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Uno scatto rubato, un’ombra che attraversa la storia. Tina Modotti è stata molte cose: fotografa, traduttrice, rivoluzionaria. Ha vissuto tra l’arte e la politica, tra il Messico, l’Europa e l’Unione Sovietica, in bilico tra l’obiettivo della macchina fotografica e l’impegno militante, divenendo così una delle figure più affascinanti e complesse del Novecento.
Quella di Tina Modotti è prima di tutto una storia di emigrazione. Nata a Borgo Pracchiuso (Udine) nel 1896 da una modesta famiglia di origini friulane, Tina è la terzogenita di sei figli. Suo padre, Giuseppe, è un operaio dalle ferventi idee socialiste, e sua madre, Assunta, lavora come sarta.
La crisi economica di fine Ottocento costringe la famiglia Modotti a trasferirsi in Carinzia, dove vi resta per sette anni. Quando Tina rientra a Udine ha nove anni e parla il dialetto carinziano e il friulano. Impara senza difficoltà l’italiano ottenendo ottimi risultati a scuola, ma le difficoltà economiche che pesano sulla sua famiglia la costringono ad abbandonare gli studi dopo la terza elementare per lavorare in una fabbrica tessile.
Sono anni durissimi per Tina che comincia però a frequentare lo studio fotografico dello zio Pietro Modotti, dove avviene il suo primo incontro con la fotografia.
L’emigrazione: dal Friuli alla California
Nel 1907, per risollevare le sorti della famiglia, Giuseppe Modotti parte per San Francisco. Sei anni dopo, nel 1913, è la volta di Tina che, a soli sedici anni, si imbarca da sola sul piroscafo tedesco Moltke e affronta l’attraversata dell’Atlantico. Sin dal suo arrivo a San Francisco dà prova di una straordinaria capacità di adattamento. Frequenta i corsi di inglese e trova lavoro in una fabbrica di camice. Il passaggio dalla piccola e piovosa Udine a San Francisco, in fervente ricostruzione dopo il terremoto del 1906, accende in lei nuovi interessi. Si avvicina ai circoli operai e ai gruppi teatrali della Little Italy, distinguendosi per le sue doti interpretative.
Nel 1915 Tina Modotti incontra il pittore e poeta di origini quebecchesi Roubaix de l’Abrie Richey, detto Robo, che sposerà due anni più tardi. La coppia si trasferisce a Los Angeles e il loro giardino si trasforma in un punto di riferimento per gli artisti dell’epoca. Tina legge, studia, prende parte a discussioni politiche e filosofiche.
È il 1920: tutta la famiglia Modotti, a eccezione della sorella Valentina, si è riunita a San Francisco e per Tina ha inizio una fase di sperimentazione artistica. Intraprende una breve carriera da attrice a Hollywood, rimanendo ben presto disillusa dal mondo del cinema, che le appare dominato da cliché e superficialità.
La storia di Tina Modotti è anche una storia di passione. Tra gli artisti che gravitano a casa Robo, un nome spicca su tutti: Edward Weston. Maestro della fotografia modernista, Weston è noto per le sue composizioni bilanciate in cui forme, luci e ombre esaltano la bellezza e la geometricità dei soggetti. Affascinato da Tina, la invita a posare per lui. Nasce così tra i due un profondo legame, sentimentale e professionale. Tina osserva il maestro al lavoro, impara la tecnica, studia, sperimenta.
In una lettera indirizzata a Weston e datata 27 gennaio 1922, la giovane scrive:
Oh! Quanta bellezza! Vino – libri – fotografie – musica – lume di candela – occhi in cui guardare – e poi il buio – e i baci. A volte mi sembra di non poter sopportare tanta bellezza – mi travolge – e poi arrivano le lacrime – e la tristezza – ma la stessa tristezza arriva come una benedizione e come una nuova forma di bellezza.
Questo idillio si interrompe bruscamente con la partenza di Robo per il Messico. Dopo qualche esitazione, mossa anche dai sensi di colpa, Tina decide di raggiungerlo. Mentre si trova in viaggio verso Città del Messico, Tina riceve un telegramma: il 9 febbraio 1922 Robo è morto colpito dal vaiolo. Sconvolta dalla notizia, Tina arriva in Messico in tempo per i suoi funerali e viene accolta dal clima rivoluzionario del dopoguerra. Gli amici di Robo la aiutano a inserirsi in questo nuovo tessuto sociale e culturale; il direttore del dipartimento di Belle Arti, Ricardo Gómez Robelo, la introduce a un mondo fatto di manifestazioni e vibranti movimenti artistici.
Il Messico degli artisti e dei rivoluzionari
È il Messico di Diego Rivera e dei muralisti, dei cortei e delle rivoluzioni. Tina si apre a questo nuovo paese: impara lo spagnolo, visita i villaggi, entra in contatto con le realtà locali e popolari. La sua casa diventa luogo di scambio per intellettuali e rivoluzionari. Nel 1923 Weston la raggiunge nel tentativo di costruire una nuova vita insieme. Il loro legame resiste con difficoltà fino al 1926, quando egli decide di rientrare definitivamente negli Stati Uniti. Weston non riesce a adattarsi con la stessa naturalezza di Tina, il cui lavoro – come scrive lo stesso Rivera – fiorisce perfettamente in Messico grazie anche al suo temperamento italiano.
In Messico Tina ha la possibilità di esporre le sue fotografie e di pubblicarle su alcune riviste. Se i suoi primi scatti sono un chiaro richiamo alla corrente estridentista e sfruttano l’immobile dinamismo della composizione geometrica, la produzione successiva è destinata ad allontanarsi dall’estetica westoniana per lasciar spazio a una fotografia militante.
Donna di Tehauntepec, Tina Modotti, 1929
Nelle sue fotografie, Tina non lascia spazio all’abbellimento artistico: ogni scatto è una testimonianza, un racconto autentico della realtà sociale. I soggetti cambiano: donne, bambini, campesinos, cortei di sombreri, ma anche simboli della rivoluzione – mani operaie e contadine, burattini, falci, pannocchie e cartucciere.
Sempre, quando vengono utilizzate le parole “arte” o “artistico” in relazione al mio lavoro fotografico, io mi sento in disaccordo. Questo è dovuto sicuramente al cattivo uso e abuso che viene fatto di queste parole. Mi considero una fotografa, niente di più. Se le mie fotografie si differenziano da ciò che viene fatto di solito in questo campo, è precisamente perché io non cerco di produrre arte, ma oneste fotografie, senza distorsioni o manipolazioni.
Con queste parole che si apre il saggio Sobre la fotografia, pubblicato da Tina nel 1929 sulla rivista Mexican Folkways e considerato ancor’oggi il manifesto del suo lavoro.
Le mani del burattinaio, Tina Modotti, 1929
Tra arte, militanza e amore
In conclusione, si può affermare che quella di Tina Modotti sia anche una storia di militanza e resilienza. Nel 1927 si iscrive al Partito Comunista messicano, capeggiato da figure di spicco della rivoluzione quali Diego Rivera, David Alfaro Siqueiros e Xavier Guerrero.
Il Partito, in linea con le direttive del Komintern sovietico, ha tra gli obiettivi quello di contrastare il controllo degli Stati Uniti sull’America Centrale. Nonostante la fotografia continui a costituire la sua principale fonte di guadagno, Tina diventa una risorsa preziosa per la redazione del giornale di Partito El Machete. La sua abilità nel passare da una lingua all’altra la rende una perfetta collaboratrice e traduttrice della stampa estera.
Il triennio che va dal 1927 al 1930 segna una svolta irreversibile nella vita di Tina. In questo periodo incontra Vittorio Vidali, emissario del Komintern inviato in Messico sotto il falso nome di Carlos Contreras. Vidali, originario di Trieste, si presenta come un uomo fermo, carismatico e con una visione chiara e precisa dei compiti della rivoluzione. Accumunati dalla stessa origine, che riaffiora talvolta in ricordi d’infanzia, tra i due si instaura un profondo legame di cameratismo.
Nel 1928 Tina incontra quello che probabilmente è stato l’unico amore della sua vita. A Città del Messico arriva Julio Antonio Mella, rivoluzionario cubano e membro della Lega antimperialista delle Americhe, conosciuto per aver preso parte all’insurrezione contro il regime Machado. La passione travolge i due giovani, ma ben presto sopraggiunge la tragedia. La sera del 10 gennaio 1929 Mella viene assassinato di fronte a Tina, che assiste impotente all’omicidio del suo compagno. Il dolore lacerante per questa perdita e il dover affrontare un’accusa di delitto passionale, portano Tina a rifugiarsi nell’impegno politico e nei lavori di traduzione. La fotografia passa in secondo piano e lascia spazio alla militanza e all’ideologia di Partito.
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Dal Messico all’Unione Sovietica
Nel 1930 Tina Modotti viene accusata di aver preso parte all’attentato contro il neopresidente Pasqual Ortiz Rubio. Dopo aver trascorso tredici giorni in carcere, viene rilasciata con l’ordine di lasciare il Messico entro quarantott’ore. Dopo un soggiorno di qualche mese a Berlino, Tina decide di seguire il compagno Vidali a Mosca, rimanendo affascinata dall’enorme e complesso sistema sovietico.
Il 23 novembre 1920 viene assegnata all’ufficio estero del Soccorso rosso internazionale (MOPR – Organizzazione internazionale per il soccorso ai rivoluzionari) e inizia a lavorare come lettrice e traduttrice per la sezione latino-europea della stampa estera. La giovane camerata Modotti si cimenta ben presto anche nella scrittura di brevi pamphlet propagandistici, divenendo membro del comitato esecutivo del Soccorso rosso.
Grazie alla padronanza delle lingue e al suo carattere riservato, Modotti si rivela particolarmente adatta a intraprendere una serie di missioni segrete per la difesa dei prigionieri politici.
Nel 1934, sotto il comando della direttrice del MOPR Elena Dmitrievna Stasova, Tina viene incaricata di dirigere la sezione francese del Soccorso rosso con sede a Parigi e di curare la redazione del mensile trilingue del MOPR. Partecipa con fervore alle campagne internazionali promosse dal Partito e contribuisce all’organizzazione del Congresso internazionale delle donne contro la guerra e il fascismo.
Una volta conclusa la missione a Parigi, Modotti rientra a Mosca dove trascorre un ultimo anno tormentato e angoscioso. L’epoca del Grande Terrore e delle purghe staliniane è oramai alle porte.
E dall’Unione Sovietica al Messico
Il 19 luglio 1936, grazie all’intervento di Stasova, Tina riesce a lasciare l’Unione Sovietica e a raggiungere Vidali a Madrid. Una volta giunta a destinazione, si arruola nel battaglione femminile del Quinto con il nome di Maria, partecipando in prima persona alla Guerra civile spagnola. Tina lavora duramente per coordinare e garantire l’assistenza ai feriti e il sostegno logistico ai combattenti. La vittoria di Francisco Franco nel 1939, costringe Modotti e Vidali a fuggire: dopo una breve parentesi francese, Tina rientra in Messico, dove nel frattempo erano cadute le accuse a suo carico.
Gli ultimi anni a Città del Messico, caratterizzati da solitudine e clandestinità, non sono altro che la diapositiva sbiadita di una vita precedente.
Tina Modotti è stata una donna straordinaria, che ha saputo reagire con forza agli ostacoli e alle avversità della vita senza dimenticarsi dei propri ideali. Anche se è soprattutto la sua fotografia, antesignana del reportage sociale, a destare interesse, il suo contributo storico in qualità di traduttrice e militante merita altrettanto riconoscimento.
Il 5 gennaio 1942, Tina si spegne improvvisamente in un taxi a Città del Messico, mentre rientra da una serata con gli amici. Ancora una volta è sola. La sua morte rimane avvolta da un velo di mistero, ma il suo ricordo è scolpito nella storia perché – come scrive Pablo Neruda nell’epitaffio a lei dedicato – non muore il fuoco.
* Lucia Baroni insegna lingua e cultura italiana all’Istituto Italiano di Cultura di Montréal. Ha tenuto un corso dedicato a cinque importanti figure femminili a cavallo tra Otto e Novecento: Eleonora Duse, Maria Montessori, Grazia Deledda, Sibilla Aleramo e Tina Modotti.