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Guerra di logoramento. Così viene definita dai mass media l’invasione russa su larga scala dell’Ucraina, che ormai ha superato i seicento giorni dal suo inizio, il 24 febbraio 2022. La stanchezza della guerra, lo sfinimento, l’esaurimento fisico e psicologico, ecco riassunta in poche parole – che perdono il loro significato appena le si pronuncia – la realtà ucraina.
L’inverno 2023 è arrivato, le temperature si sono abbassate, in alcune località la prima neve è già arrivata e le forze armate russe, negli ultimi mesi rimaste piuttosto tranquille (se di tranquillità è lecito parlare considerando la situazione al fronte, a sud e a est del paese), hanno ricominciato a bombardare quotidianamente con missili e droni tutto il territorio ucraino, capitale inclusa. L’obiettivo? Mettere in ginocchio le infrastrutture energetiche del paese in vista dell’inverno più rigido e destabilizzare nuovamente l’economia e la “normalità” della popolazione ucraina, che dovrà affrontare un’altra stagione difficile, nonostante sia preparata al peggio.
Ma si è davvero pronti al peggio? Come si vive la quotidianità in un luogo dove continuano a suonare le sirene antiaeree, dove nessuno ha il coraggio di guardarsi negli occhi e di alzare lo sguardo al cielo per paura di missili, droni e bombe, e dove non si possono più fare piani a strettissimo giro?
La stanchezza della guerra e la quotidianità surreale a Kyiv
“C’è davvero la guerra qui?”: è il primo pensiero che potrebbe balenare nella mente di una persona ignara di tutto, che si risveglia per caso nel centro di Kyiv in questi giorni. In superficie, tutto è come sempre: la gente cammina per le strade, si reca al lavoro o a scuola, entra nei negozi a fare compere, si siede al bar o al ristorante in compagnia, organizza e partecipa a mostre ed eventi culturali. Insomma, cosa c’è di strano? Tutto. Perché questa immagine da cartolina non rispecchia l’atmosfera generale che si respira in città, una città in guerra, dove è impossibile pianificare la propria giornata, dove le persone evitano di fissarti negli occhi e i loro volti sembrano vuoti, anzi: svuotati e stanchi.
A prima vista, Kyiv pullula di vita, si direbbe: le stime indicano circa 3,6 milioni di abitanti nella capitale, cifra quasi uguale a quella dell’anteguerra. Moltissimi cittadini, emigrati o rifugiatisi all’estero nei primi mesi dopo l’invasione del 24 febbraio 2022, sono tornati in patria, a casa propria (se possibile) o trasferendosi proprio nella capitale, più sicura. Perché, nonostante tutto, qui non si sopravvive ma si vive grazie al sistema di difesa aerea. Kyiv è una vera fortezza, un’isola felice se paragonata al resto del paese (e anche della stessa regione circostante), che oltre ad attacchi missilistici continui deve vedersela anche con l’artiglieria sulle soglie di casa.
Vivere in guerra, però, anche qui (più ancora che nelle città occidentali di L’viv, Ivano-Frankivs’k, Užhorod) non permette di trascurare la propria sicurezza, che spesso rischia di mettere in pericolo anche quella altrui. Oggi, la maggior parte dei residenti di Kyiv sa quali segnali di pericolo non possono essere ignorati o sottovalutati. Gli ucraini ricordano bene il 2022 o lo scorso maggio, quando i bombardamenti erano incessanti, quando l’acuto suono delle sirene disturbava ogni singolo minuto delle loro giornate e preoccupazione, stanchezza e sfinimento fisico e psicologico erano all’ordine del giorno. Ora i bombardamenti non sembrano così intensi, ma chi lo sa cosa succede fra un’ora, un giorno, una settimana?
Dopo quasi un mese di relativa calma, nella notte tra venerdì 24 e sabato 25 novembre (giornata dedicata alla commemorazione dell’Holodomor), la Russia ha lanciato il suo più grande attacco di droni dall’inizio dell’invasione sulla capitale ucraina. Per oltre sei ore, i boati della difesa aerea, che è riuscita ad abbattere quasi tutti i droni Shahed di fabbricazione iraniana, hanno riecheggiato senza sosta in tutti i quartieri della città.
L’allarme aereo suona nella capitale quasi ogni giorno; se non suona, il modo per ricordarsi che si è in guerra è palese perché lo zainetto con acqua, spuntini, power bank carico e qualche medicinale è a portata di mano. Il suono della sirena è piuttosto sgradevole, acuto e fastidioso dura due minuti e interrompe qualsiasi pensiero o attività in corso, anche se ci si fa l’abitudine col passare del tempo. Non c’è più una paura folle a Kyiv, non c’è panico, ma di certo la spensieratezza manca e la stanchezza ha la meglio. Prevalgono indubbiamente rabbia e disprezzo (se non odio) per l’aggressore, e una grande fiducia e sostegno per i corpi di difesa.
Ogni volta che parte un allarme aereo, gli abitanti cercano un riparo, un posto sicuro. Nonostante quello spirito di rassegnazione che si è piano piano integrato alla vita quotidiana, sono poche quelle persone che ignorano completamente il pericolo e che continuano a bersi il caffè al bar come nulla fosse. Alcuni scendono nella stazione metro più vicina (il posto più sicuro in assoluto), altri si riparano nelle cantine o si creano uno spazio protetto, lontano dalle finestre, in casa (di solito un corridoio centrale o una stanza riparata da due muri). C’è chi prega, chi aggiorna canali e applicazioni per sapere cosa sta accadendo in diretta, chi si distrae leggendo un libro o guardando dei video, altri ancora si buttano a capofitto sul lavoro lasciato in sospeso; quasi nessuno, però, si guarda negli occhi. La paura rimane dentro, anche in quelli che che l’hanno superata; perché oggi non c’è nessuno che non abbia perso almeno una persona cara per colpa di questa guerra.
La metro di Kyiv
La metropolitana funziona praticamente a pieno regime, i treni passano ogni 2-4 minuti e, nelle ore di punta, le stazioni di snodo sono di nuovo piene di passeggeri, anche se il traffico anteguerra e pre-covid non è più lo stesso.
Sin dai primissimi giorni dall’invasione, la metro è stata un salvavita, rifugio per residenti e visitatori della capitale aperto 24 ore su 24. Oggi continua a funzionare come tale e, dalla scorsa primavera, i treni hanno ripreso a circolare regolarmente anche durante gli allarmi, sebbene parzialmente dato che non tutte le stazioni sono raggiungibili e aperte come prima. Per esempio, la stazione di Luk’janivs’ka, la prima e la più colpita dagli attacchi missilistici nemici all’alba del 15 marzo 2022, il cui atrio e i locali sono stati gravemente danneggiati, oggi è di nuovo funzionante, ma ancora distrutta e in attesa di fondi per la ricostruzione. Anche le uscite nord delle fermate centrali di Majdan Nezaležnosti e Chreščatyk, che portano al quartiere presidenziale e alle istituzioni governative, sono limitate e altamente sorvegliate.
I treni metropolitani, però, non attraversano i ponti durante l’allarme aereo, il collegamento tra le due sponde del fiume Dnipro è quindi interrotto. Il Consiglio di Difesa della città di Kyiv, che si prende carico di tutte le decisioni sul funzionamento della metropolitana e dei trasporti cittadini previa consultazione con i militari e le forze dell’ordine, vieta il funzionamento dei treni su aree aperte e ponti durante le allerte per garantire al massimo la sicurezza dei civili: i ponti, d’altronde, sono le aree più esposte e vulnerabili in caso di bombardamento o, come dicono qui, di “cose che volano”. Anche gli autobus, i filobus e i tram seguono le stesse regole: in caso di allarme, i passeggeri a bordo devono abbandonare il veicolo e recarsi al rifugio più vicino.
Le restrizioni ai trasporti sono legate anche al coprifuoco, che da marzo, a Kyiv, è in vigore da mezzanotte alle cinque del mattino, tutti i giorni.
Scuola, lavoro, tempo libero: una vita interrotta
Nonostante la poca stabilità, l’economia gira, dopo quasi due anni di guerra totale la capitale è di nuovo illuminata, c’è appena il vago ricordo del blackout invernale dello scorso anno che ha causato non pochi disagi per la popolazione ucraina. Oggi quasi non si notano i numerosi generatori che lo scorso inverno andavano a pieno regime perché, almeno per il momento, riscaldamento ed elettricità funzionano normalmente in tutto il centro città.
La maggior parte dei musei, dei cinema e dei centri espositivi della capitale sono tornati operativi, dando vita a una vera e propria esplosione culturale.
La gente frequenta caffè e ristoranti e quasi tutti i locali, vecchi e nuovi, sono tornati in attività attirando il pienone: la guerra ha insegnato agli abitanti a godersi il presente e a non farsi mancare le piccole gioie giornaliere – il caffè, il čeburek crimeano, il boršč ucraino, la birra ucraina, il vino georgiano o la pizza italiana – sostenendo le attività commerciali locali.
Le difficoltà, però, sono evidenti e non sono solo economiche. A causa della legge marziale c’è una carenza di personale. Inoltre, il coprifuoco obbliga i luoghi pubblici ad anticipare le serate: molti concerti, proiezioni di film, spettacoli di teatro ed eventi simili sono anticipati al pomeriggio o iniziano al più tardi alle 18; nei bar e nei ristoranti dopo le 21 o le 22 non è più possibile ordinare nulla perché i locali devono avere il tempo di chiudere entro le 23 al più tardi. In tal modo, tutti hanno la possibilità di tornare a casa entro la mezzanotte, quando inizia il coprifuoco.
Oltre il 90% degli studenti è tornato a scuola, a regime ibrido però, poiché solo gli edifici dotati di cantine o rifugi permettono di frequentare le lezioni in presenza. Delle 421 scuole pubbliche e comunali di Kyiv, il 70% dispone di un riparo a norma. In caso di allarme o attacco aereo, i bambini vengono subito accompagnati negli scantinati, dove c’è tutto: acqua, cibo, vestiti caldi, sedie, scrivanie e persino culle per i più piccini. Ogni bambino è tenuto a portare con sé un biglietto con i contatti dei genitori e il gruppo sanguigno.
Il fronte caldo e la nuova legge sugli aiuti umanitari in Ucraina
La capitale è una fortezza e non ha nulla a che vedere con quello che si vive nel sud e nell’est del paese, a ridosso della linea del fronte o sulle sponde del Mar Nero.
“L’invasione su larga scala da parte della Russia ha portato a una grave crisi umanitaria. In Ucraina c’era già bisogno di aiuti umanitari, ma non nella stessa misura di adesso. Sono diciotto milioni le persone che hanno bisogno di assistenza, ovvero quasi la metà di quelle che attualmente si trovano in Ucraina”, ha dichiarato in un’intervista a Interfax-Ucraina Saviano Abreu, portavoce dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA) in Ucraina.
Come afferma Abreu, nonostante alcune differenze, i bisogni primari sono gli stessi ovunque si vada: in alcune aree, la gente non può accedere ai servizi sanitari perché le strutture sono fuori uso, danneggiate, distrutte o non c’è personale. Stessa cosa per l’accesso ai farmaci, ai prodotti per l’igiene (il disastro della diga di Nova Kachovka ha aumentato il rischio di contagi e malattie), all’acqua potabile.
I territori a sud dell’oblast’ di Dnipropetrovs’k, nelle zone di Cherson e Mykolaïv, sono stati praticamente rasi al suolo e nessuno riesce a capire come la gente possa continuare a viverci. Sul fronte orientale, nelle regioni di Donec’k e Luhans’k, gli aiuti quasi non arrivano perché le truppe russe hanno preso il controllo di buona parte del territorio e i villaggi liberati sono praticamente vuoti, frequentati solo temporaneamente da militari ucraini. Qui non c’è nulla: mancano viveri, acqua corrente, elettricità; è sempre buio pesto se non per le luci di “cose che volano sopra la testa”.
La situazione umanitaria è destinata a peggiorare non solo a causa dei continui attacchi russi e dell’arrivo dell’inverno, ma anche per via della nuova richiesta di regolamentazione del lavoro umanitario partita da Serhij Prytula e che entrerà in vigore il prossimo 1° dicembre.
In un’intervista alla testata Ukrains’ka Pravda, l’ex candidato sindaco di Kyiv e attivista di fama nazionale Serhij Prytula ha sottolineato come in Ucraina non esista una legislazione che regoli il movimento dei volontari nel paese e il loro rapporto con lo Stato. Secondo quanto afferma, le fondazioni di volontariato (come la sua, peraltro, che principalmente raccoglie fondi per l’acquisto di droni e altro materiale tecnico per le forze armate ucraine) operano nell’ambito delle leggi già esistenti sulle organizzazioni caritatevoli e sulle attività di beneficenza. Al contrario, i singoli volontari che annunciano raccolte fondi, che acquistano gli articoli necessari per il fronte all’estero e li introducono poi in Ucraina come aiuti umanitari, non seguirebbero alcun iter normativo.
In seguito all’avanzamento della sua richiesta, il 1° dicembre 2023 entrerà così in vigore la risoluzione n. 953 del 5 settembre del Consiglio dei ministri dell’Ucraina sulle questioni relative al transito e alla contabilità degli aiuti umanitari sotto la legge marziale, che di fatto annulla il regime semplificato per l’importazione di aiuti umanitari e stabilisce nuove procedure con requisiti aggiuntivi per la rendicontazione e la contabilizzazione degli aiuti umanitari, con lo scopo di costituire anche un’unica piattaforma per il trattamento degli aiuti umanitari. Il mancato rispetto degli obblighi previsti comporterà il blocco automatico delle organizzazioni nel sistema per sei mesi, senza diritto di appello o di rinnovo. Tutto ciò si tradurrà anche in un’unica conclusione: l’introduzione di queste nuove restrizioni rallenterà e danneggerà in modo significativo l’approvvigionamento delle forze di sicurezza e di difesa dell’Ucraina, soprattutto quelle più bisognose (l’esercito regolare riceve già sostegno sia dallo Stato che dagli enti statali).
Se a prima vista la proposta di regolare il lavoro umanitario sembrerebbe quanto meno necessaria, scavando un pochino più a fondo si nota che saranno soprattutto quei piccoli movimenti di volontari e i singoli individui che aiutano maggiormente il popolo ucraino a rimetterci.
Senza l’attenzione mediatica del primo anno, la guerra in Ucraina prosegue e continua a colpire duramente la popolazione civile del paese. L’assistenza umanitaria rimane quindi una priorità e una necessità in tutto il territorio ucraino.
Traduttrice e redattrice, la sua passione per l’est è nata ad Astrachan’, alle foci del Volga, grazie all’anno di scambio con Intercultura. Gli studi di slavistica all’Università di Udine e di Tartu l’hanno poi spinta ad approfondire le realtà oltrecortina, in particolare quella russa e quella ucraina. Vive a Kyiv dal 2017, collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso, MicroMega e Valigia Blu. Nel 2022 ha tradotto dall’ucraino il reportage “Mosaico Ucraino” di Olesja Jaremčuk, edito da Bottega Errante.