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La Slovenia in Unione Europea: i primi vent’anni

Vent’anni fa, il primo maggio 2004, con le grandi celebrazioni in Piazza Transalpina/Trg Evrope fra Gorizia e Nova Gorica, la Slovenia entrava a far parte dell’Unione Europea, un sogno perseguito a lungo, fin dal 1992, quando vennero avviate le prime trattative per l’accordo di cooperazione, ad appena un anno dalla dichiarazione di indipendenza della Slovenia dalla Jugoslavia.

Nel 1997, la Commissione europea espresse il suo parere favorevole rispetto alla candidatura della Slovenia nell’Unione, e nel marzo del 1998 ebbero luogo i primi negoziati.

Il 23 marzo 2003 si tenne invece in Slovenia un referendum con cui si chiedeva agli elettori di esprimersi sulla prospettiva dell’ingresso del paese nell’Unione Europea: in tale occasione, quasi il 90% dei votanti si espresse in maniera favorevole.

Il cammino di europeizzazione della Slovenia fu tuttavia segnato da una serie di ostacoli posti dall’Italia, in particolare dai rappresentanti di Forza Italia (anche in consiglio comunale a Gorizia) e Alleanza Nazionale, che si contrapponevano alla ratifica dell’accordo di associazione della Slovenia all’Unione Europea, appellandosi, come fece Roberto Menia in una seduta del Senato nel marzo del 1998, a questioni di “diritti umani, di giustizia, di riconoscimento storico” legate alle vicende degli esuli istriani. Negli stessi anni, tali rappresentanti politici crearono difficoltà anche nell’ambito della tutela dei diritti linguistici della minoranza slovena in Friuli-Venezia Giulia, paventando la “slavizzazione della popolazione italiana” e opponendosi al bilinguismo nella segnaletica stradale.  

Per approfondire leggi i nostri articoli sul confine orientale.

Il 1° maggio 2004, dopo aver completato il processo di adesione, la Slovenia divenne un membro a pieno titolo dell’Ue. Il 1° gennaio 2007 la Slovenia ha adottato l’euro, dismettendo il tallero (tolar in sloveno), la valuta che aveva sostituito il precedente dinaro jugoslavo nell’autunno del 1991. Infine, il 21 dicembre del 2007, la Slovenia entrò nell’area Schengen, rendendo la frontiera tra Slovenia e Croazia, fino ad allora piuttosto permeabile, un confine fisico, militarizzato e sorvegliato. Le relazioni bilaterali della Slovenia con i suoi vicini sono caratterizzate da alto livelli di collaborazione, soprattutto nella sfera economica. Tuttavia, vi sono delle controversie irrisolte con la Croazia in merito alla demarcazione del confine marittimo nel Golfo di Pirano.

Merita inoltre ricordare come il cammino della Slovenia verso l’Unione Europea sia stato lastricato dalle dolorose vicende che coinvolsero i cosiddetti “cancellati” (izbrisani), cioè i cittadini di origine non slovena che persero ogni diritto di residenza non avendo seguito le procedure necessarie per ottenere la cittadinanza slovena dopo l’indipendenza del 1991.

Il 26 febbraio 1992, 25.671 persone, che rappresentano circa l’1,25% della popolazione del Paese, vennero ufficialmente cancellate dal registro della popolazione slovena senza preavviso, trovandosi persone improvvisamente senza assistenza sanitaria e contributi sociali, senza pensioni e alloggi, e senza la possibilità di rinnovare documenti e contratti di lavoro, in quanto non ufficialmente “esistenti” per la burocrazia slovena.

Per lunghi anni, anche dopo l’ingresso della Slovenia in Unione Europea la situazione di queste persone rimase critica ma né la Commissione Europea né altre istituzioni europee affrontarono la questione delle violazioni dei diritti umani sul proprio territorio, in un’inspiegabile forma di omertà che gettò un’ombra perturbante sull’inizio dell’avventura europea slovena.

Proponiamo un estratto del libro Capire il confine, in cui l'autrice Giustina Selvelli ricorda l’abbattimento del confine tra Italia e Slovenia il 30 aprile 2004, alla vigilia dell’ingresso del paese ex jugoslavo in Unione Europea.

Nella sua capacità di riflettere le vicende politiche dei rispettivi paesi, la piazza Transalpina come luogo di contatto e potenziale unione fra le popolazioni non poteva evolversi fintantoché un confine separava il suo spazio in maniera netta, impedendo la creazione di una vera piazza di carattere transnazionale. Tale momento arrivò finalmente nel 2004, in concomitanza con l’ingresso della Slovenia nell’Unione Europea. Il 12 febbraio di quell’anno il sindaco goriziano Brancati e il suo corrispettivo sloveno Brulc abbatterono simbolicamente uno dei pannelli della rete di confine. La sua rimozione definitiva ebbe luogo il 30 aprile dello stesso anno, parallelamente ai grandi festeggiamenti nella piazza di confine che finalmente si rivelò essere un luogo di incontro e contatto fra i cittadini, senza limitazioni; alla celebrazione parteciparono i più importanti esponenti politici a livello locale, nazionale ed europeo di allora, tra cui Romano Prodi, presidente della Commissione europea.

Per me, giovane studentessa al primo anno di università, quello fu un momento collettivo elettrizzante: vi partecipai con amici locali e alcuni dei miei compagni di corso provenienti da tutta Italia, sentendomi felice di poter condividere con loro questa parte della città finalmente ritornata centrale, almeno per una notte, nello spazio della Storia. Pioveva a catinelle, ma Goran Bregović e la sua band, il principale gruppo ospite del grande concerto, riuscirono ciononostante a farci ballare, cantare, convincendoci della fondatezza delle nostre speranze per un’Europa migliore e inclusiva.

Animati da questi presupposti idealisti e utopici, sentivamo di essere nel posto giusto al momento giusto, e non abbandonammo i festeggiamenti fino alle prime ore del mattino. La partecipazione a questo rituale collettivo fu cruciale nella formazione del mio immaginario di persona transfrontaliera: assistevo con entusiasmo a un evento storico, alla caduta di un confine molto famigliare. Durante quelle ore di euforia, mi sembrò che la musica e il lasciarsi andare generale avessero aperto uno squarcio non più ricomponibile sulle linee divisorie di quella piazza nonché nel mio vissuto personale, portando l’ex Jugoslavia direttamente al centro del palco di frontiera e dritta dentro al mio cuore.
Ma, in realtà, le cose non erano andate affatto in maniera così rosea come credevo ingenuamente allora.

Capire il confine. Gorizia – Nova Gorica: lo sguardo di un’antropologa indaga la frontiera di Giustina Selvelli, Bottega Errante Edizioni, 2024.

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Giustina Selvelli
Giustina Selvelli

Antropologa e ricercatrice di origine italo-messicana-levantina. Attualmente ricercatrice post-doc presso il dipartimento di Sociologia dell'Università di Ljubljana. I suoi temi di ricerca, che si ripercuotono anche sulla sua scrittura non accademica, riguardano la diaspora, i confini, la diversità culturale e le minoranze etnolinguistiche, con una predilezione particolare per l’area balcanica. Quando messa nelle giuste condizioni, parla più o meno fluentemente una dozzina di lingue e ne legge almeno altre cinque (romeno, russo, portoghese, un po’ di romanì e mandarino), grazie al suo bagaglio genealogico multiculturale e ai numerosissimi soggiorni di ricerca e studio all’estero finanziati da diversi enti nazionali ed internazionali.