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La scorsa estate, a riempire le sale delle kavárny (caffetterie) praghesi risuonava frequente la domanda “hele, díval ses na Vlny?”, “ehi, l’hai visto Vlny?”. Poco dopo la sua distribuzione nelle sale, Vlny (“Onde”) è divenuto uno dei film cechi più discussi e dibattuti degli ultimi anni. Se un paio d’anno fa Il boemo di Petr Václav aveva riscontrato un discreto successo, quello di Vlny è stato un vero e proprio caso cinematografico: le sale dello Světozor, uno dei cinema di riferimento nel centro di Praga, erano gremite di spettatori a ogni séance e non era affatto raro assistere agli applausi del pubblico alla fine delle proiezioni.
Andare al cinema in Repubblica Ceca è un’esperienza a sé stante. Spesso, quando mi viene chiesto di spiegare le differenze tra cultura ceca e italiana, rispondo dicendo che dai cechi ho imparato a ridere fragorosamente in sala, non importa quale sia il film in questione. A questo fenomeno non si sottrae nemmeno Vlny.
Il successo della pellicola, diretta da Jiří Mádl, è confermato anche dal conferimento di due premi cechi, il Právo Award di Karlový Vary e lo Student Jury Award assegnatogli al Plzeň Film Festival. Il film ricostruisce l’attività di Československý rozhlas, la radio statale cecoslovacca, tra il 1967 e il 1968, concludendosi con l’invasione delle truppe del patto di Varsavia (nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968) e la consecutiva fine della Primavera di Praga.
Si potrebbe quasi tentare un azzardo affermando che la decisione di distribuirlo al pubblico ceco e slovacco in agosto abbia contribuito al successo del film. Per comprenderne il significato e il valore è forse necessaria una breve presentazione di Československý rozhlas e dei fatti storici che interessarono la Cecoslovacchia in quegli anni.
La radiotelevisione cecoslovacca
Chi, pur non sapendo il ceco, voglia approcciarsi a questioni legate all’evoluzione delle trasmissioni radio cecoslovacche durante il primo ventennio del secondo dopoguerra, può leggere il libro Red Tape: Radio and Politics in Czechoslovakia, 1945-1969 di Rosamund Johnson. Come evidenziato nel settimo capitolo, nel 1968 il principale mezzo di comunicazione di massa in Cecoslovacchia non era la televisione, bensì la radio. Difatti, negli anni Sessanta si assistette a un vero e proprio revival delle trasmissioni radio e a un incremento sempre più consistente del numero di ascoltatori. Uno dei motivi principali era, di fatto, quello economico: l’acquisto di un apparecchio radio rappresentava una spesa molto meno ingente rispetto a un televisore.
Il caso specifico della fortuna di Československý rozhlas è legato alla figura di Milan Weiner, direttore dal 1963 al 1969. Questo decennio, culminato con gli episodi della Primavera di Praga nel 1968, rappresentò una fase di importante trasformazione per il paese che si tramutò in una vera e propria rifioritura culturale. Per intenderci, sono gli anni di opere come Treni strettamente sorvegliati di Bohumil Hrabal o Il bruciacadaveri di Ladislav Fuks. Si tratta degli anni d’oro del cinema cecoslovacco, con registi del calibro di Miloš Forman, Jiří Menzel o Jan Němec.
Questa rifioritura riguardò anche l’ambito giornalistico, difatti lo stesso Weiner fu il promotore di un’etica radiofonica nuova, volta a veicolare e difendere la verità opponendosi all’ideologia dominante. L’idea di un giornalismo libero in un paese comunista potrebbe forse apparire un’utopia, ma nel contesto cecoslovacco fu di fatto un’utopia possibile, sebbene destinata a essere soppressa con la forza sul finire degli anni Sessanta.
Sebbene il film si inscriva nel genere storico, vi sono anche numerosi passaggi che si focalizzano sulle vicende personali del protagonista Tomáš Havlík e di Pavel, suo fratello minore. Mantenendo un dialogo continuo tra la dimensione privata dei personaggi coinvolti nelle vicende e quella storica, il film ritrae i principali eventi politici tra il 1967 e il 1968.
Ad esempio, la protesta degli studenti dello Strahovský kolej (il dormitorio di Strahov) del 31 ottobre 1967. Questo episodio, rappresentato nel film in tutta la sua tragicità, vide circa due migliaia di studenti scendere nelle vie di Malá Strana al ritmo di “Chceme světlo, chceme více světla” (“Vogliamo luce, vogliamo più luce”). Difatti, il motivo che spinse gli studenti a protestare erano state proprio le rigide condizioni dello studentato dove mancava il riscaldamento e, talvolta, sia l’elettricità che l’acqua. La protesta venne brutalmente repressa dalla polizia e negli scontri molti studenti rimasero feriti.
Nonostante i tentativi del governo di non far trapelare la verità sull’accaduto, i media intervennero per raccontare la verità dei fatti. Il risultato fu l’intensificarsi della sfiducia nei confronti del partito comunista e, nello specifico, del suo leder dell’epoca, Antonín Novotný. Alla diffusione della verità circa la protesta contribuì attivamente anche Československý rozhlas che, ripetendo “my s vámi” (“siamo con voi”), incitava gli studenti a riportare le loro testimonianze sull’accaduto. Queste azioni della radio non furono viste di buon grado. Esse portarono a una progressiva intensificazione del controllo della polizia e a un coinvolgimento di Tomáš, ricattato ai fini di rivelare informazioni private interne alla redazione della radio.
Vlny: un giudizio sul film
Attraverso il susseguirsi degli eventi lo spettatore giunge poi alla conclusione, in cui viene rappresentata l’invasione del Patto di Varsavia. Mentre i carri armati invadono la capitale, la maggior parte dei membri di Československý rozhlas continua a comunicare col pubblico fornendo notizie sull’invasione in atto. La sede della radio viene dipinta come un simbolo di resistenza che crede fermamente negli ideali della Primavera di Praga, quali la verità e la libertà.
Lo spaccato storico proposto dal film è realizzato con un’accurata attenzione ai dettagli degli interni e della vita quotidiana praghese dell’epoca. Inoltre, vengono inseriti anche molti materiali televisivi d’archivio dell’epoca. A contribuire a ricreare l’atmosfera dell’epoca interviene la selezione musicale della colonna sonora (che si può ascoltare su Spotify), da hit internazionali come Be my baby delle Ronettes o I’m a believer dei The Monkees a classici della musica ceca degli anni Sessanta come Já budu chodit po špičkách (Camminerò in punta di piedi, 1966) di Petr Novák o Přejdi Jordán (Attraversa il Giordano, 1968), cantata da Helena Vondračková.
Come osservato poco fa, la ricostruzione delle vicende storiche va di pari passo con questioni individuali. Ad esempio, l’attenzione che viene data a Weiner, di cui vengono ricostruiti gli ultimi anni di vita sino alla scoperta di essere malato terminale di cancro. Al centro della vicenda vi è però la figura di Tomáš Havlík, di cui viene ritratta l’evoluzione personale: da cittadino che non intende essere coinvolto in nessuna questione sociale sceglie, inseguito agli avvenimenti di Československý rozhlas, la strada della dissidenza. Quando i carri armati invadono la città avviene anche l’ultimo atto del suo cambiamento: la scelta di Tomáš è quella di rimanere e opporsi all’occupazione, non quella di lasciare il paese.
In generale occorre riconoscere che Vlny non è di fatto un film riuscito e bilanciato in tutte le sue parti. Ad esempio, sono forse le scene finali in slow motion a esemplificare proprio questo tenue disequilibrio risultando troppo cariche emotivamente ma, d’altronde, la questione dell’invasione richiede uno iato di maggiore riflessione per lo spettatore.
Altri aspetti storici, nonostante l’accuratezza nel ricostruire l’ambientazione, sono forse trattati con una certa superficialità e meriterebbero una riflessione maggiore. Nonostante questa constatazione, Vlny è un ottimo prodotto cinematografico che potrebbe essere prezioso anche per uno spettatore straniero, illustrando una pagina meno conosciuta della storia ceca e slovacca del secondo Novecento.
Dottoressa di ricerca in Studi germanici e slavi, è ricercatrice presso l'Université libre de Bruxelles. Traduce e gestisce il progetto Andergraund Rivista.