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La città di Šumen non è certo una perla architettonica. La strada principale corre in salita da un parco fino a una sorta di piazza, dove spiccano un albergo – abbandonato – e una costruzione a forma di torre – non finita. Questi due lasciti di un tempo passato donano al centro una sensazione di incompletezza e di abbandono. Più o meno a metà del corso cittadino si trova una piccola area verde, dove spicca una colonna che sostiene la statua di un uomo con le braccia alzate in segno di esultanza: un anonimo “Monumento alla vittoria”. Esattamente da quel punto inizia una scalinata, che dopo 1300 gradini permette al visitatore di raggiungere i 500 metri della montagna che sovrasta la città, là dove sorge l’impressionante complesso architettonico eretto in onore dei 1300 anni dalla fondazione della Bulgaria, uno dei più importanti monumenti socialisti bulgari.
Monumento dei Fondatori dello stato bulgaro – Šumen
Il monumento dei Fondatori dello stato bulgaro (Pametnik na săzdatelite na Bălgarska dăržava) fu eretto nel 1981 e per costruirlo vennero coinvolti scultori, architetti, pittori e ingegneri, coordinati dal professore Krum Damjanov. Si scelse la città di Šumen proprio perché nei dintorni del centro abitato (nelle località di Pliska, Veliki Preslav e Madara) prese il via il nucleo fondante dell’entità statale bulgara.
Quando si entra nel “ventre” del monumento inizia un vero e proprio percorso storico. Si comincia dalla minacciosa statua del han Asparuh che per primo insediò le sue truppe da questo lato del Danubio, alla ricerca di spazio per le sue genti. Conficca la spada nel terreno dicendo “Qui sorgerà la Bulgaria”, mentre cavalca il suo destriero, con un chiaro riferimento al bassorilievo del Cavaliere di Madara (Madarski Konnik). Ma non è l’unico han rappresentato: ci sono anche Termel (il diplomatico), Krug (il legislatore) e Omurtag (il costruttore), ognuno colto nell’attività che lo ha caratterizzato in vita. C’è Boris, che converte se stesso e il suo popolo al cristianesimo, un condottiero spietato, che non esitò a uccidere 52 famiglie e ad accecare suo figlio per aver rifiutato Cristo e scelto di rimanere pagani. E c’è Simeone Magno che dette vita al “Secolo d’oro della Bulgaria”, periodo in cui, grazie ai Santi Cirillo e Metodio e ai loro allievi, nacque l’alfabeto glagolitico, progenitore del cirillico.
Gli eroi della storia nazionale sono tutti rappresentati come figure antropomorfe, ma non del tutto umane. Gli sguardi sono seri e marziali, le braccia comunicano un movimento in realtà impedito dalla roccia. Ma quello che colpisce di più è la grandezza della struttura.
Di fronte a questo monumento socialista bulgaro il singolo scompare, diventa un misero granello.
Il grande piazzale, infine, regala una vista sulla città sottostante e su tutta la vallata, che appare sterminata.
Monumento dell’Amicizia bulgaro-sovietica – Varna
Quando si raggiunge il monumento di Šumen, si rimane sorpresi per le condizioni di tutta l’area: ben tenuta e ordinata. Tutti i monumenti di epoca socialista con un messaggio non direttamente connesso ai tempi di Todor Živkov hanno vissuto una seconda vita a partire dal 1989. Ricalibrati su un significato totalmente dedicato alla Bulgaria e alla sua storia, sono stati ristrutturati e mantenuti in buone condizioni. Ma se quello per i 1300 anni dello stato è ben tenuto, lo stesso destino non è toccato al Monumento dell’Amicizia bulgaro-sovietica (Pametnik na bălgaro-săvetskata družba) di Varna.
Sorge sulla collina di Turna, in posizione dominante sulla baia sottostante e fu eretto nel 1978 per celebrare un tema molto sentito al tempo: il solido rapporto fra Sofia e Mosca. Non a caso Todor Živkov veniva considerato come il più fedele alleato dell’Unione Sovietica. Alla luce di ciò come non rimarcare la vicinanza proprio con una struttura rivolta verso il Mar Nero, quella distesa d’acqua che più ancora della terra avvicinava i due alleati socialisti. Niente Romania, niente Ceaușescu in mezzo. Solo le onde a separare la Repubblica Popolare di Bulgaria dall’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
Quanto questo rapporto sia oggi controverso lo racconta lo stato in cui si trova attualmente il monumento, destino che condivide con il Parco delle Campane (park “Kambanite”) di Sofia e la Collinetta della Fratellanza (Bratska mogila) di Plovdiv. Le erbacce aggrediscono gli scalini sbeccati; sulla sommità un cimitero di pneumatici accoglie i (pochi) visitatori e chi fa attività fisica. Ovunque spuntano i ferri arrugginiti della struttura in cemento armato. Le porte per entrare all’interno sono state forzate e solo grazie alle grate posizionate in seguito si cerca di limitare gli accessi a scopo vandalico. Gli elmetti dei soldati rappresentati nell’opera sono coperti da vernice rosa. Della vecchia scritta “Un’amicizia per secoli, attraverso i secoli” non resta che qualche lettera. La parte bassa del monumento è coperta di graffiti. Dei ragazzini sono venuti fin quassù e il profumo di quello che stanno fumando giustifica la ricerca di un posto poco frequentato. Sono rumorosi e sputano a terra, come per sottolineare che quello spazio è loro e che i turisti non sono proprio ben accetti. In lontananza il mare risplende nel sole pomeridiano.
Complesso memoriale di Stara Zagora
Il mastodontico complesso memoriale di Stara Zagora (memorialen kompleks “Branitelite na Stara Zagora”) ha vissuto una storia di abbandono iniziale e successivo recupero all’inizio degli anni 2000. Oggi si presenta imponente e ben riconoscibile anche da lontano, ma dopo il 1989 aveva attraversato un periodo di vandalismo e incuria. Il suo messaggio però andava ben oltre il socialismo della seconda metà del Novecento, per quanto la sua costruzione fosse dovuta ad esso. Infatti a Stara Zagora si combatté una delle più importanti battaglie della guerra russo-turca alla fine del XIX secolo. Qui l’avanzata ottomana fu bloccata grazie alla resistenza dei “difensori”, rappresentati da un ufficiale russo e sei soldati bulgari, che oggi continuano a proteggere il paese dai loro immensi blocchi di cemento, all’interno dei quali sono stati collocati.
Ancora più in alto si trova la “Bandiera di Samara”, un’altissima struttura in cemento, che richiama un vessillo che garrisce al vento. È uno dei simboli militari più importanti dell’esercito bulgaro. Si dice che fu cucita da suore della città di Samara, in Russia, e fu donato alla milizia bulgara proprio durante la guerra russo-turca. Non è raro vederla sventolare ancora oggi nei festeggiamenti che rendono onore alla battaglia del passo di Šipka, dove Mosca, in grande minoranza, tenne testa e respinse l’invasore musulmano. È proprio questa nuova connotazione – di difesa dell’invasione straniera – che ha dato una ragione per il restauro della struttura, inaugurato il 31 luglio 1977.
Casa monumentale del Partito Comunista Bulgaro – Buzludža
A 2500 metri sul livello del mare, con una temperatura che in inverno può andare molto sotto lo zero e d’estate sfiorare a malapena i dieci gradi, si trova il più famoso monumento socialista del Paese, la Casa monumentale del Partito Comunista Bulgaro (dom-pametnik na BKP), noto con lo stesso nome del picco dove sorge, ovvero Buzludža, dal turco buzlu, che significa “ghiacciato, gelido”. Un punto fondamentale per la storia della Bulgaria.
Nel 1868 il paese si trova ancora sotto la dominazioneottomana. Due dei più importanti rivoluzionari bulgari, Chadži Dimităr e Stefan Karadža, portano a compimento alcune azioni contro le roccaforti turche. Il 9 luglio Karadža viene catturato dagli ottomani e condannato a morte. Chadži Dimităr allora decide di provare a salvare il compagno e sferra la sua ultima offensiva il 18 luglio, proprio su Buzludža. L’esercito turco sconfigge i 58 insorti senza difficoltà e ferisce a morte il leader. Ma quell’impresa risulta di grande importanza per la decisiva battaglia del passo di Šipka nel 1877.
Neanche 20 anni dopo, nel 1886, i primi gruppi socialisti bulgari iniziano a incontrarsi in segreto tra Stara Zagora, Gabrovo, Sliven e Kazanlăk. Dimităr Blagoev, filosofo e politico, nel 1891 riesce a unire le fazioni in un unico fronte e lo fa a Buzludža, con la scusa dell’annuale cerimonia in onore di Chadži Dimităr. Il Partito socialdemocratico operaio bulgaro, precursore del Partito Comunista Bulgaro (BKP), nasce ufficialmente il 2 agosto.
Ed è per questo motivo che negli anni Settanta la guida socialista della Bulgaria decide di costruire qui la Casa monumentale del Partito Comunista Bulgaro. Nel 1971 il governo incarica l’architetto Georgi Vladimirov Stoilov di seguire i lavori. Nato nel 1929, è stato uno fra i più giovani partigiani bulgari antifascisti, iscritto al Partito Comunista dall’età di 20 anni, nel 1961 in occasione del Settantennale dell’incontro del gruppo di Blagoev sul picco del Buzludža, presenta un piano per il quarto e ultimo monumento da realizzare nell’area: una stella rossa illuminata proprio sulla sommità della cima. Purtroppo però il progetto non vede la luce. Ma all’inizio degli anni Settanta qualcosa è cambiato: occorre rivedere l’idea e rimodernarla, ma il monumento da lui progettato si farà.
A cambiare, fondamentalmente, è lo scopo dell’opera: si vuole uno spazio che possa celebrare il Partito e la sua grandezza. Stoilov pensa a una forma piatta, con una torre collocata in posizione autonoma, poco distante. Questo accorgimento è necessario per dare più stabilità alla struttura: il forte vento e la possibilità di terremoti metterebbero a repentaglio il monumento. I lavori iniziano il 23 gennaio 1974 e vanno avanti fino al 1981. Gli oltre seimila operai possono lavorare soltanto da maggio a settembre a causa delle pessime condizioni meteorologiche. Per prima cosa viene livellata la cima, grazie a delle esplosioni: la montagna passa da 1441 a 1432 metri di altezza. Vengono costruite nuove strade per trasportare l’immensa mole di materiale necessario, fra cui il cristallo sintetico color rubino per la stella sulla torre e le 30 tonnellate di vetro colorato per i mosaici, che arrivano entrambi da Kyiv.
Detto “UFO” (NLO) oppure “il piatto” (činijata), Buzludža è la più grande costruzione di matrice comunista della penisola balcanica e nonostante i progetti di riqualificazione, ancora oggi versa in condizioni di abbandono. Le scritte sono ovunque e le crepe lasciano entrare l’acqua all’interno. Un gabbiotto delle forze dell’ordine, non sappiamo quanto presidiato, impedisce che vengano rubate parti del mosaico interno e l’ingresso è praticamente impossibile, a differenza di qualche anno fa. Ma resta di un’imponenza inquietante. Mezza nascosta dalla ridotta visibilità nelle giornate di nebbia, il corpo scuro di Buzludža incombe sul visitatore, lo rende minuscolo, ne annulla la persona in favore della massa. È facile immaginare la forza e la potenza simbolica di un tempo, quando alla sua fondazione, lassù in alto venivano trasportate migliaia di persone per le adunate più importanti.
Il più importante progetto di recupero passa per l’iniziativa dell’architetta Dora Ivanova, che nel 2015 ha creato la fondazione “Progetto Buzludža”, allo scopo di rendere la struttura agibile senza però rimetterla a nuovo, facendone un museo. I primi risultati arrivano nel 2018, quando Buzludža viene inserita dalla federazione pan-europea Europa Nostra tra i sette siti d’interesse culturale più a rischio dell’intero continente. Nel 2019 e 2020 il progetto ottiene finanziamenti rilevanti, in quanto è tra i finalisti candidati all’iniziativa per la salvaguardia del patrimonio culturale indetta dalla fondazione americana Getty. A settembre alcuni restauratori provenienti da Bulgaria, Germania, Svizzera e Grecia iniziano i lavori di fissaggio e parziale ripristino degli oltre 500 metri quadrati di mosaici presenti. A inizio 2021 viene presentato il piano di riqualificazione del monumento. Nell’estate del 2022 si terrà per la seconda volta un festival, con una serie di concerti ed eventi per promuovere il progetto.
Oggi ogni tentativo di recupero passa solo per la comprensione che si tratta comunque di un bene bulgaro, che può avere un’importanza turistica. Ma il simbolo ormai è morto. Morto e abbandonato, come qualsiasi cosa che ricordi il periodo socialista. La Bulgaria di oggi sembra voler cancellare i quasi cinquant’anni successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Arco della Libertà – Trojan
Poco lontano dalla strada che porta da Kazanlăk a Sofia, nel cuore dei monti Balcani, si trova l’ultimo monumento del nostro viaggio: l’Arco della Libertà (pametnik “Arka na Svobodata”). Per raggiungerlo occorre percorrere una via decisamente montana, con decine e decine di tornanti. La prima parte dell’ascesa verso il picco dove sorge l’arco si percorre all’ombra, tra foreste di alberi che a malapena lasciano filtrare la luce. Via via che si sale le piante si fanno più basse e rade fino quasi a scomparire del tutto, lasciando il posto a piccoli cespugli. Il clima inclemente dell’area permette solo questo tipo di vegetazione. Siamo a 1595 metri sul livello del mare, al passo di Beklemeto, al confine fra la provincia di Loveč e Plovdiv.
Anche questa opera è frutto del genio dell’architetto Stoilov e fu inaugurata soltanto un anno prima di Buzludža, nel 1980. Le facciate sono orientate una verso sud, recante la data del 1878, anno della conclusione della guerra russo-turca, e una verso nord, con la data 1944, anno dell’ingresso dell’Armata Rossa nel paese e conseguente liberazione dall’Asse. In questo modo l’opera, alta 35 metri, crea un parallelo fra le due liberazioni. Dei due eventi storici e della loro interpretazione è possibile discutere all’infinito, ma è indubbio che a quasi 1600 metri di altezza, con la vista che corre senza ostacoli verso alcuni dei picchi più alti dell’intera penisola balcanica, il senso di libertà che si prova è davvero smisurato.
Autore dei libri “Questo è il mio posto” e “Curva Est” - di cui anima l’omonima pagina Facebook - (Urbone Publishing), "Predrag difende Sarajevo" (Garrincha edizioni) e "Balkan Football Club (Bottega Errante Edizioni), e dei podcast “Lokomotiv” e “Conference Call”. Fra le sue collaborazioni passate e presenti SportPeople, L’Ultimo Uomo, QuattroTreTre e Linea Mediana. Da settembre 2019 a dicembre 2021 ha coordinato la redazione sportiva di East Journal.