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“The Killing of a Journalist”, intervista al regista Matt Sarnecki

The interview is available in English here.

Il documentario The Killing of a Journalist (2022), del regista americano Matt Sarnecki, ricostruisce l’omicidio del giornalista investigativo slovacco Ján Kuciak e della fidanzata Martina Kušnírová e le sue conseguenze, mettendo in luce il livello di corruzione politica in Slovacchia.

Il 25 febbraio 2018 i corpi di Kuciak e Kušnírová vennero trovati nella loro abitazione a Veľká Mača, poco lontano da Bratislava. L’assassinio causò stupore e incredulità nel paese, innescando le più grandi proteste in Slovacchia dalla caduta del regime comunista e portando a una crisi politica che sarebbe culminata il 15 marzo seguente con le dimissioni del primo ministro Robert Fico.

Lo scorso 19 maggio, Márian Kočner, imprenditore sui cui affari criminali Kuciak aveva scritto una serie di articoli sospettato di essere il mandante dell’omicidio, è stato assolto dal Tribunale penale speciale. Con le elezioni parlamentari in vista nel paese, abbiamo parlato del film e della situazione in Slovacchia con il regista di The Killing of a Journalist.
Proteste a Bratislava. Immagine nell'intervista a Matt Sarnecki, regista di The Killing of a Journalist.
Proteste a Bratislava il 9 marzo 2018 in risposta all’uccisione di Ján Kuciak e Martina Kušnírová (Wikimedia)
Come è maturata la decisione di girare The Killing of a Journalist?

È una storia lunga. Il motivo più diretto è che ho girato un altro film sull’uccisione di un giornalista: Pavel Šeremet che venne assassinato a Kyiv nel 2016 [Killing Pavel, 2017, nda]. In quel documentario investigativo, usai video di sorveglianza per provare a identificare alcuni dei sospettati e individuare alcuni dei problemi nelle indagini della polizia.

Per questo motivo, quando vennero trovati i corpi di Ján e Martina, alcuni colleghi della mia organizzazione (Progetto di investigazione sulla corruzione e il crimine organizzato, OCCRP) e anche colleghi e amici di Ján mi chiesero di andare sulla scena del crimine e fare qualcosa di simile a quanto feci in Ucraina per Killing Pavel.

Ci andai e capii che, chiaramente, l’Ucraina è molto diversa dalla Slovacchia. La polizia non era disponibile a passarci le immagini delle telecamere di sorveglianza e i vicini e il sindaco erano reticenti ad aiutarci. Ottenemmo alcune immagini delle telecamere di sorveglianza, ma niente che conducesse a indizi rilevanti.

Durante quella visita, lavorai con Eva Kubaniova, una delle persone più vicine a Ján. A sua volta, Eva iniziò a collaborare con la giornalista Pavla Holcová che, oltre a condurre l’indagine giornalistica sull’omicidio di Kuciak e Kušnírová, sarebbe diventata una delle protagoniste del documentario.

Così, quando il fascicolo della polizia delle indagini sulla morte di Ján e Martina trapelò due anni più tardi alla stampa [di questo passaggio e delle ragioni per cui avvenne si parla nel film e ne ha scritto Matt qui, nda], Pavla iniziò a passarmi informazioni su quanto veniva trovato nel telefono di Márian Kočner con dettagli non solo sull’assassinio, ma anche sulla corruzione politica in Slovacchia.

A quel punto capii che non avrei girato un altro film sull’omicidio di un giornalista, ma che The Killing of a Journalist sarebbe stata una storia sulla corruzione che ha portato all’uccisione di Ján e Martina. Raccontare le dinamiche di uno stato “prigioniero” della corruzione [captured state in inglese, nda] era un qualcosa che volevo fare da anni.

Killing Pavel, il lavoro precedente di Matt Sarnecki, è disponibile su YouTube.
Uno delle figure più interessanti di The Killing of a Journalist è Marek Para, l’avvocato difensore di Márian Kočner. Puoi raccontarci come ti sei messo in contatto con lui e come poi ti sei relazionato con lui mentre giravi il documentario?

Para è il mio personaggio preferito del film perché raramente si ha accesso all’avvocato dell’accusato, soprattutto se si tratta di un figura molto conosciuta come lo è Márian Kočner in Slovacchia. Inoltre, Para è l’avvocato non solo di Kočner, ma anche di Tibor Gašpar [il capo della polizia che si dimise pochi mesi dopo l’assassinio di Kuciak, nda] e dell’ex primo ministro Fico. È quindi una sorta di punto di riferimento per chi è legato al vecchio sistema di potere.

Lo contattammo perché quando giri un documentario vuoi presentare la versione di entrambe le parti. Quando gli chiedemmo un incontro per discutere la sua partecipazione, ci aspettavamo che dicesse no. Invece, ci invitò nel suo ufficio e io fui molto diretto nel spiegargli il motivo per cui volevo che partecipasse.

Non era per fargli far fare una buona impressione. Gli dissi che gli avvocati delle famiglie di Ján Kuciak e Martina Kušnírová partecipavano al documentario e avrebbero presentato i loro argomenti sul perché Kočner era colpevole. Allo stesso modo, volevo che lui presentasse le sue migliori argomentazioni per dimostrare che Kočner era innocente.

Ai fini di una narrazione drammatica, volevo che facesse del suo meglio per rappresentare il suo cliente in quanto ciò avrebbe reso il documentario migliore. In un certo senso tifavo per lui. Uno dei suoi timori era che avrei mostrato i messaggi tra lui e Kočner che erano trapelati alla stampa. Io gli dissi che non mi interessavano e che volevo incentrarmi sulla difesa del suo cliente.

Detto questo, non mi aspettavo che partecipasse e lo rispetto per essersi messo in gioco. Credo che abbia fatto un buon lavoro nel presentare le sue argomentazioni in difesa di Kočner e che il documentario ne abbia giovato.

Per quanto riguarda le nostre interazioni, direi che aveva quasi un’aura da hipster. Cercava ovviamente di affascinarmi allo stesso modo degli altri avvocati presenti nel documentario. Abbiamo parlato molto durante le registrazioni e io ero molto curioso di sapere cosa la sua famiglia pensasse del suo lavoro nel rappresentare figure così controverse. 

In sintesi è stata una persona piacevole con cui collaborare ed era più cooperativo di molti altri con cui abbiamo avuto a che fare mentre giravamo il documentario. Non voglio commentare le sue motivazioni: se lo fa per i soldi o perché ritiene davvero importante per una democrazia procurare la difesa. Ho provato a presentare in modo più accurato possibile lui e il suo lavoro e sono contento che abbia partecipato. Lo abbiamo anche invitato all’anteprima di The Killing of a Journalist, ma si è rifiutato di venire, penso a causa del fatto che ritiene che non l’ho presentato bene nel film. Mi dispiace che la pensi così in quanto a mio avviso abbiamo fatto un buon lavoro.

Il trailer di The Killing of a Journalist.
Spostandoci all’attuale situazione in Slovacchia, il 19 maggio Kočner è stato giudicato di nuovo non colpevole di aver ordinato l’omicidio. I giudici hanno ritenuto che l’accusa non abbia presentato le prove necessarie a giudicare oltre ogni ragionevole dubbio Kočner colpevole. Quali sono i prossimi passaggi nel processo?

Mi è difficile giudicare la sentenza. The Killing of a Journalist non voleva determinare se Kočner è colpevole o innocente, ma presentare un quadro della politica in Slovacchia. Mi aspettavo una sentenza in tal senso e ci sarà un appello. Gli avvocati delle famiglie delle vittime hanno infatti già detto che si appelleranno contro la decisione e il processo tornerà alla Corte suprema. Probabilmente sarà necessario un altro anno prima della prossima sentenza.

Per quanto riguarda il verdetto del 19 maggio, ho trovato interessante il fatto che Alena Zsuzsová – una stretta collaboratrice di Kočner – sia stata giudicata colpevole per aver ordinato l’omicidio di Ján e Martina. Senza considerare come funziona il sistema giudiziario, è difficile a logica capire perché, se Zsuzsová è stata considerata colpevole, Kočner non lo sia. Ad esempio, lei, al contrario dell’imprenditore, non aveva i mezzi per organizzare l’omicidio, ma non è mio compito esprimere un’opinione al riguardo.

Ovviamente in Slovacchia c’è un grosso dibattito su cosa accadrà e cosa questo significhi per il paese. Persino l’ex primo ministro, Robert Fico, si è espresso al riguardo dicendo che le persone saltano alle conclusioni troppo in fretta, difendendo in un certo senso Kočner.

Potrei dire che rispetto la decisione del tribunale, e non importa se ritengo che sia giusta o no. Ci sono dei problemi con questo caso; non essendoci prove dirette che connettono a Kočner non è una sentenza facile.

Mi sento malissimo pensando alle famiglie perché desideravano una chiusura e ritengono Kočner colpevole, ma lasciamo che la giustizia faccia il suo corso.

Nell’ultima parte di The Killing of a Journalist, uno dei protagonisti dichiara che è necessario che l’Unione europea blocchi i finanziamenti verso la Slovacchia affinché si faccia effettivamente qualcosa per combattere la corruzione nel paese. Alla proiezione del film a cui ho assistito, il giornalista Lukáš Diko, direttore del Ján Kuciak Investigative Center, ha ripetuto lo stesso concetto. Sei d’accordo con questo approccio? Lo ritieni il metodo più efficace di combattere la corruzione?

In primo luogo, è un’opinione, non l’opinione di tutti. Non è facile dire che sia necessario che l’Unione europea interrompa i finanziamenti verso paesi con profondi problemi di corruzione anche quando, in paesi come Slovacchia e Ungheria, è dimostrato che tali fondi finiscano nelle mani di persone connesse al sistema di potere. Non esiste una risposta semplice. Non è detto che tagliare i fondi verso i paesi risolva il problema. Ci sono potenziali conseguenze non desiderate nel fare questo genere di cose. Ad esempio, i politici populisti potrebbero dire: “Ok, l’Unione europea non è il nostro futuro. Se non ci finanziano, andiamo per la nostra strada, guardiamo a est”.

Questo è quanto sta avvenendo in Ungheria, il governo sta guardando a est, verso la Russia. Concentrandoci sulla Slovacchia, Fico, un tempo considerato un politico filo-occidentale, è diventato più solidale verso la causa russa.

Non voglio dire quindi che tagliare i finanziamenti sia la soluzione per queste conseguenze indesiderate. Ci saranno sempre narrazioni diverse, disinformazione e reinterpretazioni della realtà. 

Dopo la sentenza del 19 maggio ho pensato: perché Fico è arrivato a difendere Kočner pubblicamente? Qual è l’utilità politica delle sue parole? Sono giunto alla conclusione che lo abbia fatto per intorbidire le acque, visto che non sappiamo cosa è vero e cosa non è vero. In un contesto del genere, la gente non crede a niente e inizia a pensare che tutto è una cospirazione. La stessa cosa avviene negli Stati Uniti con Donald Trump.

In sintesi, per rispondere alla domanda, direi che non credo che questa sia la risposta a causa delle sue conseguenze indesiderate. Ma, al contempo, ci devono essere delle ripercussioni alla morte di Ján. Se i fondi europei vengono usati dai politici per arricchirsi, allora forse è meglio tagliarli.

In un certo senso si può fare lo stesso ragionamento per quanto riguarda le sanzioni contro la Russia. Sanzionando la Russia, puniamo il cittadino medio o il regime? Il cittadino medio accuserà l’occidente per le sanzioni o il proprio governo?  A volte ci sono pochi mezzi da usare. Anche Joe Biden ha detto che le sanzioni sono un qualcosa a cui facciamo ricorso per non andare in guerra.

Il castello di Bratislava e il ponte SNP (Meridiano 13/Aleksej Tilman)
Ci sarà un seguito di The Killing of a Journalist?

Al momento sto lavorando ad altri progetti. Sto seguendo il processo, ma non ci sarà un altro documentario. Come ho detto prima, The Killing of a Journalist non voleva rispondere alla domanda sull’innocenza o colpevolezza di Kočner. Sicuramente aggiungeremo delle didascalie alla fine sul processo, ma l’esperienza del pubblico guardando il documentario non cambierà.

Sono molto interessato a vedere cosa accadrà in Slovacchia con le elezioni a settembre e il partito Direzione–Socialdemocrazia (guidato da Fico) che è primo nei sondaggi e quello di Peter Pellegrini [primo ministro tra il 2018 e il 2020, nda] secondo.

Penso che sia probabile che Fico torni al potere. Cosa significherebbe per l’eredità di Ján e le grandi proteste dopo la sua uccisione?

Il Covid e la completa incompetenza del governo hanno portato il paese a questa situazione, ma spero che, qualunque cosa accada, alcune lezioni siano state imparate e che non vada a crearsi nuovamente un ambiente come quello che ha portato all’omicidio di Ján e Martina.

Mi chiedo sempre come prevenire casi del genere e la risposta sono le istituzioni democratiche. Se guardiamo alla Russia, negli ultimi vent’anni sono stati ammazzati tanti giornalisti e in nessun caso il mandante è stato identificato. Quanto meno, nell’Unione europea con Ján in Slovacchia e Daphne Caruana Galizia a Malta, i sospettati sono finiti sotto accusa. Questo dimostra l’importanza delle istituzioni democratiche e dello stato di diritto.

La giustizia è la migliore prevenzione.

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Aleksej Tilman
Aleksej Tilman

Nato a Milano, attualmente abita a Vienna, dopo aver vissuto ad Astana, Bruxelles e Tbilisi, lavorando per l’Osce e il Parlamento Europeo. Ha risieduto due anni nella capitale della Georgia, specializzandosi sulle dinamiche politiche e sociali dell’area caucasica all’Università Ivane Javakhishvili. Oltre che per Meridiano 13, scrive e ha scritto della regione per Valigia Blu, New Eastern Europe, East Journal e altre testate.