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A più di due anni dall’invasione dell’Ucraina, la guerra di Vladimir Putin miete le proprie vittime anche sul territorio russo. Politici, giornalisti, attivisti: chiunque sia percepito da Mosca come una minaccia viene schedato come “agente straniero” o “organizzazione estremista”. Ma non è “solo” una questione di diritti: la posta in gioco è l’esistenza stessa di una società civile.
L’aggressione dell’Ucraina è stato uno spartiacque per la società civile russa. A partire da febbraio 2022 il paese ha assistito a un giro di vite senza precedenti in fatto di libertà e diritti civili. Un processo irreversibile, marcato da alcune formalità, come la decisione di Mosca, a settembre 2022, di non aderire più alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Tuttavia, per comprendere appropriatamente le proporzioni della deriva autoritaria del Cremlino, occorre andare oltre le formalità. Ciò che oggi stiamo osservando è una Russia spietatamente autoritaria, che da anni non agisce più esclusivamente attraverso le metodologie di repressione “classiche”, come sparizioni, avvelenamenti o assassinii – certo, senza abbandonarle del tutto, vedasi l’omicidio del politico Aleksej Naval’nyj lo scorso febbraio, la cui morte è stata sfacciatamente archiviata dalle autorità come il risultato di una “combinazione di patologie”.
Il modus operandi del regime di Putin è iniziato a cambiare a partire dal biennio 2011-2012. Da allora, la guerra del Cremlino alla libertà di parola, di informazione e di associazione – per citarne alcune – ha assunto forme peculiari, subdole e deliberatamente ambigue, a vantaggio delle autorità che applicano le leggi. A febbraio 2024, alla fine del processo che lo condannò a due anni e mezzo di reclusione per “vilipendio reiterato delle forze armate”, Oleg Orlov, co-presidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, pronunciò le seguenti parole:
Non è solo la critica pubblica ad essere vietata, ma qualsiasi pensiero indipendente. Persino azioni apparentemente non correlate alla politica o alla critica delle autorità possono essere punite. Non esiste un campo dell’arte in cui sia possibile esprimersi liberamente, non c’è libertà accademica nelle scienze umanistiche, non esiste più una vita privata.
L’articolo del Codice penale sul “vilipendio dell’esercito”, insieme a quello che punisce la diffusione di “informazioni false” sulle forze armate russe, sono risuonati più volte nei notiziari internazionali a seguito dell’invasione dell’Ucraina. Essi, tuttavia, rappresentano la punta dell’iceberg di un sistema legislativo liberticida e volutamente complesso, che etichetta il dissenso come “influenza straniera” o “estremismo”, promuovendo l’idea che la Russia sia una “fortezza sotto assedio”.
Leggi liberticide ed eredità sovietica
Nella narrativa del Cremlino, la società civile russa viene dipinta da tempo come una sorta di “quinta colonna”, ossia un insieme di individui e organizzazioni alla mercé di potenze straniere per destabilizzare il paese dall’interno. In un documento di giugno 2023, il ministero della Giustizia russo è stato piuttosto chiaro:
[…] i paesi occidentali hanno avviato una vasta campagna di informazione e propaganda volta a screditare le azioni degli organi statali della Federazione Russa e delle sue Forze armate. Come principale strumento di influenza e destabilizzazione della politica interna ed esterna della Russia, i paesi occidentali hanno tradizionalmente utilizzato il settore non-profit russo di orientamento pro-occidentale e i circoli pubblici contrari al governo.
Il ragionamento del Cremlino è piuttosto semplice: i paesi occidentali finanziano individui e organizzazioni allo scopo di influenzare e sabotare la Russia dall’interno. In questa situazione, si legge nel report, Mosca ha dovuto necessariamente “sviluppare un complesso di misure organizzative e normative” per difendere la propria sicurezza e i propri interessi. Misure che, dal 2012 a questa parte, hanno posto la società civile in una condizione di crescente paralisi, divenuta pressoché assoluta con l’invasione dell’Ucraina.
Come dichiarato da Rachel Denber, vicedirettrice della divisione Europa e Asia Centrale di Human Rights Watch, la società civile russa è bloccata nel mezzo di un “campo minato” legislativo che “ne sta mettendo alla prova la resilienza come mai prima d’ora”.
I metodi autoritari adottati dal regime di Putin possiedono una doppia natura: da un lato, essi sono stati creati e rifiniti con l’esatta intenzione di neutralizzare il dissenso moderno, quello dell’era di internet e dell’abbattimento delle barriere geografiche e informative; dall’altro, essi promuovono un’immagine del dissenso molto simile al periodo sovietico. Centrale, in questo caso, è il concetto di “nemico del popolo” (vrag naroda), che iniziò a essere utilizzato all’epoca di Lenin. Il termine, usato piuttosto ambiguamente per designare individui e organizzazioni considerati una minaccia alla sicurezza o all’integrità del regime, giustificava le persecuzioni contro i dissidenti politici.
Il sistema giuridico russo ha riesumato il concetto di “nemico del popolo” per screditare chiunque critichi in modo indipendente il governo, etichettandolo come “straniero”, dunque sospetto, sovversivo o addirittura traditore.
Censura ed esclusione dalla vita politica: la vita da agente straniero nella Russia di Putin
Ad oggi sono almeno tre le leggi attraverso cui il Cremlino sta eviscerando la società civile. La prima legge a meritare attenzione è quella sui cosiddetti “agenti stranieri” (inostrannye agenty, abbreviato in inoagenty, in russo). Essa entrò in vigore nel luglio 2012 e, nei dieci anni successivi alla sua promulgazione, è stata emendata più volte dalle autorità allo scopo di ampliarne il raggio d’azione.
L’ultimo, importante emendamento c’è stato il 14 luglio 2022, quando Putin ha promulgato la legge federale “Sul controllo delle attività di persone sotto influenza straniera”. Questa legge, entrata in vigore il 1° dicembre dello stesso anno, ha sostituito tutti gli atti precedenti.
Ad oggi, qualsiasi persona giuridica o fisica può essere etichettata come “agente straniero” se: riceve “supporto” (economico, logistico o di altro tipo) da fonti estere e/o se, piuttosto ambiguamente, si trova “sotto influenza straniera”; oppure, se l’entità in questione è impegnata in attività ritenute “politiche” dalle autorità russe. Chiunque soddisfi anche solo uno tra questi requisiti può essere incluso nel “registro degli agenti stranieri”.
Secondo le stime di Inoteka, attualmente il registro comprende 856 membri della società civile tra attivisti, giornalisti, media, associazioni e organizzazioni non governative. Nel 2022 è stato inoltre introdotto un registro parallelo di persone “affiliate a un agente straniero”. La comparsa di questo nuovo registro – che, curiosamente, rimane inaccessibile al pubblico – ha allargato ulteriormente la forbice degli individui e delle organizzazioni colpiti dalla legge, sebbene lo status di “affiliato” non preveda veri e propri obblighi di legge.
Per chi viene inserito nel primo registro, invece, le conseguenze sono piuttosto serie. Gli inoagenty sono obbligati a etichettare il proprio materiale come “prodotto e/o distribuito da un agente straniero”. C’è poi l’obbligo di presentare regolarmente rapporti dettagliati sulle attività svolte e i fondi esteri ricevuti.
Il Roskomnadzor, l’agenzia federale per i media e le telecomunicazioni, può decidere di bloccare i siti web schedati come “agenti stranieri” su richiesta del ministero della Giustizia. La mancata conformità agli obblighi di legge può portare a sanzioni severe e procedimenti penali.
A partire da maggio 2024, inoltre, gli “agenti stranieri” sono privati del diritto di essere eletti, e i membri degli organi rappresentativi che durante il proprio mandato vengono dichiarati “agenti stranieri” perdono prematuramente l’incarico. Il presidente della Duma di Stato, Vjačeslav Volodin, ha definito tale emendamento come “umano, democratico e liberale”.
Tra le ultime vittime di questa legge c’è Ekaterina Duncova, giornalista e politica di origine siberiana, agente straniero dal 31 maggio 2024. Duncova, che ha tentato la candidatura alle presidenziali di marzo 2024, ha commentato così il proprio inserimento nel registro degli agenti stranieri:
Ciò è stato fatto per impedire a me personalmente di partecipare alle elezioni e di sostenere i candidati del nostro partito, ‘Rassvet’.
Di recente è stato aggiunto anche il movimento Put’ domoj (“Verso casa”), composto dalle mogli dei mobilitati nella guerra in Ucraina, le quali chiedono il ritorno dei propri compagni dalla guerra. L’attivista Marija Andreeva, leader del movimento, è stata dichiarata “agente straniero” alla fine di maggio 2024. All’inizio di agosto, Andreeva ha fatto sapere di essere stata licenziata dal proprio posto di lavoro.
Le organizzazioni della società civile: “indesiderate” ed “estremiste”
Nel repertorio del Cremlino ci sono due ulteriori leggi utilizzate al fine di ostacolare e neutralizzare il lavoro della società civile. La prima legge, promulgata a maggio 2015, ha introdotto il concetto di “organizzazione indesiderata” (o “non grata”).
Secondo Inoteka, in Russia ci sono 186 organizzazioni “indesiderate”, considerate ostili o pericolose per l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale della Federazione. La principale conseguenza di tale status è il divieto di operare in Russia, dunque la cessazione di qualsiasi attività e il congelamento dei fondi sul territorio russo. Tra le organizzazioni “indesiderate”, dal giugno 2023, c’è anche il World Wildlife Fund (WWF).
Infine, il terzo e ultimo atto normativo fu introdotto all’inizio del primo mandato presidenziale di Vladimir Putin, nel giugno 2002. Quest’ultimo, in teoria, riguarda la “lotta all’estremismo”. Nella pratica, però, le vittime di questa legge sono molte e variegate e negli ultimi due anni si è assistito a un boom nella sua applicazione.
Il 30 novembre 2023, su richiesta del ministero della Giustizia, la Corte suprema della Federazione Russa ha etichettato il “movimento internazionale LGBT” come “organizzazione estremista” e ne ha vietato le attività sul territorio della Russia, di fatto rendendo illegale qualsiasi forma di attivismo queer in Russia.
Lo stesso destino è toccato al cosiddetto “movimento separatista antirusso”. Il 26 luglio 2024, il ministero della Giustizia ha classificato 55 organizzazioni per i diritti delle minoranze etniche russe come “estremiste”, accusandole di “minare l’unità multinazionale e l’integrità territoriale della Russia”. Tra queste organizzazioni spiccano la “Free Russia Foundation”, l’organizzazione “Asians of Russia” e la “Free Buryatia Foundation”. In realtà questi “movimenti” non esistono, almeno legalmente. Il Cremlino si giustifica come segue:
il divieto di attività di un’organizzazione senza leader, ideologi e seguaci ufficiali comporta il rischio di una responsabilità selettiva nei confronti di qualsiasi persona.
L’obiettivo del Cremlino è scacciare il dissenso
Il 1° agosto scorso è avvenuto un “grande scambio” di prigionieri, come titolano molti giornali, tra Russia e Stati Uniti. Numerosi gli attivisti tornati in libertà: tra questi Oleg Orlov, Vladimir Kara-Murza e Il’ja Jašin. Sicuramente un momento di sollievo, che però lascia intravedere le vere intenzioni del Cremlino. Per alcuni attivisti, infatti, quanto accaduto non è uno scambio di prigionieri, bensì “un’espulsione illegale dalla Russia”, come dichiarato da Jašin. È d’accordo Orlov, secondo il quale “si è trattata, ovviamente, di un’espulsione”.
Tra gli interessi di Mosca sembra esserci, dunque, quello di svuotare la società dalle voci del dissenso, e queste leggi ne sono la dimostrazione. Già prima del febbraio 2022, più del 40% degli agenti stranieri sceglieva di lasciare il paese. A seguito dell’aggressione di Mosca, è plausibile pensare che questa tendenza sia aumentata.
L’attuale repressione del dissenso da parte del regime di Putin mette a rischio l’esistenza stessa della società civile russa. Attraverso l’uso mirato di leggi liberticide, etichette infamanti e minacce costanti, il Cremlino mira a soffocare ogni forma di opposizione e a creare un ambiente sfavorevole al cambiamento dal basso, in cui il pensiero indipendente non può sopravvivere ed è costretto ad andar via, lasciando la Russia sempre più isolata e autoritaria.
*Laureato in Studi sull’Est Europa e l’Eurasia presso l’Università di Bologna, ha studiato e vissuto a San Pietroburgo e Kaunas. Si interessa principalmente di memoria storica, minoranze etniche e disinformazione in Russia e Ucraina. Dal novembre 2023 collabora con Memorial Italia.