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Turchia e droghe leggere, una storia hippie

di Dario Nincheri*

Dici hippie nel 2024 e, se va bene, il tuo interlocutore ti guarda come si guarderebbe un marziano; se invece va male – se parli, cioè, con qualcuno nato assieme al nuovo millennio – il più delle volte non si riesce a ottenere più di un’espressione di accigliato sconcerto. Certo, i piedi sporchi e gli sguardi ebeti dei freaks di Tarantino in C’era una volta a… Hollywood non aiutano, anche se, a voler essere sinceri, non sono una rappresentazione così tanto distante dalla realtà.

Comunque sia, a trattare certi argomenti c’è da stare attenti, soprattutto in questa nuova-vecchissima Italia, antipatica e patriottica. È un attimo a venir presi per vecchi tromboni comunisti, rivoluzionari fuori tempo massimo o, semplicemente, per scemi.

Midnight Express e le carceri turche

Lasciamo, però, da parte le divagazioni e torniamo all’oggetto di questo articolo: Turchia e droghe leggere. Cosa c’entrano gli hippie, la psichedelia e le droghe leggere con la Turchia? Midnight Express l’abbiamo visto tutti, oppure no? Per chi non l’avesse visto, Midnight Express è un bel film di Alan Parker che narra la storia vera di un ragazzo americano che si fa beccare con due chili di hashish all’aeroporto di Istanbul, mentre se ne torna dalle vacanze con la ragazza. L’episodio è l’inizio di una discesa nell’inferno delle carceri turche, tra follia, guardie sadiche e sodomia.

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Quando il film uscì ebbe un buon successo di critica e di pubblico ma, più che altro, scatenò un vespaio tremendo in Turchia, tra accuse di razzismo e richieste di censura e scuse ufficiali. Le autorità turche non avevano tutti i torti perché la sceneggiatura, firmata da quel volpone di Oliver Stone, si discostava un bel po’ dal libro scritto dal protagonista, che già si discostava non poco – per sua stessa ammissione – dalla realtà.

Alla fine, anche il regista ammise di aver calcato un po’ troppo la mano; insomma, i turchi non sono tutti cattivi e le guardie nelle carceri anatoliche non sono tutte quante brutali stupratori. Che il rapporto tra il paese e il consumo degli stupefacenti non sia mai stato sereno, però, è un dato di fatto, anche se la storia non è esattamente lineare. Torniamo agli hippie, infatti, e arriviamo alla famigerata Hippie Trail.

L’Hippie Trail e la strada verso Oriente

Negli anni Sessanta qualcuno in Occidente (negli Stati Uniti soprattutto, ma l’Europa si accodò subito dopo) decise che riempirsi di LSD a casa propria non fosse più sufficiente e che, per espandere la mente, fosse più salutare andarsi a drogare lontano da casa; per farlo decisero che la cosa migliore fosse quella di andare a prendere hashish da chi sapeva bene come trattare la materia, perciò Afghanistan e tutto quanto l’Oriente più o meno prossimo. Senza prendere l’aereo ovviamente, che gli aeroporti erano pieni di guardie anche allora.

I ragazzi presero a viaggiare dall’Europa all’Asia meridionale spostandosi via terra attraverso Pakistan, Afghanistan, India, Nepal, Turchia e Iran, lungo un percorso che prese il nome di Sentiero Hippie, Hippie Trail per l’appunto. Il numero di giovani che percorrevano questa via era considerevole e, a ragion del vero, c’è da dire che a spingerli a compiere questo viaggio era anche il desiderio di abbandonare le convenzioni sociali e di allontanarsi il più possibile dall’Occidente capitalista.

A star dietro alla guida Lonely Planet (fondata, guarda caso, da due ragazzi che negli anni Settanta si buttarono su quella strada), “di solito il punto di partenza erano le capitali europee, Londra e Amsterdam, da dove si abbandonava l’Europa passando per Jugoslavia, Bulgaria o Grecia. Giunti a Istanbul, in Turchia, c’erano diverse possibilità, ma di solito si continuava alla volta di Ankara, da qui si proseguiva per Teheran, in Iran, e poi da Kabul, in Afghanistan, si raggiungeva Peshawar attraverso il Khyber Pass. Le tappe successive erano Lahore in Pakistan, il Kashmir, Delhi e Goa in India”.

Il Pudding Shop di Istanbul come punto di riferimento

Come si può facilmente intuire, questi insoliti giramondo assaporavano il primo assaggio di Oriente a Istanbul, unica vera, immensa, base di partenza per il grande viaggio. Nella città c’era, infatti, un posto speciale, il Pudding shop, che era il soprannome con cui era conosciuto il ristorante Lale, a Sultanahmet.  

Turchia e droghe leggere
Il Pudding Shop nel 1982 (Wikipedia)

Negli anni Sessanta questo piccolo ristorante divenne estremamente popolare come luogo di incontro per beatnik, hippie e viaggiatori, che non riuscivano a ricordarne il nome, ma ricordavano l’ampia e popolare selezione di budini venduti lì e quindi lo chiamavano il “negozio di budini”, pudding shop appunto. Dentro c’erano grandi séparé e divani circondati da pile di libri, ma soprattutto c’era musica rock e c’era un grande giardino che affacciava sul magnifico panorama di Sultanahmet Meydani, con la Moschea Blu e la Basilica di Santa Sofia a fare da sfondo.

I proprietari lasciavano che i clienti suonassero i loro strumenti dentro al locale e favorivano l’aggregazione spontanea che si era venuta a creare lasciando alle persone spazi per leggere o scrivere, senza che fosse in alcun modo obbligatorio consumare alcunché. Tanto bastò perché diventasse il primo, vero, ritrovo alternativo di Istanbul.

Il fatto che molti degli avventori fossero pellegrini psichedelici diretti in Asia fece sì che il Pudding Shop divenisse l’unico posto nella zona in cui erano prontamente disponibili informazioni su strade da percorrere e mezzi da prendere per buttarsi sulla strada verso est. Internet non esisteva – Alhamdulillah, forse – perciò la trasmissione delle informazioni seguiva canali classici e meno immediati. Senza libri da leggere sull’argomento e senza telefoni cellulari con cui chiedere aiuto se si prendeva il sentiero sbagliato c’era una sola cosa che si poteva fare, attaccarsi alle esperienze degli altri, scrivere e domandare; e per questo c’era la mitica bacheca del locale.

I proprietari, infatti, avevano allestito una vetrina all’interno del ristorante in modo che i viaggiatori potessero programmare le corse con i loro compagni di viaggio e comunicare con amici e familiari. Bacheca che finì per diventare una vetrina su un mondo, famosa per la varietà di messaggi personali pubblicati insieme alle notifiche di trasporto: lettere d’amore, poesie e scuse accorate trovavano, infatti, posto accanto agli orari dei bus per Ankara.

L’eco di questo mondo non hai mai abbandonato del tutto il territorio, nonostante colpi di stato, servizi segreti fascisti, nuovi e vecchi dittatori e una legislazione moderna ancora decisamente repressiva in fatto di uso e possesso di droghe, una sottile scia psichedelica continua ad attraversare il paese, portandosi appresso l’inconfondibile e fragrante profumo della marijuana.


*Archeologo, ha vissuto a Betlemme e in Galizia. Ha collaborato con Rolling Stone Italia, IrpiMedia e Nena News. Ha inoltre scritto di surf, punk e skate su diverse testate, italiane e estere. Nel 2021 ha pubblicato Al-Hurryya الحرية – Storie d’amore, di guerra e di Anarchia (Eretica edizioni).

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