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La Turchia del XXI secolo ha un destino da compiere: diventare una potenza regionale e globale nel sistema multipolare che sta emergendo. Così scriveva l’ex premier e ministro degli Esteri Ahmet Davutoğlu nel suo libro Profondità strategica [Stratejik Derinlik].
Il futuro della Turchia nel Caucaso del Sud è determinato dalla sua attuale politica estera. Il ruolo di Ankara nei recenti eventi legati al conflitto del Nagorno-Karabakh ha dimostrato come la regione del Caucaso rappresenti un’area strategica a questo fine: crocevia della Nuova Via della Seta in cui la Turchia ambisce ad affermarsi come ponte naturale fra Europa e Asia.
Tra imperi e confini
Nella storia della Turchia e prima ancora dell’Impero ottomano, il Caucaso ha da sempre rappresentato una terra di confine e di contesa, piuttosto che un’area su cui riuscire a esercitare un’influenza stabile. Fu prima terreno di scontro per secoli con l’Impero persiano e più tardi un’area contesa con quello russo: la guerra russo-turca del 1877-78 privò la Sublime Porta di importanti città dell’Anatolia orientale – Artvin, Ardahan e Kars – e del porto di Batumi sul Mar Nero.
La fine dell’era zarista aprì un nuovo scenario nella regione. L’esercito russo nel Caucaso cessò di esistere e nuove repubbliche indipendenti si formarono nella regione: Georgia, Armenia e Azerbaigian. In questo contesto, l’Impero ottomano, già in guerra con la vicina Armenia, tentò di estendere la propria influenza nella regione con la formazione dell’Esercito islamico del Caucaso guidato dal generale ottomano Enver Pasha, allo scopo di supportare le forze dell’Azerbaigian nella regione in chiave anti-britannica e bolscevica.
Nonostante l’esercito ottomano riuscì a marciare nelle strade di Baku nel settembre 1918, la firma dell’Armistizio di Mudros il mese successivo portò al ritiro delle forze ottomane dal Caucaso e alla successiva spartizione dell’impero da parte delle forze della Triplice Alleanza.
1920-21: l’inizio del rendez-vous russo-turco nel Caucaso del Sud
La guerra d’indipendenza turca guidata da Mustafa Kemal cambiò le sorti della Turchia e inevitabilmente del suo futuro nel Caucaso: la Turchia rifiutò le condizioni del Trattato di Sevres con le quali l’Impero ottomano avrebbe ceduto gran parte dell’Anatolia orientale all’Armenia. Con il Trattato di Alessandropoli del dicembre 1920, invece, la Turchia riotteneva dall’Armenia Kars, Ardahan e Alessandropoli (odierna Gyumri, in Armenia).
Con la sovietizzazione della regione del Caucaso del Sud due importanti trattati furono firmati dal neonato governo bolscevico e quello della repubblica turca. L’articolo III del Trattato di Mosca del marzo 1921 istituì “il distretto autonomo del Nachicevan sotto il protettorato dell’Azerbaigian sovietico”. In questa occasione, fu fissato un collegamento di 18 km lungo il fiume Aras tra Turchia e Repubblica Socialista Azera, che ancora oggi costituisce il confine turco-azero.
Ciò fu riaffermato successivamente nell’articolo V del Trattato di Kars dell’ottobre dello stesso anno. Dopo la conquista sovietica del Caucaso del Sud, il Trattato di Kars dell’ottobre 1921 stabilì il confine turco-sovietico: Alessandropoli e l’Agiara passarono all’Urss e il fiume Aras divenne confine geografico e politico tra l’Anatolia turca e il Caucaso sovietico.
Abbiamo scritto del ruolo del fiume Aras nel marcare i confini della regione in questo articolo
La sigla di questi due trattati ha ancora oggi un’importanza fondamentale per comprendere le dinamiche di questa regione: Russia e Turchia stipularono un accordo che sanciva di fatto il loro ruolo di protégé nel Caucaso, definendone i confini politici rimasti tuttora inalterati e operando come attori capaci di stabilizzare la regione.
La fine del Nagorno-Karabakh e il futuro della Turchia nel Caucasodel Sud
A un secolo dal trattato di Kars e dalla nascita della Repubblica turca, la politica di Atatürk si è dimostrata visionaria.
Il confine turco-azero voluto dal “padre dei turchi” rappresenta oggi uno snodo fondamentale nell’unire la Turchia al resto del mondo turcofono lungo le due sponde del Mar Caspio.
A dimostrazione di questo, lo scorso 25 settembre, il presidente turco Receyp Tayyip Erdoğan e il suo corrispettivo azero Ilham Aliyev si sono incontrati in Nachicevan, dove hanno stipulato protocolli di intesa per la costruzione di una ferrovia tra Kars e Nachicevan e del gasdotto Iğdır-Nachicevan. Progetti che si legano alla pretesa del cosiddetto “Corridoio dello Zangezur”, che dovrebbe creare un collegamento senza impedimenti tra l’exclave azera e Baku (e quindi con l’Asia Centrale) attraverso il territorio armeno.
È indubbio il ruolo di Ankara nel secondo conflitto del Nagorno-Karabakh e nella riconquista della regione da parte di Baku. Lo dimostrano non solo il costante supporto militare, ma anche una strategia di lungo termine che veda la Turchia e l’Azerbaigian legati a doppio filo – oltre che culturalmente – attraverso collegamenti energetici e infrastrutturali lungo la Nuova Via della Seta in cui la Turchia e il Caucaso del Sud rappresentano l’anello di congiunzione tra Europa e Asia.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e del sistema internazionale dei due blocchi, Ankara ha investito nel legare la regione a sé attraverso la costruzione di diverse infrastrutture insieme alla Georgia e all’Azerbaigian – l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, il gasdotto South Gas Corridor e la ferrovia Baku-Tbilisi-Kars.
Per la Turchia, questa politica è in piena linea con la dottrina della profondità strategica nel vicino Caucaso, attraverso cui elevare il paese a hub internazionale nel settore energetico e logistico. Progetti volti a legare la regione non solo geograficamente ma attraverso una convergenza di interessi strategici, culminata con la sigla della Dichiarazione di Trebisonda del 2012 che ha dato vita ufficialmente ad una piattaforma regionale di cooperazione trilaterale tra Ankara, Tbilisi e Baku.
Resta la questione armena
Ciononostante, come ha evidenziato lo studioso britannico Thomas de Waal, se la Turchia vuole affermarsi come un attore regionale nel Caucaso del Sud deve intessere rapporti non solo con Georgia e Azerbaigian, ma anche con l’Armenia. L’evoluzione del conflitto nel Nagorno-Karabakh apre un nuovo scenario nei rapporti fra Ankara e Erevan, che non intrattengono rapporti diplomatici e mantengono il rispettivo confine lungo in fiume Aras chiuso dal 1993.
Se da un lato Ankara è riuscita negli anni a stabilire un livello di cooperazione con Baku in base al principio “una nazione, due stati”, il principale confine che la Turchia ha con la regione resta ad oggi ancora chiuso. Questo limita non solo la strategia del paese nella regione, ma anche lo sviluppo delle aree dell’Anatolia orientale ad essa adiacenti.
Sulla possibilità di creare una più ampia piattaforma di cooperazione regionale, lo stesso Erdoğan ha affermato:
Se l’Armenia sviluppa questo processo in maniera positiva, riapriremo il nostri confini chiusi. Il nostro unico interesse è quello di contribuire alla pace nella regione.
Il ripristino dei rapporti diplomatici tra Erevan e Ankara rappresenta quindi la chiave di volta per la formazione di un sistema di cooperazione regionale al suo massimo potenziale, attraverso un convergenza di interessi fra tutti gli attori coinvolti come elemento chiave per il mantenimento di una pace duratura.
Laureato in Studi sull’Est Europa all’Università di Bologna ha studiato e lavorato in Russia, Azerbaigian e Romania. Attualmente vive a Danzica, Polonia. Ha collaborato con East Journal dal 2020 al 2021. Per Meridiano 13 si occupa principalmente dell’area caucasica.