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Stadion der Weltjugend, sacrificato per un sogno

Si tratta dell’impianto più grande di Berlino, dopo l’Olympiastadion. Lo Stadion der Weltjugend, lo “stadio della gioventù mondiale”, era fino alla caduta del Muro di Berlino uno dei luoghi di sport più importanti della Repubblica Democratica Tedesca. Ora però non c’è più. Ecco la sua storia.

La “casa” della polizia

Fino alla metà degli anni Venti il sito, dove verrà costruito lo stadio, era stato prima una Exerziezplatz, una piazza d’armi e poi la sede della caserma dei fucilieri dell’esercito prussiano.

Nel 1927, in piena Repubblica di Weimar, su quella porzione di territorio tra i vecchi quartieri di Tiergarten e Wedding, la polizia costruisce un impianto per il suo gruppo sportivo. Al Polizeistadion gioca il PSV, la sezione calcistica della polisportiva delle forze dell’ordine, capace negli anni Trenta di militare anche nella Gauliga Brandenburg, uno dei gironi della massima divisione tedesca e nel Tennis Borussia Berlin. Nel 1936 su quel campo si disputano le gare di Feldhandball, la pallamano all’aperto (che si giocava 11 contro 11) dei Giochi di Berlino.

Nuovo Stato, nuovo stadio

La Seconda guerra mondiale lascia i suoi segni in tutta Berlino. Anche del Polizeistadion, che con la spartizione della capitale tedesca si viene a trovare nella zona sovietica, non rimane praticamente nulla.

Le autorità nella neonata DDR decidono nel 1950 di costruire un impianto che possa rivaleggiare con l’Olympiastadion. Per farlo, come accadrà qualche anno dopo con il Zentralstadion di Lipsia, verranno usate le macerie raccolte in città. Il progetto è affidato a due “architetti socialisti” come Reinhard Lingner e il bosniaco trapiantato in Germania Selman Selmanagič. Per portare a termine i lavori ci vogliono solo 120 giorni, tanto che le massime autorità lo inaugurano alla presenza di Walter Ulbricht, all’epoca di fatto il capo dello Stato. L’impianto prenderà il suo nome Walter-Ulbricht-Stadion, anche se per la gente comune e per i media della Germania Est sarà ironicamente Zickenwiese, per la barba proprio di Ulbricht.

Un simbolo di potere

Lo stadio, da 70mila, diventa fin da subito un luogo del regime. Nel 1951 è ad esempio la sede del terzo Festival mondiale della Gioventù e degli Studenti, rassegna organizzata dalla Federazione mondiale della Gioventù Democratica, legata ai movimenti e ai partiti comunisti e di sinistra, dove peraltro si svolgono anche gare di atletica, con diversi atleti di punta del blocco sovietico, come Olga Gyarmati, ungherese, oro nel ’48 ai Giochi di Londra nel salto in lungo e dove si gioca una partita non ufficiale tra Dinamo Mosca e la ancora ufficiosa nazionale della DDR.

Uno status, quello del nuovo impianto, che è ben conosciuto dai manifestanti che il 17 giugno 1953 tentano di sollevarsi contro il governo chiedendo libertà e democrazie. Occupano lo stadio e distruggono alcune delle insegne della DDR prima di essere sopraffatte dalle forze di sicurezza.

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Sport e propaganda

Tra la sua costruzione e il 1973, anno della sua più profonda ristrutturazione, il Walter-Ulbricht-Stadion ospita manifestazioni di regime e raduni, ma anche la partenza o l’arrivo delle tappe della Corsa della Pace, competizione ciclistica a tappe che attraversava i Paesi del Patto di Varsavia.

L’impianto è stato, fino al 1961, la casa della SC Dynamo Berlino, del Vorwärts Berlino per alcune sfide europee e per 13 volte della Nazionale della Germania Est. In questi incontri ci sono stati alcuni momenti storici. Come il 19 ottobre 1963 in occasione di un DDR-Ungheria quando a dare il calcio d’inizio simbolico è Valentina Tereškova, la prima donna ad andare nello spazio in visita insieme a Jurij Gagarin. O come il 29 marzo 1969 quando la squadra di Horst Seeger inchioda sul 2-2 l’Italia che poco più di un anno dopo sarebbe arrivata seconda ai Mondiali in Messico.

O come il 16 settembre 1959 quando si disputa il primo derby intertedesco a livello di nazionali. È un incontro che serve per determinare quale delle due selezioni rappresenterà la Germania nelle qualificazioni ai Giochi di Roma ’60. Le due Federazioni non hanno trovato un accordo per fare una formazione mista e così hanno deciso di giocarsi la qualificazione in una sfida andata e ritorno. Sia a Berlino che a Düsseldorf vincerà la Germania Ovest che peraltro poi mancherà il pass olimpico.

Negli Anni Cinquanta il Walter-Ulbricht-Stadion aveva ospitato un incontro tra le selezioni delle due parti di Berlino e nel 1954 una partita tra una squadra di giocatori delle due parti della città e una di Praga.

Una ristrutturazione radicale

Nel 1973, in occasione del decimo Festival mondiale della Gioventù e degli Studenti, viene ridotta la capienza dello stadio (da 70mila a 50mila) e viene rimodernato l’impianto. Cambia anche nome, diventando Stadion der Weltjugend, lo stadio della gioventù mondiale. Un cambio di nome, in cui viene mandato in soffitto l’omaggio allo stalinista Walter Ulbricht, che interessa curiosamente anche la fermata omonima della metropolitana, una di quelle “stazioni fantasma” che punteggiavano la U-Bahn di Berlino.

Lo Stadion der Weltjugend: stadio di coppe e derby

Nella sua nuova veste lo Stadion der Weltjugend diventa la sede tra il ’75 e l’89 della FDGB-Pokal, la coppa nazionale della DDR e ospita per ragioni di sicurezza e di capienza i derby di Oberliga tra la Dinamo Berlino e l’Union. Qui nel 1981 il club biancorosso dovrà giocare alcune partite casalinghe per la ristrutturazione dell’An der alten Försterei.

Sacrificato per il sogno olimpico

Con la caduta del Muro di Berlino e a causa delle sue condizioni lo Stadion der Weltjugend rimane inutilizzato. In quegli anni la nuova capitale della Germania riunificata sogna di ospitare i Giochi del 2000. In quest’ottica si decide di demolire l’impianto per un costo di 32 milioni di marchi. Al suo posto sarebbe dovuto sorgere un palazzetto. Che non verrà mai costruito. Nel 2006 su quei terreni inizieranno i lavori per la sede del Bundesnachrichtendienst, il servizio d’informazione della Germania.

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Roberto Brambilla
Roberto Brambilla

Classe 1984, nato a Sesto San Giovanni quando era ancora la Stalingrado d’Italia. Germanocentrico, ama la Spagna, il Sudamerica e la Mitteleuropa. Collabora con Avvenire e coordina la rivista Cafè Rimet. È autore dei volumi “C’era una volta l’Est. Storie di calcio dalla Germania orientale”, “Rivoluzionari in campo” e coautore di “Non solo Puskas” e “Quattro a tre”.