dei partiti che rappresenta soltanto una delle tre comunità. In qualche modo Tuzla prosegue l’utopia jugoslava di “unione e fratellanza”.

Storia dello Sloboda Tuzla

Il calcio a Tuzla nasce negli anni Dieci, quando in città ci sono quattro squadre che rappresentano le diverse etnie: Zrinjski per i croati, Obilić per i serbi, Gajret per i musulmani e Maccabi per gli ebrei. Poi nel 1919 si aggiunge a queste la squadra dei lavoratori, chiamata Gorkij in onore dello scrittore russo Maksim Gorkij.

L’associazione nasce per promuovere la pratica musicale del tamburica, uno strumento tradizionale a corde simile al mandolino, e siccome è un’associazione di lavoratori sceglie il nome dell’intellettuale russo attingendo dall’immaginario comunista. Ma esiste anche un’altra leggenda sulla scelta del nome: Mitar Trifunović Učo – eroe popolare della Seconda guerra mondiale e uno dei fondatori dello Sloboda – sarebbe stato il padrino di Gorkij. Tuttavia questa seconda versione sembra più appartenere al mito, che alla realtà.

Una delle prime foto dello Sloboda Tuzla (Historija Fk Sloboda)

Ma nel Regno di Jugoslavia il club non è il benvenuto e viene presto sciolto. Si riforma nel 1927, con l’attuale nome di Sloboda, ovvero “Libertà”. Anche Mehmed “Meša” Selimović, uno dei più importanti scrittori jugoslavi con opere fondamentali come Il derviscio e la morte, giocò a calcio per i colori della sua città. Nella foto del 1927 è il quinto da sinistra, proprio prima del calciatore il maglia bianca.

Nel 1941 gli ustascia entrano nella sede della squadra per requisire tutta la documentazione. Fortunatamente un paio di giorni prima i giocatori e la dirigenza, con l’aiuto di alcuni tifosi, hanno fatto sparire tutto. Le truppe cercano i nomi di chi fa parte del club per punirlo, in quanto di sinistra. I documenti escono di nuovo fuori solo nel 1945, quando ormai lo Stato Indipendente di Croazia è stato sconfitto.

La zlatna generacija dello Sloboda Tuzla

C’è una foto vecchia, di quelle un po’ scolorite e d’altri tempi. Racconta la storia della Generazione d’oro dello Sloboda Tuzla. Quella degli anni Settanta, quella che sfiorò il titolo.

Huka lanciava per me sulla fascia, quindicimila persone mi urlavano ‘Hora Hora Šećere’, cioè ‘Corri corri’ e io la mettevo in mezzo per Mersed che segnava di testa.

Lo schema era semplice e passava dai piedi di Mustafa Hukić, probabilmente il più forte giocatore della storia dello Sloboda, scomparso a causa di un incidente nel 1999 mentre era alla guida della squadra come allenatore. Con la sua inconfondibile capigliatura e i suoi ottimi piedi, Huka verticalizzava per la velocissima ala Dževad Šećerbegović, che a sua volta crossava per il centravanti Mersed Kovačević, un giocatore che di testa aveva pochi paragoni con chiunque.

Ci ha parlato di queste azioni proprio Dževad Šećerbegović. Ci ha accolto nella sua stanza all’interno dello stadio Tušanj, fra vecchi simboli dello Sloboda, foto di Tito e della Nazionale e qualche gagliardetto del Beşiktaş, oltre ovviamente alla formazione dello Sloboda che arrivò terza in campionato. Indossa un maglione con la zip, è molto alto, tanto che si fa fatica a pensarlo come un’ala velocissima. Ormai ha i capelli brizzolati, ma si può facilmente riconoscere nelle vecchie fotografie dalla forma della bocca, nonostante siano passati molti anni.

La generazione d’oro dello Sloboda Tuzla

Šećerbegović ha fatto tutta la trafila della Nazionale del suo Paese, compresa quella maggiore. “Non era per niente facile essere convocati se giocavi a Tuzla”. A quei tempi si preferiva sempre portare in Nazionale i giocatori delle Grandi Quattro del calcio jugoslavo, Stella Rossa, Partizan, Hajduk e Dinamo. Eppure in quegli anni lo Sloboda era un’ottima squadra: “Ci fu una partita nel 1976 a Belgrado contro la Stella Rossa, vincemmo 3-1 e io feci l’assist per tutti e tre i gol. Il loro allenatore mi cambiò tre volte la marcatura, ma non c’era modo di fermarmi”.

Quanto è cambiato il calcio rispetto a quello di allora? “La differenza è grandissima, la Premier League bosniaca non vale neanche la seconda divisione della Repubblica Socialista di Bosnia, cioè il quarto livello di allora. La Prva Liga era fra i primi cinque campionati d’Europa”. Le cause? “La legge dei 28 anni era fondamentale per far rimanere in patria i migliori talenti”.

Anche Šećerbegović approfittò della possibilità di andare a giocare all’estero. Durante la sua carriera gli era stato proposto di giocare per la Dinamo, la Stella e l’Hajduk, ma era sempre rimasto a Tuzla. Fu contattato anche dall’Hertha Berlino e dallo Stoccarda, ma con più insistenza fu il Beşiktaş a volerlo. “Vennero con una valigia piena di soldi. Mi dissi: non sono mai stato a Istanbul. E firmai”.

E con la maglia bianco-nera lo seguì l’anno successivo proprio il centravanti a cui aveva servito decine e decine di assist, Mersed Kovačević. “Mi volevano insieme a Dževad, ma lui aveva già l’età, io invece dovetti aspettare ancora un anno”. Con le Aquile Nere l’attaccante fece due ottimi campionati sfiorando in entrambi gli anni le venti marcature. Poi andò al Galatasaray dove vinse due campionati e giocò una semifinale di Coppa dei Campioni nel 1989 (persa contro la Steaua).

Intervisto Mersed Kovačević ai tavoli esterni di un piccolo bar con annessa sala scommesse. Inizialmente sembra molto chiuso e sulle sue, ma dopo un po’ diventa un fiume in piena. Continuava a parlare e a raccontare aneddoti della sua carriera da giocatore. La capigliatura folta gli dà meno anni di quelli che ha in realtà. “Lo Sloboda è la mia vita. Sono nato a 40 metri dallo stadio. Mio nonno tifava Sloboda. Mio padre tifava Sloboda. Io mi svegliavo, andavo a scuola, poi al campo, poi a casa”.

Kovačević nasce terzino, ma poi la sua grande bravura nel gioco aereo lo porta avanti. La sua consacrazione arriva nel 1974-75, in una partita in casa contro il Partizan: la sua prima convocazione. Aveva pochissime speranze di entrare, ma verso la metà del primo tempo Hukić si infortuna e… “L’allenatore mi fa: scaldati ragazzino. Mi inizio a preparare e sento i tifosi che si chiedono: e questo chi è?” Kovačević segna tre gol e la partita finì 3-3. Parliamo di tante cose, Kovačević ci racconta della sua scuola calcio, delle sue avventure turche e molto altro.

Stiamo per andarcene, ci siamo già salutati, poi aggiunge qualcosa. “Mi fa male non essere riusciti a vincere il campionato del 1976. Perché ci siamo andati vicini, ci è mancato davvero poco. Ma alla fine si sa come vanno queste cose. Però voglio che tu sappia che ancora oggi ci dispiace non aver dato una gioia alla nostra gente”. Il rapporto dello Sloboda Tuzla con la sua gente è qualcosa di unico.

Lo Sloboda nella nuova Bosnia ed Erzegovina

Con la fine della Jugoslavia tutto è cambiato. Prima c’era il finanziamento per la pratica sportiva, ma anche la legge secondo la quale i calciatori non potevano andare a giocare all’estero prima del ventottesimo anno d’età. Questo permetteva fra le altre cose di avere un campionato di ottimo livello. Oggi non è più così, lo sport per lo sport è diventato lo sport per fare i soldi. La mancanza di piani finanziari condiziona il futuro delle squadre e anche lo Sloboda non se la passa così bene.

Nella Bosnia attuale c’è un grande problema: tutto è tripartito. Nella Federazione calcistica, come altrove, contano le quote etniche: devi essere croato, musulmano o serbo. Lo Sloboda non fa parte di nessuna delle tre. Questo vuol dire non avere interlocutori affidabili e vuol dire che tutte le porte ti vengono sbattute in faccia

Nella stagione 2011-12 , lo Sloboda Tuzla è retrocesso in seconda divisione dopo 46 anni. La squadra è arrivata penultima in campionato a pari punti con lo Slavija di Sarajevo Est, ma con lo scontro diretto a sfavore. Il purgatorio della seconda divisione è durato due anni, quando finalmente lo Sloboda ha vinto il campionato ed è tornata in prima divisione. Alla guida del club, davanti a uno stadio Tušanj completamente in festa, c’era il grande Ćiro Blažević. “Quello per me fu l’anno più bello”, mi ha detto Miran un giovane tifoso del club, ricordando la stagione della promozione. “Si respirava di nuovo l’entusiasmo per uno Sloboda forte e vincente. Ogni casa era tornata a essere rosso-nera”.

Le altre squadre di Tuzla

Nei primi anni del campionato campionato bosniaco, durante gli anni Novanta, in città nacque una squadra che oggi non esiste più. Fondata nel 1993, ebbe una vita breve ma intensa. Si chiamava Zmaj od Bosne, il “Dragone di Bosnia” e aveva sede a Tuzla, dove giocava una sorta di derby con lo Sloboda. I colori dello Zmaj erano il bianco e il celeste e almeno inizialmente raccolse qualche buon risultato.

Foto apparsa sulla pagina Balkanski Navijaci. La didascalia è eloquente: Tifosi dello Zmaj od Bosne di Tuzla. Il club è esistito fino al 1999. Tuttavia, è rapidamente scomparso dimostrando che a Tuzla solo lo Sloboda è eterno.

Ma da dove arrivava questo strano nome? Con il nome “Dragone di Bosnia” si intende Husein Gradaščević, personaggio storico che si mise a capo della rivolta della nobiltà bosniaca contro le riforme amministrative promosse dal sultano ottomano Mahmud II. Fu sconfitto, pare, a causa del mancato supporto della nobiltà erzegovese. Si salvò in Austria e si ritirò infine in esilio a Costantinopoli dove morì a poco più di 30 anni, avvelenato o forse a causa del colera. È considerato uno dei primi ad aver immaginato una Bosnia indipendente e unita.

Ma quegli anni sono ormai lontani. Nel presente, da una decina d’anni, lo Sloboda Tuzla ha un nuovo avversario con il quale divide la città. Il Tuzla City si chiamava Sloga fino al 2017 e aveva la sua sede nel piccolo centro di Simin Han, un migliaio di anime a est di Tuzla. Fondata nel 1955, la società non ha mai avuto grandi momenti di gloria, fino al 2012, quando viene acquistata da un imprenditore bosniaco-americano, Azmir Husić.

La vita di Husić non è stata facile. Originario di un piccolo paese della Bosnia orientale, è costretto a fuggire a causa della pulizia etnica dell’esercito serbo-bosniaco contro la popolazione bosgnacca. Finisce così nella zona protetta di Srebrenica. Sopravvive al genocidio del luglio del 1995, raggiungendo Tuzla, dove rimane fino al 1998, quando lascia l’Europa alla volta degli Usa, dove nel giro di alcun anni farà successo grazie all’azienda di autotrasporti “BiH Express”.

Quando decide di investire nel calcio bosniaco, per prima cosa sceglie lo Sloboda. Lo guida dal 2013 al 2016, regalando ai tifosi ottime annate. Purtroppo però il rapporto con la società non è dei migliori e lascia ben presto concentrando i suoi sforzi e le sue risorse sulla sua nuova creatura: il Tuzla City.

Il logo del Tuzla City (Wikipedia)

Il club raggiunge presto la massima divisione nazionale e, grazie alle risorse di Husić, conquista una posizione di rilievo. In città però la squadra è poco seguita e non riesce a scalfire lo zoccolo duro dei tifosi dello Sloboda. Spesso chi tifa Tuzla City ha origini e radici nella Bosnia orientale e fa parte di quella comunità bosgnacca che ha sofferto la pulizia etnica. A testimoniare ciò il fiore di Srebrenica che campeggia sullo stemma del club.

Sembra quindi che il Tuzla City stia cercando di fare quello che lo Sloboda ha sempre rifiutato, ovvero dare una connotazione etnica alla propria squadra, accreditandosi come rappresentante della componente musulmana. Sulle maglie della squadra e sul simbolo campeggia il giglio d’oro, uno dei simboli della Bosnia-Erzegovina e della comunità bosgnacca. I suoi sostenitori sono quasi tutti di fede islamica. La dinamica appare abbastanza chiara, anche se per ora non si registrano evidenti segni di una chiusura negativa nei confronti delle altre due etnie e di chi invece non si riconosce in nessuna delle tre.

Il ritorno dello Sloboda Tuzla

A Tuzla non si combatte solo contro lo Sloboda o i suoi tifosi, si combatte contro una città. Là anche le zanzare sono rossonere.

Uno dei leader del gruppo ultras BBB della Dinamo Zagabria a distanza di anni ricordava in questo modo le trasferte a Tuzla in un’intervista alla tv. Oggi i tempi sono cambiati e forse l’accoglienza per le squadre avversarie è un po’ diversa.

Il gruppo che sostiene lo Sloboda, le Fukare, si sente chiaramente in città. Si vedono i loro murales sulle saracinesche dei negozi e sui muri dei palazzi. La capra, che è il loro simbolo, come una sorta di tag, segna la presenza. La leggenda dell’animale arriva dal periodo austro-ungarico e narra che un giorno gli austriaci dettero l’ordine di uccidere tutte le capre. Ma un contadino nel quartiere Mosnik disubbidì e riuscì a nasconderne una, che iniziò a fornire latte per tutta la città. Da qui il detto secondo il quale “tutta Tuzla è stata allattata da una capra”.

Naturale che il gruppo ultras abbia allora scelto l’animale come simbolo. Eppure in città non sono solo gli ultras a portare avanti il messaggio rosso-nero, ma tantissima tifosi normali ad ogni partita si vestono con i colori sociali e vanno a sostenere la squadra, senza contare tutta la diaspora che ogni week end si connette dai più sperduti angoli d’Europa e del mondo per seguire lo Sloboda Tuzla.

Con l’ultima vittoria in campionato i rosso-neri si sono assicurati il ritorno in prima divisione, un risultato che la città e i suoi tifosi meritano senza se e senza ma. Guidati in campo da Nikola Komazec, serbo di Vrbas e giramondo inarrestabile, che nella “città del sale” ha trovato la sua seconda casa, per lo Sloboda Tuzla si apre una nuova fase, ovvero quella dove dare stabilità a una squadra che negli ultimi anni ha vissuto fasi troppo altalenanti, rischiando più di una volta la retrocessione che poi è inevitabilmente arrivata. Se chi è alla guida dello Sloboda riuscirà in questo intento, avrà alle sue spalle una città folle d’amore per la propria squadra, pronta a seguirlo ovunque lo Sloboda andrà a giocare.

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Gianni Galleri
Gianni Galleri

Autore dei libri “Questo è il mio posto” e “Curva Est” - di cui anima l’omonima pagina Facebook - (Urbone Publishing), "Predrag difende Sarajevo" (Garrincha edizioni) e "Balkan Football Club (Bottega Errante Edizioni), e dei podcast “Lokomotiv” e “Conference Call”. Fra le sue collaborazioni passate e presenti SportPeople, L’Ultimo Uomo, QuattroTreTre e Linea Mediana. Da settembre 2019 a dicembre 2021 ha coordinato la redazione sportiva di East Journal.