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Il 13 febbraio 2016 l’ex calciatore bulgaro Trifon Ivanov viene colpito da un attacco di cuore, il secondo nel giro di un anno. La fidanzata, Vanya Panova, con lui al momento del malore, chiama immediatamente il sindaco del paese dove vivono, che a sua volta allerta i soccorsi. Quando i medici arrivano sul posto Ivanov è già morto. Pesava più di cento chili e, secondo alcuni giornali, non era riuscito a perdere peso, né seguiva regolarmente le cure che gli erano state prescritte dopo il primo infarto. Aveva smesso quasi completamente di bere e di fumare, ma questo non era stato sufficiente.
Per comprendere bene cosa Trifon Ivanov rappresentasse per il Paese bisogna provare a capire come funziona il calcio in Bulgaria. Il tifo è polarizzato su Cska e Levski. Le due grandi squadre raccolgono ultras, tifosi e simpatizzanti in ogni dove e i giocatori simbolo sono tanto amati dai propri supporter, quanto odiati dagli avversari. Gli altri club come il Botev e il Lokomotiv a Plovdiv, il Chernomore e lo Spartak a Varna, l’Etar a Veliko Tarnovo e il Beroe a Stara Zagora hanno un seguito principalmente locale. In questo scenario, Hristo Stoičkov rappresenta il Cska, e lo farà per sempre, nonostante le prove di caratura mondiale con il Barcellona e con la divisa della nazionale. Allo stesso modo, Nasko Sirakov sarà l’idolo e la bandiera dei tifosi del Levski, di cui è stato forse il più grande giocatore dell’epoca moderna (Gundi Asparuhov è un bene inalienabile della nazione bulgara, per quanto bandiera del Levski). In questo panorama manicheo di rosso e blu, Trifon Ivanov rappresentava una terza via, una posizione non allineata e, benché abbia vestito i colori del Cska, l’intera Bulgaria ha pianto la sua scomparsa.
Nato a Gorna Lipnica, a pochi chilometri da Veliko Tarnovo, Trifon Ivanov detto “Tunyo” sboccia calcisticamente nell’Etar e in maglia viola si mette in mostra davanti a tutto il Paese. Sirakov, ricordando la prima volta che se lo trovò di fronte nel 1986, racconta in un’intervista al sito bulgaro Top Sport: “Avevo iniziato a giocare come punta centrale e dovevo affrontarlo. Mi fece un’impressione molto positiva. Per la prima volta in Bulgaria incontrai un difensore che poteva contrastare il mio fisico e soprattutto la mia velocità, che era la mia arma migliore”. A un certo punto della partita l’attaccante del Levski si liberò della marcatura e si presentò a tu per tu con il portiere. “L’avevo letteralmente superato, stavo per calciare quando si infilò in scivolata con quelle gambe storte e toccò la palla all’ultimo momento”.
In Italia un’immagine troppo stereotipata
La stampa occidentale è stata spesso ingenerosa con Trifon Ivanov, calcando la mano solo sul mullet demodé, la barba e l’aspetto a prima vista poco rassicurante. È stato quasi sempre presentato come un giocatore sporco e violento, come se il peculiare look “da lupo” fosse collegato a una presunta “cattiveria” animalesca. In patria, tuttavia, godeva di tutt’altra fama. “Dal primo momento – continua Sirakov – mi ha sempre trattato con un rispetto incredibile. Io avevo fatto del gioco di gomito uno dei miei punti di forza. Una volta mi allargai troppo e lo colpii. ‘Nasko, – mi disse – per favore, non in questo modo’. Quella fu la prima e l’ultima volta che ci furono scorrettezze fra noi”. Era un calciatore molto atletico, che doveva giocare al massimo della forma fisica. Per sfatare una volta di più il fatto che fosse un violento, basta vedere il numero di espulsioni rimediate in carriera. Ad esempio con la maglia della nazionale due soli rossi in quasi ottanta partite, di cui uno in amichevole con l’Argentina, per proteste, nel primo tempo.
Le belle prestazioni con l’Etar gli valsero l’ingaggio con la migliore squadra del tempo, il Cska di Sofia, dove incontrò il suo futuro grande amico Hristo Stoičkov. Il salto non fu dei più semplici. Essere una stella a Veliko Tarnovo non aveva alcuna importanza nello spogliatoio della squadra dell’esercito. Ma fra i due scattò subito qualcosa di speciale, come ha raccontato l’attaccante stesso in un’intervista al sito bulgaro Gol. “L’amicizia non si compra, non si costruisce in un giorno. Trifon era un ragazzo onesto. Un uomo su cui potevi contare. Mi sono subito abituato alle sue battute e fino alla fine dei suoi giorni abbiamo continuato a scherzare. Adoravo chiedergli un autografo proprio sulle foto in cui sembrava più brutto. Lo faceva arrabbiare da morire”. Ma il rapporto con Stoičkov non era sempre stato facile: sulla questione della fascia da capitano, ad esempio, c’era stata grande tensione. Entrambi volevano essere i leader della squadra, ma Stoičkov cedette il ruolo a Ivanov solo quando se ne andò al Barcellona. “Io volevo essere capitano, lui voleva essere capitano. Nel corso degli anni, abbiamo spesso riso delle nostre sciocchezze giovanili”.
Quando il muro di Berlino cadde e con lui tutti i governi socialisti dell’Europa orientale, i calciatori bulgari poterono lasciare il Paese senza più nessuna restrizione. Stoičkov era il piatto forte del menù e il Barcellona riuscì ad accaparrarsi le sue prestazioni. Anche Ivanov, l’anno successivo, seguì la pista iberica e si accasò a Siviglia, sponda Betis, anche grazie all’intermediazione di Hristo. Al tempo si parlò anche di un interessamento proprio dei blaugrana, che aveva bisogno di un giocatore nel suo ruolo, ma poi non se ne fece niente e la carriera di Ivanov all’estero si rivelò meno brillante del previsto, eccezion fatta per la parentesi al Rapid Vienna, quando raggiunse la finale di Coppa delle Coppe. Furono quasi sempre i difficili rapporti con gli allenatori a condizionare il rendimento del difensore.
Trifon Ivanov “Tunyo” in nazionale
Dove però Trifon Ivanov si distinse in modo netto fu con la maglia della Bulgaria. L’esordio arrivò nel 1988 a Burgas, contro la Germania Est. Ci mise poco a entrare nei meccanismi della splendida squadra che a metà degli anni Novanta disputò due campionati mondiali e un europeo. “Tutti noi giocatori eravamo andati all’estero – spiega Sirakov – e ci confrontavamo con i migliori al mondo. Contro quegli stessi avversari che abbiamo poi incontrato ai Mondiali. Eravamo preparati. Andando in Europa, abbiamo sviluppato il nostro pensiero tattico. Abbiamo imparato a seguire determinate regole. Avevamo già le qualità, ma adesso ognuno di noi sapeva cosa doveva fare nella posizione in cui giocava”. La formazione di Usa 94 era composta da grandi calciatori, come Stoičkov e Sirakov, Balakov e Lečkov. In quella nazionale c’erano due gruppi: uno che faceva capo a Hristo e uno che ruotava intorno al portiere Bobby Mihaylov e Sirakov, entrambi al Levski. Ivanov era il cuscinetto fra le due fazioni. Ma secondo il futuro Pallone d’Oro il difensore non aveva solo un peso nello spogliatoio: “Non si deve dimenticare come Trifon proteggeva le nostre spalle. Senza di lui in difesa, non saremmo arrivati quarti al Mondiale. Questo è indiscutibile per me”.
L’avventura in nazionale di Ivanov non si limitò al Mondiale americano. Fu decisivo con le sue prestazioni e i suoi gol sia per Euro 96 che per Francia 98. Il 14 dicembre 1995 raccolse un cross proveniente dalla sinistra e dal limite dell’area scagliò il pallone sotto l’incrocio lontano. Fu un gol stupendo che sbloccò la trasferta in Galles, conclusa poi per 3-0. Ma il gol più importante lo realizzò contro la Russia. Una rete che permise alla Bulgaria di staccare il biglietto per il Mondiale 1998. Nell’anno della competizione continentale in Inghilterra il difensore finì anche nella lista dei candidati al Pallone d’oro e venne eletto miglior giocatore bulgaro dell’anno. Quel riconoscimento mise d’accordo – per una volta – anche Stoičkov e Sirakov. “Io sono un attaccante e so che i giocatori che fanno gol sono avvantaggiati in questo tipo di premi. Ma penso che i difensori non siano meno meritevoli. Ecco perché posso dire con tutto il cuore che il premio a Tunyo del 1996 era dovuto”, ha detto Stoičkov. “Non ci sono premi immeritati. Tutti i giocatori sono stati bravissimi, ma il fatto che in 20 anni abbia vinto un solo difensore la dice lunga su Trifon”, gli ha fatto eco Sirakov.
Il perché di un grande amore
Trifon Ivanov è tuttora uno dei giocatori più amati della Bulgaria, perché una volta appese le scarpette al chiodo non ne ha voluto sapere di sporcarsi le mani con i giochi di potere da presidente di club o di federazione, né tantomeno da politico. In questo modo non ha rovinato il ricordo che i tifosi avevano di lui da calciatore. Ha provato diverse attività imprenditoriali, con alterne fortune. E gli amici di un tempo sono concordi nel ricordarlo come un uomo speciale. Sirakov lo racconta così: “Era allegro, sorridente. Con un gran senso dell’umorismo. Era la persona più onesta di tutta la squadra. Non diceva mai male di nessuno e ti parlava in faccia, mostrandoti un grande rispetto”. Il suo grande amico Stoičkov lo definisce come una persona buona e sempre pronta ad aiutare. “La morte di Trifon è stato uno dei momenti più difficili della mia vita. Mia moglie Mariana mi ha svegliato per dirmi cos’era successo. Ho pianto come un bambino. Ho subito prenotato un biglietto per la Bulgaria. Non ho potuto fare a meno di essere lì per l’ultima volta”.
C’è un video su YouTube che rende bene l’idea del rapporto fra Stoichkov e Ivanov, fra Ivanov e la sua gente. Hristo è a centrocampo, indossa una maglia bianca, calzoncini verdi e calzettoni rossi, i tre colori della bandiera bulgara. Siamo allo stadio nazionale Vasil Levski, pieno di tifosi nonostante la pioggia. Un bambino biondo molto piccolo, con indosso una maglia troppo più grande di lui, gli corre incontro. Sulle spalle ha la scritta “Tr. Ivanov” e il numero 3. Stoičkov ci prova a trattenersi, ma non ce la fa. Scoppia in lacrime. Si copre il volto con le braccia, mentre tutto lo stadio prorompe in un fragoroso applauso. La telecamera coglie gli occhi lucidi sulle gradinate. Stoičkov prende per mano il bambino e lo accompagna a bordo campo, dove ci sono le figlie di Ivanov. Si scambiano abbracci e le lacrime rigano i volti di tutti i presenti. Tunyo era stato invitato a giocare una partita per i 50 anni di Stoičkov, ma le sue condizioni fisiche non erano ottimali: il peso, gli acciacchi. “Gli avevo preso le pillole per dimagrire, le avevo comprate, volevo portargliele, ma sfortunatamente ho dovuto metterle nella bara. Se potessi dirgli un’ultima cosa, gli direi che l’ho amato e lo amo ancora come un fratello, e che vorrei abbracciarlo”.
Autore dei libri “Questo è il mio posto” e “Curva Est” - di cui anima l’omonima pagina Facebook - (Urbone Publishing), "Predrag difende Sarajevo" (Garrincha edizioni) e "Balkan Football Club" (Bottega Errante Edizioni), e dei podcast “Lokomotiv” e “Conference Call”. Fra le sue collaborazioni passate e presenti SportPeople, L’Ultimo Uomo, QuattroTreTre e Linea Mediana. Da settembre 2019 a dicembre 2021 ha coordinato la redazione sportiva di East Journal.