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Durante il suo ultimo concerto al Teatro Brancaccio di Roma nel 1998, Fabrizio De André eseguì alcune canzoni dell’album Anime Salve del 1996. Il disco conteneva una traccia dedicata ai Khorakhané (Portatori del Corano), un gruppo di rom musulmani proveniente da Balcani e Turchia. L’intero album, per Faber, affrontava due temi fondamentali: la solitudine e la libertà. Una solitudine provocata spesso dall’emarginazione,
[…]emarginazione dovuta anche a comportamenti desueti e diversi, frutto dell’eredità di culture millenarie che certi popoli si portano dietro e a cui non hanno nessuna intenzione di rinunciare. È il caso del popolo rom, quelli che noi volgarmente chiamiamo “zingari”. […] Un popolo che secondo me meriterebbe, per il fatto stesso che gira il mondo da circa duemila anni senza armi, il premio per la pace.
Purtroppo l’opinione espressa da De André, a distanza di più di vent’anni, non è ancora diventata patrimonio collettivo. La parola rom è ancora troppo spesso associata a pregiudizi e leggende e provoca fastidio e timore in chi la sente.
Gli eventi di cronaca delle ultime settimane nel nostro paese hanno riportato al centro del dibattito pubblico la “questione zingara”, da sempre cavallo di battaglia dei partiti di destra. Il caso di una borseggiatrice in metropolitana ha scatenato una nuova ondata reazionaria contro un popolo intero costantemente associato alla delinquenza, alla sporcizia, all’ozio. Un popolo ricco di storie, tradizioni e culture ma che per i suoi “comportamenti desueti e diversi” ci fa paura e ignoriamo. E che spesso segreghiamo in campi fatiscenti. In Italia sono presenti oggi circa 180mila rom, di questi circa 17mila vivono nei campi.
“Voci Rom”. Il podcast
Un gruppo di giovani del napoletano ha provato a smontare questi stereotipi attraverso un podcast* che, affrontando tre macro-tematiche, potesse dare voce a studiosi ed esponenti della comunità rom in Italia per raccontare e approfondire alcuni aspetti della loro storia e della loro cultura.
La prima puntata, condotta da Elisa Scorpio, ripercorre con Gennaro Spinelli (violinista, attivista e presidente dell’UCRI, Unione delle comunità romanès in Italia) e Luca Bravi (ricercatore presso l’università di Firenze ed esperto della questione) le origini millenarie del popolo rom. Proveniente dall’India, raggiunge l’Europa intorno all’anno Mille, per non lasciarla più. La prima testimonianza della sua presenza in Italia risale al 1422 a Bologna, come ricordato anche da una targa commemorativa affissa alla stazione. Una presenza ormai ultra secolare, che ha raccolto i semi delle diverse culture che ha incontrato ma che ha visto anche tante persecuzioni e violenze. Uno dei “comportamenti desueti e diversi” che ha sempre provocato rifiuto nella società è il nomadismo, che in realtà riguarda principalmente i sinti. Fino al Cinquecento i rom erano tollerati, in quanto la loro vita nomade era ricondotta a quella dei pellegrini e religiosi. Con la nascita degli Stati nazionali, sfidare la stanzialità significava mettere in dubbio uno dei pilastri su cui si fondava la società ed era considerato come devianza dall’ordine statale.
Con l’Illuminismo, le pratiche persecutorie si manifestavano soprattutto in forme di assimilazione forzata, imponendo loro la stanzialità, vietando l’uso del romaní (misura applicata in Spagna già dal 1633) e la sottrazione dei figli alle famiglie. Nell’Ottocento e soprattutto nel primo Novecento sono state invece le presunte diversità razziali a giustificare politiche di persecuzione verso i rom. Nella sua opera L’uomo delinquente del 1876, Cesare Lombroso descriveva gli “zingari” in questo modo:
Sono una immagine viva di una razza intera di delinquenti, di cui riproducono tutte le passioni e vizi. Sopportano la fame e la miseria piuttosto che sottoporsi a un lavoro continuato. Sono ingrati, vili e al tempo stesso crudeli. Amanti dell’orgia, del rumore, feroci, assassinano senza rimorso, a scopo di lucro.
Teorie che vennero poi riprese ed elaborate dal nazismo e dal fascismo. Nella Germania nazista del 1936, uno psicologo infantile di nome Robert Ritter fu nominato Direttore del Centro per la Ricerca sull’Igiene Razziale e la Biologia Demografica conducendo studi anche sulla comunità rom presente nel paese. Pur riconoscendo la loro origine ariana, Ritter giungeva alla conclusione che, durante le lunghe migrazioni, i rom si erano mescolati con razze inferiori, corrompendone così la purezza. In quanto non puri, erano potenzialmente pericolosi per la conservazione della razza e ne consigliava per questo la sterilizzazione forzata.
Con l’acuirsi delle persecuzioni anche per i rom si aprirono le porte dei campi di concentramento. Nel sistema di identificazione dei prigionieri, erano rappresentati con il triangolo nero, corrispondente agli “asociali”, o verde, quello dei “criminali comuni”. Nel dicembre 1942 il capo delle SS, Heinrich Himmler, ordinò la deportazione di tutti i rom e sinti per lo sterminio nel campo di Auschwitz-Birkenau, con l’utilizzo di camere a gas o come cavie umane per gli esperimenti del dottor Josef Mengele.
In una sola notte, il 2 agosto 1944, 2.987 uomini, donne e bambini rom e sinti furono sterminati nel campo di concentramento. Complessivamente furono oltre 500mila i rom uccisi durante il regime nazista, in quello che è conosciuto come Porrajmos (Grande divoramento). Proprio il 2 agosto si celebra la Giornata del ricordo dell’olocausto di Rom e Sinti.
La seconda puntata del podcast “Voci Rom”, condotta da Scilla Di Pietro, è interamente dedicato alle donne e ai pregiudizi verso di esse. “Donne di cui avere paura, che rubano bambini e gioielli. Donne sporche, a volte belle ma sempre pericolose”. Eppure, nei secoli, sono state proprio le donne rom a esser state derubate, dei propri figli e della possibilità di averne, costrette a sterilizzazioni forzate, vittime di politiche eugeniste continuate fino a pochi anni fa in alcuni paesi dell’Europa centro-orientale. Donne a cui sono stati sottratti i figli, come nel caso dei 586 bambini confinati in istituti religiosi, ospedali psichiatrici o dati in adozione in Svizzera fino al 1973. Ancor più discriminate quelle che vivono nei campi, spesso contro la loro volontà, a cui è praticamente impedito l’accesso a una serie di servizi. A questo si aggiunge un sistema, anche all’interno della società del campo, fortemente machista e patriarcale.
La terza e ultima puntata è condotta da Bruno Interlandi con la partecipazione dell’attivista e artista multimediale Luna De Rosa e della ricercatrice dell’Università di Parma Sabrina Tosi Cambini. Questa volta si parla di arte e cultura, della capacità dei rom di assorbire tanti aspetti dei popoli che incontrano ma anche di influenzare a loro volta le altre culture. Basti pensare alle origini rom del Flamenco in Spagna, o al Jazz manouche nato a Parigi negli anni Trenta grazie a Jean “Django” Reinhardt, dell’etnia dei Sinti Manouche. Più note forse anche le origini rom del più grande interprete del cinema muto: Charlie Chaplin. Nato, secondo una lettera ritrovata dopo la sua morte, in un carro accampato vicino Birmingham. Tuttavia, come fa emergere Luna De Rosa, nonostante i tantissimi scambi tra le comunità rom e gli altri popoli, “il sistema mediatico ha modificato l’immaginario” tanto da trasformare i rom in nemici, in qualcosa di diverso da sé e quindi da escludere. Secondo le sue parole, è stato anche grazie alle arti che le comunità rom hanno potuto comunicare con il mondo esterno:
L’arte è sempre stato uno strumento per comunicare con il mondo esterno e per noi rom lo è stato ancora di più. Posso dire liberamente che le arti e i manufatti sono stati il più grande potere politico dei rom per combattere l’oppressione e ogni tipo di discriminazione. […] e continua ad essere una delle nostre più forti risorse.
* Il podcast è stato scritto da Teresa Coscia, Scilla Di Pietro, Francesco Fele, Bruno Interlandi, Elisa Scorpio. Montaggio: Francesco Fele. Realizzato all’interno del progetto “Non chiamateci zingari!” promosso da N:EA Napoli: Europa Africa e Art33 – Cultural Hub con il contributo dell’Unar nell’ambito delle attività della XIX Settimana di azione contro il razzismo. Il podcast sarà disponibile nei prossimi giorni su tutte le piattaforme.
Dottore di ricerca in Studi internazionali e giornalista, ha collaborato con diverse testate tra cui East Journal e Nena News Agency occupandosi di attualità nell’area balcanica. Coautore dei libri “Capire i Balcani Occidentali” e “Capire la Rotta Balcanica”, editi da Bottega Errante Editore. Vice-presidente di Meridiano 13 APS.