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Da un lato, fuggivo da Mosca, dove la censura e la repressione rendevano sempre più difficile e pericoloso lavorare su temi sociali. Dall’altro, avendo vissuto in Unione Sovietica, mi interessava capire quali tracce avesse lasciato questo impero per comprendere, analizzandole, che cosa aveva unito i nostri popoli nel passato, che cosa ne era stato di questi legami e chiedermi se esistesse un “futuro post-sovietico” comune.
Victoria Lomasko
Il 25 dicembre del 1991, nel giorno di Natale per i cattolici, veniva ufficializzata la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Michail Gorbačёv si dimetteva dal ruolo di segretario generale del Pcus e la bandiera sovietica issata sopra al Cremlino veniva definitivamente sostituita dal tricolore russo. Un evento che venne letto come tragico da alcuni, che vedevano concretizzarsi la delusione di un “sogno comune”; ma anche come il simbolo di un nuovo inizio da tanti altri, che, a posteriori, hanno trovato una nuova forma di equilibrio e d’indipendenza.
Eppure, anche se sono passati oltre trent’anni da quell’evento, molte sono le questioni rimaste “in sospeso”: molti aspetti del complesso universo post-sovietico sono ancora oggi celati, nascosti e dimenticati, laddove il ricordo di quello che fu l’Urss spesso si concentra attorno al potere centrale di Mosca e del Cremlino.
Nella realtà dei fatti, però, l’Urss fu una realtà molto più articolata, multietnica e plurilinguistica, con una popolazione di oltre 290 milioni di abitanti, quindici repubbliche distinte e circa duecento gruppi e minoranze. Ma cosa rimane oggi di questo complesso universo post-sovietico?
L’ultima artista sovietica
Victoria Lomasko, artista e attivista russa, nata nel 1978, proprio ai tempi dell’Unione sovietica, ha provato a fornire una risposta a questo quesito nel suo ultimo libro: L’ultima artista sovietica, pubblicato in Italia da BeccoGiallo nel settembre 2024, nella traduzione di Martina Napolitano. Si tratta di un articolato reportage completato tre settimane prima dell’invasione russa dell’Ucraina del 2022, condotto in diverse città e territori dell’ex Urss, tra il 2014 e il 2021, sulle tracce e i lasciti di quel passato sovietico comune. Un polifonico mosaico che raccoglie le testimonianze dirette di decine di uomini e donne, di volti e di esperienze “sovietiche”, molto diverse tra loro.
L’autrice, come tanti altri bambini cresciuti in Unione Sovietica tra gli anni Ottanta e Novanta, racconta di essersi resa conto da adulta di aver assorbito quell’idea di “amicizia, bellissima e indissolubile” tra i popoli delle quindici repubbliche, senza però averle mai vissute e conosciute davvero, in prima persona, uscendo dalla Russia.
Così, a partire da questa idea, nascono i suoi numerosi viaggi tra Kirghizistan, Georgia, Armenia e alcune repubbliche russe del Caucaso, fino a Minsk in Belarus’, dove si è recata nel 2020; farà ritorno a Mosca nel 2021, dove assisterà al processo contro Aleksej Naval’nyj e alla sua condanna a due anni e otto mesi di carcere, prima della tragica morte il 16 febbraio 2024.
Residui di Urss: tra Asia centrale, Caucaso e questione femminile
Nella prima parte del libro, l’autrice ci porta in Asia centrale, a partire da un viaggio a Biškek, capitale del Kirghizistan, nel 2014. Qui, attraverso numerose testimonianze e racconti, scopriamo alcuni aspetti interessanti della cultura kirghisa che, pian piano, negli ultimi decenni, si è distaccata da alcuni pregiudizi e semplificazioni dovuti alla russificazione. Veniamo a conoscere anche il drammatico fenomeno del “rapimento della sposa”, rituale anche praticato, contro cui le giovani ragazze e donne kirghise combattono.
Segue poi il racconto di un viaggio avvenuto nel 2015, tra i quartieri, le case, le moschee e persino un carcere femminile a Erevan, dove ogni testimonianza riportata è accompagnata dal ritratto delle protagoniste. Che ricordo conservano dell’Urss i cittadini armeni di oggi? Che minoranze etniche e linguistiche popolano Erevan? Come viene vissuto il ricordo del drammatico genocidio armeno?
Per approfondire, leggi anche i nostri articoli sull’Armenia
Tanti i temi analizzati dove la condizione femminile e l’indipendenza delle donne rispetto a un sistema spesso ancora patriarcale assumono un ruolo centrale nella prospettiva della narrazione e dove, però, alcune donne raccontano anche della propria coraggiosa esperienza d’indipendenza da padri, mariti, figli e fratelli maschi.
Non ho un marito, né un fratello e nemmeno un figlio, quindi non mi possono muovere accuse infondate di possesso di armi o stupefacenti.
Testimonianza di Nara, un’attivista armena che l’autrice ha incontrato nel 2015
A seguire, diversi racconti da Tbilisi tra 2015 e 2016 dove, oltre al rapporto della Georgia con l’Urss, veniamo a conoscenza anche di alcuni problemi concreti della società georgiana contemporanea, come l’altissimo tasso di disoccupazione, il dramma dei senzatetto che spesso vivono negli squat, fino alla lussuosa residenza dell’oligarca Bidzina Ivanishvili, miliardario ed ex primo ministro della Georgia (fondatore del partito Sogno georgiano, di cui abbiamo parlato qui).
Tanti sintomi e anticipazioni di tensioni e fratture politiche, che sono infine esplose nel corso dell’ultimo anno e culminate nelle controverse elezioni parlamentari dello scorso 26 ottobre 2024.
La resistenza di Minsk e il ritorno a Mosca, tra desiderio di cambiamenti e preamboli di guerra
Nella seconda parte del libro, dopo alcuni viaggi nelle repubbliche russe di Daghestan e Inguscezia e un’esperienza nella città di Oš, in Kirghizistan (dove, al contrario di Georgia e Armenia, Lenin viene visto ancora come un “padre” e un “eroe”, oltre che fautore dell’Unione Sovietica), si va invece in Belarus’.
Siamo già nel 2020, in piena pandemia da covid-19. Il clima politico è più vicino alla contemporaneità, diametralmente opposto a quello di Oš e, al contrario, numerose sono le manifestazioni per abbattere i residui del passato sovietico; eppure, dall’altra parte, osservando i palazzi del potere di Minsk, l’Urss sembra non essere mai finita, con la presenza di Aljaksandr Lukašenka a capo del governo dal lontano 1994. Oltre trent’anni, senza interruzione.
Qui, l’autrice assiste infatti a numerosi arresti di artisti, attivisti, politici e una massiccia repressione da parte delle autorità. Eppure, nonostante questo, le giovani e i giovani bielorussi che raccontano le proprie storie, si mostrano sempre combattivi, solidali gli uni con gli altri e, in prima linea, indossano abiti di colore rosso e bianco, come simbolo di resistenza e di lotta per un Paese più libero e democratico.
“È cresciuta una generazione che non è più disposta a sopportare” recita una delle vignette di questo capitolo, dove il movimento di resistenza è accompagnato anche dall’emblematico brano Peremen(“Cambiamenti”) dei Kino, inno della generazione sovietica che aspettava sognante il crollo del Muro di Berlino nel 1989, speranzosa verso un nuovo radioso futuro, poi disilluso.
Un reportage estremamente denso, caratterizzato da racconti e sentimenti anche molto diversi verso la Russia e i russi, nell’interpretazione dei lasciti di quel passato sovietico comune, oggi così complesso.
Un reportage che, nelle ultime pagine dedicate al ritorno a Mosca, ci riporta direttamente alle drammatiche vicende dell’attualità, con la crisi in Nagorno-Karabakh di cui si fa cenno anche nei racconti del Caucaso, fino ai preamboli dell’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022, dove tra i cittadini russi già nel 2021 l’autrice coglie un sentimento sempre maggiore e sempre più consapevole d’insoddisfazione verso Vladimir Putin. E dove la rottura della Russia con l’Occidente si fa sempre più marcata.
Tuttavia, non si tratta di un libro il cui scopo è quello di esprimere giudizio e condanna politica, quanto più di creare nuovi spunti di riflessione e accettazione, d’indagine e comprensione dello sfacelo di quello che fu l’Unione Sovietica per milioni di persone, mettendo in comunicazione passato, presente e futuro. Una realtà che oggi ha definitivamente smesso di esistere, ma che ha lasciato milioni di piccole e grandi tracce.
Sono felice di dire addio alla sconfortante ultima artista sovietica per la quale le notizie politiche erano più importanti dei primi fiori nel cortile. Davanti si aprono i mondi fantastici e sensoriali, che non dipendono da nessuno al mondo.
Victoria Lomasko
L’ultima artista sovietica di Victoria Lomasko, traduzione di Martina Napolitano, BeccoGiallo Editore, 2024.
Bulgara di nascita, ma milanese d’adozione, è una mediatrice culturale, blogger e studiosa che si occupa di Russia, Bulgaria e più in generale dei Paesi Est europei. Dopo la laurea in Mediazione Linguistica e Culturale presso l’Università degli Studi di Milano e alcune esperienze di studio all’estero tra Mosca, San Pietroburgo e Plovdiv, ha scritto per Il Tascabile, Pangea News e MowMag. È ideatrice del canale Instagram @ilmaestroemargherita_ dedicato alla promozione della letteratura e della cultura russa, con l'intento di approfondire la "Cultura" in senso ampio, contro ogni forma di pregiudizio e cancel culture. Collabora inoltre con il canale Instagram @perestroika.it che si propone di presentare e promuovere il cinema russo in lingua italiana.