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Il documentario “Blueberry dreams” e il futuro della Georgia: intervista a Elene Mikaberidze

Il 17 settembre, al Dedaena bar di Tbilisi c’è stata la premiere di Blueberry Dreams (2022) di Elene Mikaberidze, regista georgiana naturalizzata belga. Nei giorni successivi, è stato presentato anche nelle sale del cinema Amirani, ottenendo un grande successo tra il pubblico. Il documentario segue le vicende di una famiglia georgiana che, nel 2020, ha aperto un’azienda agricola finalizzata alla produzione di mirtilli grazie ai finanziamenti di “Pianta il futuro” (“Plant the future”), un progetto governativo il cui obiettivo era di rendere coltivabili i territori sul confine della linea di demarcazione con l’Abcasia, abbandonati dopo la guerra del 2008.

Non perderti la nostra breve storia di Abcasia e Ossezia del Sud.

I genitori, Soso e Nino, hanno intrapreso questo cammino colmi di speranza, per lasciare ai figli, Giorgi e Lazare, un’eredità che avrebbe loro permesso di ottenere la sicurezza economica necessaria per proseguire i loro studi. Tuttavia, la mancanza di formazione agricola del padre Soso e l’assenza da parte dello stato di misure di distribuzione dei prodotti di “Pianta il futuro” hanno reso la gestione dell’impresa più difficile del previsto.

Intervistata, Mikaberidze chiede al governo più trasparenza e cura nei confronti dei suoi cittadini. Spera che la diffusione internazionale del documentario, anche nel suo piccolo, possa offrire uno spaccato realistico delle politiche del governo georgiano e del fallimento di programmi come “Pianta il futuro”. Allo stesso tempo, la regista mantiene un occhio di riguardo sulla vita di confine con i territori occupati, e dell’impatto dell’invasione russa dell’Ucraina.

Qual è il motivo per cui ha deciso di parlare di “Pianta il futuro”?

Inizialmente, non sapevo nulla di questo programma. La mia idea era di girare un documentario su come i bambini crescono interagendo quotidianamente con il confine dei territori occupati. Una notte, durante la pandemia di COVID, gli hotel erano tutti chiusi e mi sono ritrovata da Soso e Nino, che per guadagnare qualcosa affittavano una stanza della loro abitazione alla gente di passaggio. Soso aveva appena comprato l’appezzameno di terra dal governo, e ne era entusiasta. Allora, era ancora nel pieno delle sue forze, ed era veramente ottimista: credeva che sarebbe stato il miglior regalo che potesse dare ai suoi figli e alla sua patria.

È stato grazie a lui che ho iniziato a modificare il mio progetto originale per indagare su come la terra sia collegata all’identità nazionale georgiana e come i bambini reagiscano al fardello di un’eredità legata alla prospettiva di garantire l’integrità territoriale del proprio paese. Le settimane successive ho cominciato a notare per le strade del paese i cartelloni del programma “Pianta il futuro”, che pubblicizzavano l’idea di recuperare la terra georgiana dopo la guerra. Mi sono quindi decisa ad analizzarlo. Poi, a inizio riprese è scoppiata la guerra in Ucraina, che ha avuto grande impatto non solo sul documentario, ma anche sulla società civile georgiana e la vendita dei mirtilli di Soso.

Dopo la visione di Blueberry dreams, ho scandagliato il sito web del governo (“Plant the future”) e non sono riuscita a reperire alcuna informazione utile sui finanziamenti o su come sta realmente andando la campagna. Naturalmente, sono limitata dal fatto che non conosco la lingua georgiana. Ma, almeno nella parte in inglese, indirizzata al pubblico internazionale, vi é poco o nulla.

Sì. Anche sulla pagina del sito in georgiano non c’è nulla se non immagini di agricoltori felici, quando la realtà è purtroppo ben diversa.

Le problematiche del programma, per me, sono molteplici. Tramite “Pianta il futuro”, il governo e le banche hanno concesso crediti a persone che non hanno abilità né esperienza nel campo agricolo, per giunta senza offrire loro una formazione adeguata nella gestione di un’impresa. Allo stesso tempo, hanno distribuito risorse in eccesso e ora le aziende di mirtilli sono troppe. I contadini sono costretti a inviare l’invenduto in Russia a prezzi irrisori, visto che il mercato locale fatica ad assorbirne la produzione in eccesso. Infine, le somme prestate dal governo hanno un tasso di interesse spaventoso, del 16%, che ora è salito al 18% senza una ragione apparente.

Mi sembra che la campagna sia stata creata senza un piano a lungo termine sulla distribuzione dei prodotti e, onestamente, con una certa noncuranza nei confronti delle persone che, prive di un’educazione finanziaria adeguata, si trovano adesso sommerse dai debiti. Per questo vorrei richiedere più attenzione da parte del governo, e trasparenza sulla provenienza e gestione dei fondi.  

Un esempio di una “storia di successo” dal sito di “Plant the future”
Il documentario lascia proprio l’impressione che Soso e Nino si siano ingarbugliati in qualcosa di più grande di loro. Pensa che in futuro cambierà qualcosa?

A essere onesti, sono molto pessimista. Penso che sia responsabilità del nostro governo prendersi cura di questa situazione e garantire condizioni di vita basilari ai suoi cittadini, ma non vedo come questo possa accadere nell’immediato futuro.

Se i minatori di Chiatura non hanno ottenuto nulla dopo più di un mese di sciopero della fame, non penso che Soso e Nino possano ricevere alcun aiuto da parte dello stato. Quando nessun politico, tra tutti i partiti che ci sono, risponde al dolore di persone che stanno mettono in gioco la propria vita, significa che vi è qualcosa di decisamente sbagliato. E non chiedono molto, solo acqua pulita e che un’azienda [ndr: la Georgian Manganese] non scavi nel terreno dove è costruita la loro casa perché potrebbe crollare, portandoli a perdere tutto.

L’intervista è stata registrata prima del 14 ottobre, quando i minatori di Shukruti hanno interrotto lo sciopero della fame al quarantatreesimo giorno, ed è finalmente iniziato un nuovo dialogo con la compagnia mineraria Georgian Manganese con l’intercessione di rappresentanti dell’opposizione. Avevamo scritto del caso qui.
Sembra, quindi, che la situazione di Soso e Nino faccia parte di una condizione più sistemica, e che la politica sia cronicamente assente nel momento in cui vengono fuori delle problematiche sociali.

Sì, e non mi fraintenda, non sono una specialista in agricoltura o in economia, non mi sento di offrire un parere professionale, ma ho studiato scienze politiche e per me ci sono delle problematiche evidenti nella struttura del mio paese. Tuttavia, è proprio perché amo la Georgia che sono così critica.

È molto frustrante che le persone non vedano un futuro qui e che fuggano verso l’Europa, come le madri che vanno a lavorare in Grecia o in Italia per anni per inviare i loro stipendi a casa e provvedere al sostentamento dei figli. Perché non possono semplicemente ricevere un’istruzione adeguata, lavorare ed avere una famiglia qui?

Perché non diamo valore ai nostri insegnanti, non diamo valore alle nostre infermiere, non diamo valore ai nostri agricoltori, non diamo valore a nulla. Sembra davvero che alla classe politica importino solo denaro e potere. È una situazione che può essere compresa anche attraverso le esperienze dei rifugiati dei conflitti recenti: nessuno vuole abbandonare la propria casa, ma allo stesso tempo è normale e necessario vivere in pace e avere una qualità di vita decente.

Nel documentario viene mostrata anche la forza della comunità sociale georgiana: per esempio, si vede che Soso paga le raccoglitrici di mirtilli più del necessario, nonostante lui stesso stia lottando per sbarcare il lunario. Se lo stato non provvede al welfare dei propri cittadini, il sistema di solidarietà è l’unico mezzo di sopravvivenza.

Assolutamente. Le nostre stesse case, i nostri appartamenti sono così spaziosi perché la gente era abituata a vivere in comunità. Ognuno si procurava quello che si poteva permettere, chi il pane, chi le uova, e poi condividevano i pasti nei giardini comuni. Soso e gli altri agricoltori, in questo modo, si sostengono a vicenda, perché è l’unica alternativa.

Il confine è un luogo interessante non solo dal punto di vista fisico, ma anche nel contesto dell’immaginario collettivo. “Pianta il futuro”, per esempio, sembra trattare il confine con i territori occupati come qualcosa di non reale, nel tentativo di mantenere la percezione di un imminente ritorno dell’Abcasia alla Georgia. Come pensa che queste politiche interagiscano con il trauma generazionale delle persone che hanno vissuto la guerra del 2008?

Non ho una visione così drastica del programma, ma sono d’accordo che il governo georgiano abbia coltivato l’idea di riunirsi con l’Abcasia. Ciò che è più sorprendente per me è che gli sfollati dai territori occupati (non solo nel 2008, ma soprattutto nel 1993) non siano ancora considerati cittadini a pieno titolo. Se davvero non c’è distinzione tra Abcasia e Georgia e l’Abcasia è Georgia, allora le persone che sono fuggite dall’Abcasia dovrebbero essere trattate come eguali. I problemi sorgono perché i rifugiati non pensano di avere un futuro in Georgia e sognano ancora di tornare a casa.

Inoltre, secondo me bisognerebbe che la Georgia inizi ad ascoltare ciò che vogliono gli abcasi. Mi considero per metà abcasa e per metà georgiana, anche se tutti i miei amici dissentono calorosamente con questa mia affermazione. Per me, la mia doppia identità acquista senso dal momento che c’è un conflitto, un confine, e da qualche tempo ormai una valuta abcasa e un governo abcaso. Poi, ho parenti in Abcasia che non mi è permesso vedere, e loro non possono venire a trovarmi in Georgia.

La narrazione dell’occupazione russa della Georgia è problematica. Forse sarò estradata dai miei amici georgiani, ma credo che sia sbagliato negare completamente l’esistenza degli abcasi. Naturalmente, il ruolo della Russia è innegabile e catastrofico, dato che ha l’effettivo controllo sulla regione e sulle guardie di frontiera. Il denaro russo finanzia l’Abcasia, il passaporto russo viene offerto agli abcasi. Inoltre, la Russia continua a provocare il popolo georgiano perché beneficia della distanza tra georgiani e abcasi. Io vorrei solo che si iniziasse ad affrontare la realtà della separazione.

Un’altra cosa di cui vorrei discutere è il concetto di eredità familiare, e di come essa sia condizionata dal conflitto. In Blueberry dreams Soso e Nino hanno scelto di investire in “Pianta il futuro” per i loro figli. Nonostante vogliano che Giorgi e Lazare scelgano la propria strada indipendentemente, hanno però legato i destini dei due, specialmente di Giorgi, il maggiore, alla terra.

Non era loro intenzione trasferire il peso del 2008 sulle loro spalle. Sono stati traditi dal governo, che ha concesso crediti alle famiglie senza sincerarsi delle loro effettive capacità nella gestione della terra e dell’impresa, senza creare un mercato per i loro prodotti.

Incontro con la regista Mikaberidze sul documentario Blueberry dreams (Meridiano 13/ Sofia Mischi)
Durante l’incontro che ha seguito il documentario, ha parlato molto di Giorgi e Lazare e del viaggio a Bruxelles che avete intrapreso insieme. Come giudica questa esperienza? Pensa che cresceranno e manterranno lo stesso ottimismo dei loro genitori?

Questa esperienza li ha aiutati molto. Per esempio, Giorgi ha deciso che studierà scienze agricole. I bambini sono molto fiduciosi nel loro futuro, e sono molto intelligenti ed espressivi. Sicuramente aiuta avere un padre che non si arrende mai, come Soso. Per esempio, quest’anno il 40% dei suoi mirtilli è marcito a causa delle incessanti piogge, ma non si è lasciato scoraggiare e sa di dover ancora imparare molto. I loro debiti sono sempre in aumento e non so che non ha tempo di imparare: ma, allo stesso tempo, non sono preoccupata. Ora sono la mia famiglia e voglio prendermi cura di loro.

Come dice sempre Nino, però, non voglio che Giorgi e Lazare vadano in Europa, voglio che l’Europa arrivi in Georgia e che sia data la possibilità alle persone di crescere in un paese indipendente e libero.

Giorgi e Lazare sembrano essere anche molto consapevoli di ciò che gli circonda, come della guerra in Ucraina.

Assolutamente! Come si vede nel documentario, Lazare adora dipingere, e dipinge in egual modo i suoi personaggi preferiti degli anime e i soldati pronti a combattere in Ucraina. Bada bene, non è l’insegnante che gli chiede di dipingere la guerra, ma è lui che ne è turbato e usa il disegno come mezzo espressivo. È anche preoccupato per l’alluvione in Giappone e per altre cose per cui non ritiene necessario dipingere fiori e pace.

Bisogna tenere a mente che per loro è normale che ci siano i soldati e i checkpoint. Giorgi, per esempio, è nato nel 2008 e il confine lo ha seguito sin dalla sua nascita. Invece, l’Ucraina è reale. I bambini ne discutono spesso con la famiglia e ogni giorno guardano insieme le notizie alla televisione. Inoltre, hanno fatto molto per i rifugiati: Lazare un giorno ha rubato del metallo dall’atelier del padre per rivenderlo e mandarne il ricavato all’Ucraina.

Dal momento che ha vissuto molto al confine, sa se le imminenti elezioni abbiano importanza lì?

Non posso dirlo perché ero lì nel 2022. Le elezioni sono sempre un momento di promesse, soprattutto sulla distribuzione di nuove somme di denaro in cambio di voti. L’unico rischio è che “Sogno Georgiano”, dato che possiede più risorse, possa corrompere di più l’elettorato. Dappertutto, ci sono i politici che vanno nei villaggi e promettono alle persone una vita migliore. Come nel film, in cui i poster di “Pianta il futuro” raffigurano contadini anziani e in belli in ottima salute che coltivano le terre. E, naturalmente, fa credere le persone in un sogno, il sogno dei mirtilli, e il “Sogno Georgiano”.

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Sofia Mischi
Sofia Mischi

Studentessa del master in East European and Eurasian studies (MIREES) presso l’università di Bologna. S’interessa della storia, politica e cultura dello spazio post-sovietico, specialmente nel Caucaso. Ha vissuto sei mesi a Tbilisi, e per un breve periodo a Mosca.