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Comunque la pensi il paese dal quale provenite, qualsiasi sia la vostra opinione personale in merito, è un dato di fatto che il 5 marzo 2014 la nazionale di calcio del Kosovo ha disputato la sua prima gara e che dal maggio 2016 è affiliata a Uefa e Fifa. Questo articolo prova a ripercorrere la storia della nazionale di calcio del Kosovo.
Gli albori della nazionale di calcio del Kosovo
Gli anni Ottanta si sono rivelati un periodo di grande complessità nelle vicende interne all’allora Jugoslavia. La morte di Tito ha segnato la fine di un equilibrio che ruotava anche intorno alla figura del leader e ha aperto una nuova fase, che è culminata negli anni Novanta con le guerre che hanno cambiato definitivamente il volto ai Balcani occidentali. Le tensioni in Kosovo si sono fatte via via più intense e sono culminate nel conflitto armato di fine decennio, tuttavia già dalla fine degli anni Ottanta il mondo sportivo kosovaro ha iniziato a manifestare segni di insofferenza nei confronti del potere jugoslavo, sull’onda di quanto succedeva nella società civile. Ne sono un esempio la nascita di club come quello del Minatori 89 di Mitrovica, che si ispirava in maniera esplicita agli scioperi minerari di fine decennio, indetti per protestare, fra le altre cose, contro l’abolizione dello statuto di provincia autonoma del Kosovo.
Con l’intensificarsi delle tensioni, la componente albanese che, insieme a quella serba, animava i club sportivi, si tirò fuori, organizzando campionati paralleli, mal tollerati e spesso repressi dalle forze dell’ordine. Questi incontri si tenevano in campi informali, delimitati alla bene e meglio. Molti dirigenti, calciatori e allenatori di etnia albanese lasciarono le rispettive squadre per andare a confluire nel sistema parallelo della federazione calcistica del Kosovo, un ente per lo più volontario retto da un presidente e da dodici rappresentanti del territorio, che dettero vita a un campionato e una coppa nazionale, alternativi e non riconosciuti. Nella stagione 1998/99, anche il Pristina, la principale squadra della regione, in quel momento parte del sistema calcistico jugoslavo, lasciò il campionato di prima divisione per entrare a far parte del nuovo sistema.
Gli anni Duemila e il riconoscimento internazionale
Il 17 febbraio 2008, al termine di un lungo percorso, arriva la decisione unilaterale del Kosovo di staccarsi dalla Serbia e diventare uno stato indipendente. La Fifa non riconosce immediatamente la federazione calcistica del paese, demandando l’annessione all’ingresso dello stato nell’Onu. In questo modo l’organismo calcistico si pone in una posizione di attesa potenzialmente infinita, dal momento che questo requisito è bloccato dal veto russo.
Tuttavia la posizione di stallo è rotta dalla Fifa stessa che nel gennaio del 2014 annulla il divieto per il Kosovo di incontrarsi con altre nazionali (rimane invece in vigore quello di giocare contro quelle provenienti dalla ex Jugoslavia). Aggiunge però che la rappresentativa potrà portare il proprio nome sulle maglie, ma non potrà esporre simboli o bandiere, né far risuonare un inno.
Il 5 marzo 2014, allo stadio di Mitrovica, il Kosovo affronta Haiti, in una gara che termina 0-0. Per l’occasione vengono diramate delle convocazioni molto ampie, anche verso giocatori con origini kosovare ma che avevano già disputato gare con altre nazionali. Lo status speciale dell’incontro non avrebbe compromesso il loro futuro calcistico, dal momento che normalmente non si può giocare per due nazionali diverse. Tuttavia, non mancano i rifiuti, come quello della talentuosa promessa Adnan Januzaj, che al tempo sembrava poter diventare un calciatore di primo piano. Il padre non se la sente di far così esporre il figlio che ha solo 19 anni e deve ancora decidere che nazionale rappresentare (in ballottaggio ci sono Belgio, Serbia, Turchia e Inghilterra).
L’uomo dietro alla crescita del movimento sportivo kosovaro si chiama Fadil Vokrri ed è un’autentica leggenda nel paese. È stato l’unico giocatore di etnia albanese proveniente dal Kosovo a vestire la casacca della nazionale jugoslava (Vilson Džoni, quattro presenze, era originario di Prizren, ma nato a Spalato), ha portato la squadra del Pristina a un passo dall’Europa e ha giocato anche per il Partizan, dove è amato e rispettato per l’impegno e l’attaccamento sempre dimostrato ai colori bianco-neri. La sua opera dietro alla scrivania della federazione kosovara è instancabile ed è sua l’idea di giocare a Mitrovica, anziché all’estero. Questa seconda scelta avrebbe portato sicuramente molti vantaggi, a partire dalla vicinanza della diaspora, ma per lui è importante che la prima gara del Kosovo si giochi in Kosovo.
L’inizio della storia della nazionale di calcio del Kosovo
Il 3 maggio del 2016, a Budapest, durante un congresso ordinario la Uefa ammette il Kosovo con una votazione molto combattuta, terminata con 28 favorevoli e 24 contrari. È una decisione controversa, perché apre un precedente politico importante. Come riportato da Dario Saltari su Ultimo Uomo, lo statuto della Uefa prevede che “l’ammissione è aperta alle associazioni calcistiche nazionali situate nel continente europeo, basate in un paese che sia riconosciuto dalle Nazioni Unite come uno stato indipendente”. E in quel momento il Kosovo non ha il riconoscimento dell’Onu, ma il responsabile degli affari giuridici della Uefa, Alasdair Bell, dichiara che “non è l’Onu a riconoscere gli stati, sono gli stati a riconoscere gli stati”. Un’affermazione abbastanza parziale, in quanto se è vero che non è solo l’Onu a riconoscere l’esistenza di uno stato, per le stesse ragioni, non possono essere solo gli stati a farlo. Fra l’altro nella stessa occasione la Uefa propone di eliminare la necessità del riconoscimento Onu dal suo regolamento, ma non raggiunge la maggioranza qualificata vincolante per la modifica: ci si ferma a 34 voti favorevoli, mentre ne sarebbero serviti 36. Arrivano scontate le proteste della Serbia e del Montenegro, ma dieci giorni dopo anche la Fifa esprime un parere positivo per l’ammissione del Kosovo.
La prima rassegna a cui partecipa la nazionale kosovara sono le qualificazioni ai mondiali del 2018, dove si trova inclusa nel girone con Croazia, Finlandia, Ucraina, Turchia e Islanda. All’esordio la nazionale raccoglie un pareggio a Turku, contro la Finlandia. Segna Valon Berisha: è il 5 settembre 2016 (qui potete vedere la marcatura, segnata su calcio di rigore). Il 10 settembre di due anni dopo, durante le gare di Nation League, arriva la prima vittoria contro le isole Fær Øer, è un 2-0.
Tuttavia non è tutto rose e fiori e ci sono alcuni nodi nel rapporto fra kosovari e la propria nazionale che sono da sciogliere. Ancora oggi, molti dei tifosi delle principali squadre nazionali, come ad esempio i Plisat del Prishtina, non seguono la nazionale kosovara, ma quella albanese, considerata la vera porta bandiera etnica del “popolo delle aquile”. È una situazione un po’ paradossale, ma comprensibile nell’ottica della maggiore visibilità di cui ha sempre goduto la nazionale rosso-nera, rispetto alla più giovane rappresentativa. Quindi non è raro, durante le gare a Tirana, o in giro per l’Europa, vedere simboli di squadre macedoni di etnia albanese, come lo Shkendija, o appunto di squadre kosovare.
Qualificazioni a Mondiali ed Europei
Per le qualificazioni a Qatar 2022, il Kosovo viene inserito nel girone con Spagna, Svezia, Grecia e Georgia. In pratica solo il paese scandinavo riconosce l’indipendenza del paese. Il comportamento degli altri stati è mosso da ragioni politiche e spesso dipendono dal fatto che all’interno del paese ci sono situazioni paragonabili a quella del Kosovo che riceverebbero nuova linfa per le loro istanze indipendentiste, come ad esempio i Paesi baschi e la Catalogna in Spagna, o l’Abcasia e l’Ossezia del Sud in Georgia. Come si traduce, allora, nella pratica il fatto che la Spagna non riconosca il Kosovo? Un esempio: durante l’incontro in terra iberica, la regia di casa fa il possibile per non dare dignità agli avversari, scrivendo in minuscolo “kos” nella grafica televisiva e rifiutandosi di nominare il paese. In conferenza stampa, si arriva quasi allo scontro verbale tra l’allenatore del Kosovo e un giornalista di As.
“La domanda è per l’allenatore di quale nazionale?”. Chiede Bernard Challandes.
“Per l’allenatore”
“Sì, questo l’ho capito. Ma per l’allenatore di quale nazionale, perché sul tuo giornale non lo scrivete mai?”.
Il giornalista svicola ancora, il commissario tecnico insiste tre volte e alla fine il suo interlocutore è costretto a dire:
“La domanda è per l’allenatore del Kosovo”.
Le qualificazioni ad Euro 2024 hanno però messo di nuovo il Kosovo di fronte a due sfide opposte e interessanti. Da una parte la gara contro la Svizzera, dall’altra quella con la Romania. Ma andiamo con ordine. Il primo dei due incontri, il 9 settembre 2023, riportato magistralmente da Giovanni Timillero sulle pagine di Ultimo Uomo è stata ribattezzata la partita “della pace, o forse sarebbe meglio dire del futuro, della pace come possibilità di rinnovamento”. Sempre secondo l’articolo sono 250mila le persone che vivono in Svizzera e che dichiarano di avere come prima lingua l’albanese. La stessa nazionale elvetica ha o ha avuto molti giocatori provenienti dal Kosovo fra le proprie fila, come Granit Xhaka e Xherdan Shaqiri.
La mente ritorna naturalmente all’incontro disputato ai Mondiali 2018 fra la rappresentativa di Berna e la Serbia, dove proprio i due giocatori non mancarono di festeggiare mimando con le mani l’aquila bicipite, che ricorda il simbolo nazionale albanese. Un gesto diffuso proprio tra i nazionalisti albanesi, che in loro richiamava le origini familiari, ma che aveva anche chiari significati politici, fatto proprio di fronte a quelli che erano visti come i nemici, ovvero la nazionale serba. All’epoca le autorità addette a giudicare il gesto non lo ritennero troppo grave, né provocatorio, prendendo implicitamente una posizione politica. I due giocatori non furono squalificati, ma se la cavarono con una multa di circa 10mila franchi svizzeri.
La partita contro la Romania
Pochi giorni dopo l’incontro con la Svizzera, il 12 settembre, la nazionale è stata impegnata contro la Romania, un altro paese che non riconosce il Kosovo. Dopo pochi minuti dall’inizio della partita, la curva dei padroni di casa ha esposto un doppio striscione. Nella prima riga si diceva: “Basarabia è Romania”, nel secondo “Kosovo è Serbia”, a sostegno di quanto scritto sono arrivati anche numerosi cori. I gruppi a seguito della nazionale romena sono fra i più attivi d’Europa e raccolgono moltissimi sostenitori, sia dalle squadre principali del paese, ma anche da tutta quella serie di nobili decadute o scomparse che in questo modo danno voce alle istanze che altrimenti sarebbero andate perse nei meandri delle serie inferiori.
Le posizioni sono molto nazionaliste e, in passato, non sono mancati gli endorsment verso il partito Aur, di George Simion, che si autodefinisce conservatore, patriottico, nazionalista e unionista. Proprio su quest’ultimo tema sta la spiegazione di quel “Basarabia è Romania”: infatti i romeni si riferiscono alla regione della Basarabia, intendendo la Repubblica di Moldavia, ovvero lo stato a maggioranza romena che fino al 1991 faceva parte dell’Unione sovietica. Lo fanno però usando una parola non priva di significati, come il riferimento al periodo interbellico, quando la Romania si estendeva anche nella parte di Basarabia che si affacciava sul mare e che oggi è la provincia di Odessa, in Ucraina. Trattandosi di uno striscione e non di un trattato politico, naturalmente alcuni punti rimangono in sospeso.
Dopo l’esposizione dello striscione e i cori, i giocatori del Kosovo si sono rifiutati di proseguire e l’arbitro ha sospeso la partita, chiedendo alla curva di rimuovere il messaggio. Al rifiuto, ha mandato tutti negli spogliatoi e soltanto in un secondo momento la partita è ripresa. “Il romeno ha tre amici: il Danubio, la foresta e il serbo”, recita un proverbio ripreso come striscione dai tifosi serbi nei giorni successivi alla partita, come ringraziamento per l’azione degli ultras romeni. Quello che è certo, è che il comportamento in campo apre un precedente, in cui il giudizio del direttore di gara (e dei suoi collegi) sui messaggi politici può diventare una leva per decidere il risultato di una partita. Fra l’altro sta alla discrezione dell’arbitro e della Uefa decidere che cosa si può dire e cosa no. Un doppiopesismo che alimenta polemiche e crea vittimismi verso il comportamento degli organismi internazionali. Ancora una volta si fa finta che gli stadi siano un territorio scollegato dal mondo esterno. Alcune idee politiche che vengono portate avanti da partiti che partecipano alla democratica vita degli stati, non possono entrare negli stadi, altre sì: chiaramente in questo contesto la Fifa e la Uefa assumono un ruolo politico, che invece sembrano non volersi prendere.
E per il futuro?
Che cosa succederà nel prossimo futuro agli incontri della nazionale di calcio del Kosovo? Difficile immaginarlo, ma è poco probabile che le cose cambieranno in tempi rapidi. Probabilmente verranno rafforzate le misure di sicurezza, vietando l’introduzione di striscioni e facendo leva sulle federazioni affinché controllino i propri tifosi. Quello che rimane probabile è che la partita contro il Kosovo, vista anche l’attenzione mediatica, sarà l’occasione per portare avanti campagne che altrimenti avrebbero poca visibilità.
Autore dei libri “Questo è il mio posto” e “Curva Est” - di cui anima l’omonima pagina Facebook - (Urbone Publishing), "Predrag difende Sarajevo" (Garrincha edizioni) e "Balkan Football Club" (Bottega Errante Edizioni), e dei podcast “Lokomotiv” e “Conference Call”. Fra le sue collaborazioni passate e presenti SportPeople, L’Ultimo Uomo, QuattroTreTre e Linea Mediana. Da settembre 2019 a dicembre 2021 ha coordinato la redazione sportiva di East Journal.