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Come scrivevamo nel settembre 2022, a causa dell’invasione russa su vasta scala, l’Ucraina è soggetta sia alla legge marziale che alla mobilitazione generale sin dal 24 febbraio, durante la quale gli uomini in età di leva non possono lasciare il paese, se non con alcune eccezioni. A più di 500 giorni dallo scoppio della guerra, il divieto di espatrio rimane in vigore, ma questa scelta non è priva di problematiche. Giorgio Comai ritorna sulla questione in un approfondimento per Osservatorio Balcani e Caucaso.
Non è solo una violazione dei diritti umani ma è anche inutile; impone decisioni drastiche alle famiglie e crea nuove vulnerabilità. Con il rinnovo della legge marziale e di quella sulla mobilitazione atteso in agosto, l’Ucraina dovrebbe riconsiderare il suo divieto di espatrio per la popolazione maschile.
In risposta all’invasione russa dell’Ucraina lanciata nel febbraio 2022, il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha immediatamente dichiarato la legge marziale e una mobilitazione generale. La sera del 24 febbraio 2022, è stato annunciato che gli uomini tra i 18 e i 60 anni non sarebbero stati autorizzati a lasciare il paese. Più di 500 giorni dopo, mentre la guerra continua senza sosta, il divieto di espatrio per gli uomini adulti in questa fascia d’età rimane in vigore con eccezioni di portata minore che riguardano i genitori di tre o più bambini, gli invalidi e poche altre categorie di cittadini. Di conseguenza milioni di uomini ucraini non possono lasciare il paese anche se la maggior parte di loro non è arruolata nell’esercito, non è coinvolta in alcun addestramento militare, ed è quindi composta a tutti gli effetti da civili senza alcun obbligo incombente nei confronti della guerra in corso.
Cosa comporta il divieto di espatrio?
Fin dall’inizio, questo divieto ha imposto decisioni insostenibili a famiglie che hanno dovuto scegliere se rimanere unite in una zona di guerra o separarsi aumentando la vulnerabilità di tutte le persone coinvolte: uomini, donne e bambini. Questa misura ha inoltre prevedibilmente favorito la corruzione, in quanto ha creato un mercato nero per l’attraversamento dei confini anche ricorrendo a trafficanti. Come è emerso rapidamente, il divieto manca infine di senso pratico o strategico poiché l’esercito ucraino ha costantemente riempito le sue fila senza ricorrere al reclutamento forzato, opzione che sarebbe comunque problematica.
La scelta ha ricevuto qualche critica che però è perlopiù passata in sordina, anche per via del forte sostegno di cui gode l’attuale leadership ucraina in tempo di guerra e del diffuso riconoscimento del fatto che l’Ucraina sta combattendo una guerra difensiva ed esistenziale. A livello internazionale, il tacito supporto al divieto di espatrio maschile può anche essere legato al fatto che ribadisce implicitamente come questa guerra sarà combattuta da cittadini ucraini, senza il coinvolgimento diretto di eserciti stranieri. Probabilmente ancora più importante è il fatto che questa politica è coerente con una prospettiva di genere essenzialista che identifica gli uomini come dei combattenti e difensori della patria e le donne come vittime bisognose di protezione.
Questa visione stereotipata è ovviamente problematica per una serie di motivi, tra cui il fatto che gli uomini civili sono eccezionalmente vulnerabili nelle zone di guerra in quanto hanno maggiori probabilità di essere presi di mira in esecuzioni sommarie o trattati alla stregua di combattenti. Inoltre, come è evidentemente emerso in Ucraina, le stesse donne possono ovviamente assumere ruoli attivi nell’esercito. Circa 50.000 donne sono attualmente in servizio nell’esercito ucraino di cui 5.000 in ruoli di combattimento in prima linea. Come evidenzia Olya Oliker su Foreign Affairs, “per costruire un esercito veramente moderno, l’Ucraina ha bisogno non solo delle armi più innovative ma anche di approcci all’avanguardia per reclutare e mantenere il miglior personale”; l’ulteriore agevolazione e promozione del coinvolgimento nella guerra di donne volontarie può essere più efficace del ricorso alla mobilitazione forzata degli uomini.
Uno studio recentemente pubblicato dall’Human Security Lab dell’Università del Massachusetts Amherst, Proteggere il diritto degli uomini civili di fuggire dalla guerra in Ucraina (discusso anche con la sua autrice principale in un recente podcast di Crisis Group) include i risultati di sondaggi che mostrano come, anche se c’è ancora un ampio sostegno per la misura, la maggior parte degli ucraini preferirebbe vedere cambiamenti all’attuale divieto di espatrio. Nel raccomandare che il divieto sia revocato, il report evidenzia come questo divieto abbia “benefici strategici poco chiari ma diversi svantaggi”, tra cui un impatto negativo sul morale della popolazione. Lo studio raccomanda inoltre che gli alleati dell’Ucraina in Occidente “incoraggino Zelens’kyj ad allentare il divieto di espatrio per i civili maschi, citando sia gli standard dei diritti umani che imperativi strategici”; inoltre per quanto riguarda le organizzazioni della società civile globale, esse “dovrebbero apertamente sostenere e garantire la protezione di tutti i civili, indipendentemente dal genere”.
La cosa più importante, come sostenuto in questa relazione e altrove, è che l’attuale divieto costituisce una palese violazione dei diritti umani e deve essere denunciato come tale. Fin dalle prime settimane di guerra, gli esperti hanno criticato la norma di divieto di espatrio per ragioni sia morali che pratiche, seppur riconoscendo chiaramente e rispettando il fatto che, in quanto vittima di una guerra di aggressione con l’obbligo di proteggere la sua popolazione da un esercito invasore, il governo di Kyiv ha il diritto di adottare misure eccezionali che non sarebbero giustificate in tempo di pace. Questa politica tuttavia è sia dannosa che inutile poiché determina un numero enorme di prolungate separazioni familiari involontarie e priva milioni di uomini della loro libertà di movimento senza alcun apparente beneficio allo sforzo bellico dell’Ucraina. Si dovrebbero preferire invece soluzioni più flessibili che permettano sia ai civili che ai militari in congedo di attraversare la frontiera, eventualmente incoraggiando (ma non imponendo) un impegno a tornare in patria se convocati.