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“19 maggio 1922, Berlino. Non voglio usare la più vuota delle parole, ma quello che sta accadendo è colossale. Tutto insieme nei palmi delle due mani: fioritura creativa (un’esplosione!), enormità del momento, rottura con la Russia, la vigilia, e la vita di tutto questo fusa in una cosa sola, un unico nome. Cosa voglio? (Effettivamente) – Nulla. Cosa mi serve? – Tutto”.
Si apre, così, con un sognante augurio e una velata nota malinconica, la prima annotazione dai Taccuini 1922-1939 di Marina Ivanovna Cvetaeva (8 ottobre 1892 – 31 agosto 1941), volume recentemente pubblicato da Voland, con la traduzione e la cura di Pina Napolitano. La raccolta, composta dalle annotazioni, dalle riflessioni e dai pensieri di Marina Cvetaeva, si presenta come un testo iper-moderno, che mischia all’interno più generi, dalla forma di diario alle lettere, dalla prosa a intimi momenti di poesia, oltre ad alcuni rimandi alla sua patria, la Russia sovietica, in quegli anni lontana, dopo la partenza nel 1922 alla volta di Berlino, Praga e Parigi, fino al forzato rientro nel 1939.
Marina Cvetaeva nella Russia sovietica
Marina Cvetaeva, nata a Mosca nel 1892, è considerata oggi come una delle voci poetiche più intense e originali del panorama russo del primo Novecento. Si potrebbe dire del panorama “femminile”, ma sarebbe riduttivo relegare ai soli termini di genere un profilo come quello di Marina, anche vista la sua concezione di amore libero e il suo spirito indomito.
Marina iniziò a scrivere le sue prime composizioni già all’età di sei anni, in grado di padroneggiare, oltre il russo, anche il francese e il tedesco, cosa che le tornò poi utile negli anni di soggiorno all’estero. A 17 anni nel 1909 Marina da aspirante poeta, iniziò a frequentare il circolo dei simbolisti moscoviti presso la casa editrice Musaget, e proprio qui nel 1910 pubblicò la sua prima raccolta di versi autonoma che venne notata, fra gli altri, da poeti di spicco come Valerij Brjusov e Nikolaj Gumilёv.
L’emigrazione a Berlino, Praga e Parigi
Tuttavia, dopo la Rivoluzione d’Ottobre del 1917, con l’ascesa dei bolscevichi e la guerra civile fra armata rossa e armata bianca, l’autrice iniziò a non essere più ben vista dalle autorità sovietiche, in particolare per la sua vicinanza all’armata bianca di cui il marito, Sergej Efron, con cui si era sposata nel 1911, faceva parte come ufficiale. Furono questi i principali motivi che la spinsero a partire per l’estero, a 30 anni, assieme alla figlia Ariadna di 10, anche dopo che il marito Sergej Efron trovò riparo a Praga nel 1921. E proprio questi sono gli anni descritti nella raccolta dei Taccuini 1922-1939.
“Curva finché non mi raddrizzerò In tutta la mia statura che alle stelle arriva – Come l’arcobaleno curva – Fredda, finché non m’infiammerò ardente, finché non mi brucerò oh, il vostro calore indifferente finché non mi raffredderò mi stancherò, mi coprirò, ferirò Cara, finché non lascerò…”
(dai taccuini degli anni 1932-1933)
La raccolta, arricchita da alcune immagini con le vere annotazioni dell’autrice, fa seguito alla precedente Taccuini 1919-1921 pubblicata da Voland nel 2014, riguardante la vita nella Russia sovietica. Questo secondo volume restituisce al lettore un’immagine molto intima e “reale” di Marina Cvetaeva, senza fronzoli e censure, ma con il lirismo sentimentale che, come nella sua celebre poesia, contraddistingue la sua scrittura. Fra schizzi creativi e vita quotidiana, nei Taccuini l’ordinario si mischia al sublime, fornendo anche uno sguardo sui complicati anni di emigrazione.
Nel momento della primissima annotazione qui riportata, per esempio, Marina si trovava a Berlino assieme alla figlia Alja (affettuoso soprannome di Ariadna), dove erano arrivate pochissimi giorni prima, il 15 maggio 1922. Il soggiorno berlinese, di circa 11 settimane, fu infatti un primo momento di scoperta culturale e artistica – dal sapore tipicamente bohème – della vita degli intellettuali d’emigrazione russa, molto numerosi proprio in città come Berlino, Praga e Parigi, dopo l’ascesa dei bolscevichi, in seguito alla Rivoluzione d’Ottobre.
Questi sono gli anni in cui Marina assiste alla crescita della figlia Ariadna, che entra nella fase dall’adolescenza, oltre alla nascita del figlio Georgij, detto “Mur”, nel 1925, anno in cui la famiglia decise poi di trasferirsi da Praga a Parigi, fra ristrettezze economiche e accuse di cospirazionismo da parte dell’NKVD (Commissariato per gli affari interni dell’Urss fra 1917 e 1930) verso il marito Sergej Efron.
Questi sono però anche gli anni del lungo epistolario con Boris Pasternak, poeta e autore del celebre romanzo Il dottor Živago, pubblicato in anteprima mondiale da Feltrinelli nel 1957. Pasternak, che divenne grande confidente e “amico di penna” di Marina Cvetaeva, nel 1926 la mise anche in contatto con il poeta austriaco Rainer Maria Rilke, che oltre a numerose lettere, le dedicò anche alcuni versi.
Diverse furono anche le collaborazioni con riviste letterarie a Parigi, così come le opere di traduzione del francese. Tuttavia, a causa delle ristrettezze economiche, nonostante le persecuzioni dell’NKVD e le purghe staliniane, dopo un difficile periodo a Parigi, Marina decise infine di tornare in Unione Sovietica e proprio qui, con alcuni versi in russo misto al francese, si conclude anche l’ultimo dei Taccuini della raccolta, scritto nel 1939.
La mattina mi sono svegliata, ho pensato che i miei anni sono contati (poi lo saranno – i mesi…) – Addio, pianura! Addio, aurora! Addio, mia! Addio, patria! Sarà un peccato. Non solo per me stessa. Perché nessuno – come me – ha amato tutto questo.
[Dall’ultimo taccuino del 1939]
Il rientro in Unione Sovietica e il suicidio
Dopo il rientro in patria la situazione per la famiglia di Marina divenne ben presto durissima: la figlia Ariadna venne mandata in un campo di lavoro e poco dopo il marito Sergej venne fucilato il 16 ottobre del 1941. Il 22 giugno 1941 la Germania invase l’Unione Sovietica. Così Marina, terrorizzata e in uno stato di estrema povertà decise di porre fine alla sua vita impiccandosi nella sua izba a Elabuga, città russa del Tatarstan, il 31 agosto del 1941.
La raccolta dei Taccuini costituisce dunque una preziosissima testimonianza della creatività e del lirismo di Marina Cvetaeva, ancora in grado d’incantare e affascinare con l’intensità dei suoi versi, nonostante la sua difficile e tormentata esistenza.
Taccuini 1922-1939, Marina Cvetaeva, traduzione di Pina Napolitano, Voland, 2024
Bulgara di nascita, ma milanese d’adozione, è una mediatrice culturale, blogger e studiosa che si occupa di Russia, Bulgaria e più in generale dei Paesi Est europei. Dopo la laurea in Mediazione Linguistica e Culturale presso l’Università degli Studi di Milano e alcune esperienze di studio all’estero tra Mosca, San Pietroburgo e Plovdiv, ha scritto per Il Tascabile, Pangea News e MowMag. È ideatrice del canale Instagram @ilmaestroemargherita_ dedicato alla promozione della letteratura e della cultura russa, con l'intento di approfondire la "Cultura" in senso ampio, contro ogni forma di pregiudizio e cancel culture. Collabora inoltre con il canale Instagram @perestroika.it che si propone di presentare e promuovere il cinema russo in lingua italiana.