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Buio. Inizia tutto nel respiro cosmico del blu oltremare. Silenzio, poi un battito del cuore, poi una pulsazione stabile che si fa via via più forte nei titoli di testa. Leggiamo di Wilhelm Reich, di paura della libertà, paura della verità e dell’amore, ma leggiamo anche e soprattutto tre parole: gioia di vivere.
A oltre cent’anni dai primi contributi de L’interpretazione dei sogni il fascino della psicanalisi nella nostra società, condiviso od osteggiato che sia, è innegabile. Lungi dall’eccessiva intellettualizzazione di cui a volte si macchia la critica cinematografica o letteraria cadendo nell’errore di subordinare la sostanza all’interpretazione, l’esplorazione metodica dell’inconscio si è fatta strada nel tessuto della collettività, lasciando strascichi anche nella cultura pop.
In ambito cinematografico si spazia da Passioni segrete, biopic su Freud del 1962 che ha il pregio di mescolare piani di realtà e sogno in una Vienna barocca ormai al tramonto, passando per A Dangerous Method e Prendimi l’anima, pellicole sulle tormentate vicissitudini sentimentali di Jung e Sabina Spielrein, fino al drammatico incidente di percorso – per non dire direttamente ‘na cafonata – di una certa serie Netflix sul padre della psicanalisi, definita più che a buon diritto “il Giucas Casella di fine ‘800”.
C’è stata però anche un’altra opera, meno conosciuta ma non meno sovversiva nel suo impatto e nella sua importanza, dedicata a Wilhelm Reich, uno dei pionieri della psicologia del Novecento, nonché discepolo più edgy di Sigmund Freud. È infatti proprio a Wilhelm Reich che Dušan Makavejev, tra i più importanti cineasti dell’ex Jugoslavia, dedica la sua pellicola più folle, vitale e appassionata. Un folle viaggio in bilico tra psicologia, sesso e rivoluzione con l’allucinato WR: Mysteries of the Organism (WR: Misterije Organizma).
Prodotto a Novi Sad, nell’attuale Serbia, girato tra la Jugoslavia e gli Stati Uniti e accolto con una standing ovation al Festival di Cannes del 1971, il film costò a Makavejev la carriera in patria costringendolo a rifugiarsi all’estero fino agli anni Ottanta. Molte furono le petizioni a favore del regista, le proiezioni private e le traduzioni delle critiche estere nella stampa locale, ma la decisione di Tito fu irremovibile, soprattutto se presa in considerazione nel contesto dei tumulti della primavera croata.
Ciononostante, l’impatto politico di WR andò ben oltre le aspettative: nel 1971 si era in piena guerra fredda, e un cinema così d’avanguardia proveniente dal blocco Est appariva un incredibile quanto sovversivo paradosso. Ad essere maggiormente considerati nella dialettica dell’innovazione erano, com’è prevedibile, i film europei o dell’America latina, ma l’opera di Makavejev riuscì ad inserirsi a gamba tesa tra quelle strane, quasi intangibili fila dei visionari della cortina di ferro, capaci di sradicare con la forza dell’arte, in un impeto di giocosa violenza, tutti i preconcetti dell’Occidente. Il contesto, tuttavia, come giustamente osservato dal saggio di Jonathan Rosenbaum per Criterion, era sovente misconosciuto, se non direttamente ignorato.
Cos’è quindi che rende WR, sulla carta un film biografico su un teorico della psicanalisi, così rivoluzionario? Anzitutto, Makavejev cammina sul filo tra il documentario e la narrativa, spaziando dagli studi di Reich alle picaresche avventure sentimentali e carnali di un gruppo di giovani nella Jugoslavia comunista. Si passa dalle prodezze erotiche di Milena, fanciulla jugoslava dall’ardente vocazione politica innamoratasi di un pattinatore sovietico, alle testimonianze di icone della controcultura, precursori della rivoluzione sessuale newyorkese come Jackie Curtis, artista transgender della cerchia di Andy Warhol, Nancy Godfrey delle Plaster Casters o Al Goldstein, famoso – o per meglio dire, famigerato – per le sue pubblicazioni di riviste hardcore quali Screw, che gli valsero una lunghissima faida con Gloria Steinem.
Le teorie di Wilhelm Reich
Il perché di una struttura all’apparenza così dispersiva e frammentata è presto spiegato. Il focus degli studi di Wilhelm Reich, figura così controversa da sfoggiare nel suo curriculum un contatto con forme di vita aliene, formulazioni di complotti ufologici e persino un arresto da parte dell’FBI, è il riflesso orgasmico da cui si dipana l’energia orgonica, base di ogni forma di vita, un flusso vitale che con il suo movimento cosmico è in grado di plasmare la materia in una danza di spirali pulsanti. Gli studi sull’orgone si svilupparono nella creazione di vari dispositivi, da scatole ad accumulatori, atti a misurare, veicolare e trattenere quest’energia.
Inutile dire che tale teoria sia fortemente osteggiata dalla comunità scientifica, nonostante i sostenitori delle teorie di Reich facessero pressioni per la conduzione di ulteriori esperimenti in grado di comprovarne la validità. Lo stesso Freud ripudiò il suo pupillo dopo il suo rifiuto della teoria della pulsione di morte in La funzione dell’orgasmo, pubblicato nel 1927. Dal canto suo, invece, Reich preferì affermare con fiera convinzione la natura positiva della libido e dell’energia sessuale, preconizzando un nesso sotteso fra società, sessualità e rivoluzione.
L’influenza culturale dell’opera di Reich riguarda infatti anche la politica. Iscrittosi inizialmente al Partito Comunista di Germania, fondò al suo interno la Sexpol, associazione atta all’educazione sessuale dei giovani al fine di far confluire la liberazione individuale in quella collettiva. Tuttavia, la vita della Sexpol fu breve, e il conservatorismo di matrice staliniana riuscì a farlo espellere sia dal Partito che dalla Società Psicoanalitica Tedesca.
Nel 1933, nel disperato tentativo di arginare anche solo in minima parte l’incombente ombra del nazismo, il cui fascino stava minacciando gli equilibri della società, Reich scrisse il suo titolo più noto, Psicologia di massa del fascismo. In esso teorizzò la natura irrazionale dei movimenti nazionalisti delle masse, notando come l’inconscio collettivo preferisse abbandonarsi alla macabra fantasia libidica promessa dal neopaganesimo hitleriano piuttosto che sottostare alla repressione iper-razionale del modello comunista. Come prevedibile, i libri di Reich furono banditi e bruciati, ed egli fuggì negli Stati Uniti.
Reich era contrario alla necessità di sublimazione e repressione per il funzionamento della società, ed è esattamente la tesi che Makavejev supporta nel suo WR. In Terror and Joy, monografia sul regista scritta da Lorraine Mortimer, vengono raccolte numerose interviste, critiche e commenti riguardanti il film, uno dei quali espresso proprio da Makavejev stesso che si interroga su Reich: “(…) e la domanda per lui diventò: come facciamo a costruire una società che possa incanalare le vibrazioni di individui e gruppi in azioni sociali che abbiano rilevanza, così che le energie represse non si accumulino in un’enorme sacca di distruzione totalitaria?”.
Se però da una parte ci si doveva guardare dalla repressione, dall’altra si diventava facile preda dei pericoli del capitalismo, capace di stravolgere l’attività sessuale in una mera fruizione di un bene di consumo.
L’enorme stima di Makavejev per le teorie di Reich stava proprio nell’intersezione tra sessualità, politica, libertà e amore, un obiettivo ideologico (rivoluzionario per alcuni, bislacco per altri) da perseguire anche a costo di essere ostracizzati dalla comunità scientifica. In un’altra intervista raccolta da Mortimer, questa volta del 1973, il cineasta parla di come l’iniziale programma politico della Jugoslavia comunista prevedesse la lotta per la simpatia (intesa nell’accezione greca di affinità di sentimenti, di comprensione) tra gli uomini:
Ero davvero entusiasta di trovare un partito politico pronto a parlare d’amore e comprensione nel suo programma. Era una semplice dichiarazione che affermava che se si vuole che le persone si organizzino e migliorino le loro vite, è necessario costruire una simpatia tra loro. E io personalmente credo che una società che vuole costruirsi non su un modello del blocco occidentale né su un modello del blocco orientale, ma come una sorta di sistema funzionante, autoregolato e autogestito, ecco, questa società debba in larga misura avere valori umani come l’umorismo, l’amore, la gioia e il gioco.
Tra Jugoslavia, Unione Sovietica e Stati Uniti
Dopo un’introduzione non propriamente ortodossa, un bizzarro collage di testimonianze nelle quali vengono interpellati medici, artisti, psicologi e icone pop, arriviamo alla storia personale della giovane Milena, che per sesso e per amore perderà letteralmente la testa. La vediamo risoluta e inflessibile, con il colbacco ben calato sui capelli rossi, mentre cerca di mettere a tacere il suo ex fidanzato, l’irresponsabile compagno Radmilović, un rivoltante residuo del passato glorioso della Jugoslavia intento a proclamare a gran voce il suo odio per lo Stato e per la Borghesia Rossa, insultando Milena per l’atteggiamento di sufficienza acquisito durante il suo impegno politico.
Tornata a casa, accende un sigaro e legge imperturbabile il Komunist, mentre un montaggio frenetico alterna lo spettatore tra i titoli di giornale (fra i quali campeggia un trionfante Come Karl Marx si è innamorato in prima pagina) e le prodezze erotiche di Jagoda, coinquilina di Milena, mentre una melodia balcanica tiene incalzante il ritmo frenetico della scena. Uscita dall’appartamento, Milena si affaccia sul balcone e pronuncia un discorso appassionato sui legami indissolubili che intrecciano a doppia mandata politica e sessualità, a rimbeccare la vicina di casa, rappresentante dell’establishment comunista, scandalizzata dalla condotta libertina delle due ragazze.
Alla sua osservazione per cui i giovani non dovrebbero stancarsi in questo modo, Milena ribatte che la libertà e l’amore sono inesauribili, signora! L’astinenza è malsana, disumana e, ancor peggio, controrivoluzionaria!
Chi scrive di sesso dibatte stupidamente su cosa sia meglio: quelli corti e grossi o quelli lunghi e sottili. Io dico che è un falso dilemma.Non ci si può fidare della stampa, dice Milena. La cosa più importante è la gioia. I migliori sono quelli gioiosi. Qualsiasi bambino deve conoscere la cosa più dolce: i lombi! La nostra strada per il futuro dev’essere una vitalità positiva! Compagni! Tra il socialismo e l’amore carnale non ci può essere conflitto. Il socialismo non deve escludere il piacere dal suo programma. La Rivoluzione d’Ottobre si è rovinata quando ha rifiutato l’amore libero. Frustrate sessualmente i giovani e cercheranno irresponsabilmente altri brividi: furti, rapine e crimini assortiti, accoltellamenti, alcolismo, rivolte politiche con bandiere al vento, a combattere la polizia come i comunisti prima della guerra! Quello di cui abbiamo bisogno è una gioventù libera in un mondo libero dal crimine! E se vogliamo raggiungerlo, dobbiamo permettere l’amore libero!
Il genio di Makavejev, in questa scena, sta nel giustapporre la sostanza del discorso di Milena con la mise en scène dagli accenti tipicamente fascisti: la prospettiva dal basso verso l’alto, la rigida geometria del cortile condominiale gremito di ascoltatori e, non meno importante, l’uniforme, che le conferisce una potente carica erotica. Il fatto che l’orazione di Milena rimanga impressa come uno tra i frammenti più potenti del film non fa che sottolineare l’attualità e l’importanza di quest’apparente contraddizione, che necessita dell’accettazione del paradosso come pietra fondante di una società più libera.
Dopo una grottesca intrusione di Radmilović, culminata in una sollevazione di massa degli astanti, Milena prende la parola:
Nessun’eccitazione può equipararsi alla forza elementale dell’orgasmo. È questo il motivo per cui i politici attraggono coloro il cui orgasmo è scadente, difettoso, disturbato o prematuro! I veri uomini sanno come vivere le loro vite senza chiedere il permesso a nessuno. Il dolce oblio è la richiesta delle masse! Privatele dell’amore libero, e agguanteranno tutto il resto! Questo ha portato alla rivoluzione! Ha portato al fascismo e al giorno del giudizio! Come l’uomo è diventato un gigante. Deutschland über alles! L’orgasmo di massa, in marcia a passo d’oca! L’orgasmo in circolo nelle vene dell’alcolizzato e del tossico!
L’orgasmo cerebrale dei dogmatismi e dei mistici religiosi! L’orgasmo muscolare di lavoratori compulsivi, atleti e artisti! Togliete ai giovani il loro diritto alla dolce elettricità del sesso e li priverete della loro sanità mentale! La gioventù ha il diritto alla felicità dell’abbraccio genitale! Dobbiamo tornare a noi stessi, alla nostra autentica natura umana! Ripristinare per ogni individuo il diritto all’amore! Libertà per l’individuo è libertà per tutti!
I condomini sono ormai una massa unita, che danza mano nella mano una kozara, danza tradizionale serba, al canto di “senza amore, la vita non vale nulla”.
Stacco. Dall’intreccio di mani e di corpi del ballo condominiale, il concetto di unità sociale si sposta ai movimenti di massa nella Cina comunista e una parata trionfale di Stalin, soffermandosi poi sui movimenti individuali con l’esplorazione dei tumultuosi esercizi di bioenergetica di Alexander Lowen, allievo di Reich che nella creazione di una propria scuola di terapia associò il lavoro sul corpo a quello sulla psiche.
Ma si torna in Jugoslavia, ed è tempo per Milena di innamorarsi: ad uno spettacolo di pattinaggio, la scintillante star Vladimir Il’ič, regale e principesco nella sua calzamaglia dal gusto camp, fa breccia nel suo cuore. I due flirtano nel camerino, ma lui,il grande artista del popolo, non sembra essere particolarmente interessato ai piaceri muliebri. Giunti nell’appartamento di lei, i due e Jagoda discorrono di politica, nazionalità e, soprattutto, ideologia.
Ma per Vladimir, incarnazione di Lenin nel nome e di Stalin nei modi e nella forma mentis, i valori più importanti sono unicamente, nelle sue parole, il lavoro e i risultati. Allo spettatore casuale o non ben informato sul contesto può sembrare una banalità o un espediente narrativo tipico delle commedie romantiche, tuttavia la dedizione glaciale di Vladimir sarà, come vedremo più avanti, il perno della riflessione di Makavejev.
Prima di procedere con il rapporto tra i due, ci si sposta brevemente a New York, la macchina da presa intenta ad inseguire il performer Tuli Kupferberg che, vestito in abiti da soldato, corre a perdifiato per le vie della Grande Mela con un fucile giocattolo in mano. Kupferberg, celebre attivista della controcultura, era anche poeta e cantante nella band underground The Fugs, di cui vengono impiegati alcuni brani (come Kill for Peace) nella colonna sonora a fare da contraltare ironico alla cultura mainstream degli States. Tra una corsa e una finta aggressione a un gruppo di uomini incravattati, simbolo della società benestante, Makavejev ritorna al salotto di Milena.
Il sogno americano, l’avanzamento dei mezzi di produzione, sono piccolezze, nella mancanza di felicità in cui la società occidentale va versando. Nella Russia sovietica non esiste distinzione tra la felicità della nazione e quella del popolo, abbiamo abolito quella differenza, sostiene l’uomo. Se però Jagoda cerca di controbattere, dicendo che in Jugoslavia si sappia a malapena cosa sia la felicità personale – figurarsi quella collettiva -, Vladimir rimane sulle sue posizioni. Siete un popolo orgoglioso e indipendente, osserva, ma imparerete presto dalla vostra esperienza che il nostro modo di vedere le cose è migliore.
L’attenzione di Vladimir viene ben presto attirata da una cornice sul muro: è una fotografia di Hugo Jäger, fotografo personale di Hitler, che ritrae il Führer attorniato da uno stuolo di ragazze per il suo cinquantesimo compleanno. Milena si alza, lo sguardo severo, si avvicina a Vladimir a passi lenti e inizia a parlare, stringendo la fotografia al petto.
C’era come un fluido nell’aria, diceva Jäger. E poi accadde qualcosa di mostruoso. Migliaia di uomini e donne iniziarono a tremare all’improvviso, e a piangere. Lui era semplicemente seduto lì, e le guardava. (…) Guarda queste donne. Queste sciocche schiave. Amano, onorano e obbediscono all’autorità. Investono l’autorità con il potere primordiale del sesso. Grazie a loro, questa forza inumana e bestiale diventa gentile. Con il loro appoggio cieco, la loro irrazionalità, queste donne sposano ogni ideologia fanatica sulla Terra.
Vladimir, però, anche nella sua ammirazione per l’intensità delle idee ferventi e appassionate di Milena, non sembra convinto. Dopotutto siamo comunisti, dice, mentre una svestita Jagoda si fa strada tra i due offrendo latte e biscotti. Il dialogo procede tra discorsi su idealismo, rispettabilità borghese e Aleksandra Kollontaj, ma non si sembra giungere ad un accordo.
Viene inquadrata una fotografia di Reich, appesa al muro esattamente a metà tra Vladimir e Milena, mentre la donna, una scatola orgonica tra le mani, parla di come sotto la facciata di qualsiasi individuo gentile si nasconda una carica esplosiva, un’immensa riserva di energia che può essere liberata solo dalla guerra o dalla rivoluzione. Sempre più scettico, Vladimir le chiede se il concetto di rivoluzione permanente trozkista diventi, nelle teorie di Reich, un orgasmo permanente. Ma non otterrà risposta, perché un inaspettato Radmilović si fa strada nell’appartamento di Milena buttando giù il muro con un piccone. Tra slogan come morte al fascismo e libertà al popolo, il compagno schiocca un bacio in fronte a Vladimir e lo barrica dentro a un armadio, fuggendo via con il piccone ancora tra le mani.
Dopo una digressione newyorkese, al cui centro vi sono l’esperienza transgender di Jackie Curtis e l’attività di Nancy Godfrey, Vladimir Il’ič rientra in scena. Appena varcata la soglia dell’armadio, il montaggio catapulta l’azione in Russia, Stalin al centro dell’inquadratura. Si salta dagli applausi trionfanti dell’élite sovietica al prodotto finale del calco di gesso di Godfrey, mentre un fanatico Kupferberg accarezza in estasi il suo fucile giocattolo, a sottolineare metaforicamente l’intimo rapporto tra repressione e violenza.
Nel già menzionato Terror and Joy, Lorraine Mortimer osserva come Stalin fosse uno spettro personale dell’esperienza di Makavejev. In un’intervista di Jonas Mekas del 1972, il regista parlò di come l’immagine di Stalin in Jugoslavia fosse ancora vivida, e ritornasse di tanto in tanto a ricordarci che non eravamo così liberi come credevamo. La studiosa ricorda che Stalin era anche lo spettro personale di Reich, un’ossessione dovuta all’aver visto le proprie idee e le proprie teorie deformate, se non proprio rese mostruose, dallo zelo socialista applicato con crudeltà e precisione chirurgica.
Ma si ritorna a Milena e al suo pattinatore, che le decanta il suo inseguimento appassionato dell’ideale dell’arte, del socialismo e del perseguimento di un singolo obiettivo. Il mio lavoro ha bisogno di tutto me stesso, le dice, non si può vivere a metà. Morire per amore è disonorevole, egoista, borghese. Animalesco. Verrà interrotto da un impetuoso bacio di Milena poco prima di finire la frase. Basito lui, basita lei, la scena stacca.
Lo slancio amoroso di Milena non resta inosservato. Vladimir Il’ič sembra aver ritrovato la luce e il sorriso, una musica nell’aria gli rende manifesto il suo posto nel mondo. Raggiunto il balcone di una cascina di legno ai margini del bosco dove i due stavano passeggiando, si profonde in un’orazione appassionata, immagine speculare del discorso di Milena ai condomini.
C’è in me un desiderio di farfugliare parole dolci, di accarezzare le persone che vivendo in questo inferno riescono ancora a creare una tale bellezza. Ma al giorno d’oggi, se accarezzi la testa a qualcuno, questi ti morderà via la mano! Ora bisogna colpirli in testa! Colpirli in testa senza pietà, anche se in principio siamo contrari a ogni violenza!
Milena cerca di avvicinarsi a lui, ma viene rifiutata con uno schiaffo. Makavejev riporta la narrazione su Stalin, erto sulla Piazza Rossa nella sua alterigia mentre una donna dall’aspetto malinconico, inquadrata molto più in basso di lui, gli porge, quasi una preghiera, una lettera indirizzata significativamente a Lenin. Nonostante l’iniziale commozione dell’uomo d’acciaio e della folla adorante, nel petto della grande Russia sovietica non sembra esserci posto per i sentimenti. Oggi i lavoratori e i contadini di tutto il mondo sono determinati a proteggere la Repubblica Sovietica, come una freccia scoccata dalla mano ben salda del Compagno Lenin contro i nemici. Prima del ritorno a Vladimir Il’ič e Milena, però, c’è un montaggio su uno dei pazienti di Reich. Una scelta tanto curiosa quanto eloquente: la coscienza politica senza amore, per Makavejev, è un male incurabile.
Tu ami tutta l’umanità, lo rimprovera Milena, eppure sei incapace di amare un singolo individuo, un unico essere vivente. Che cos’è questo amore che ti rende capace di staccarmi la testa? Mi hai detto che ero bella come la rivoluzione, ma non riesci nemmeno a sopportare che la Rivoluzione possa toccarti! Che cos’è un bambino per un uomo? Questione di un secondo!, urla Milena, schiaffeggiandolo. Tutto il resto è compito della donna! E nel mentre metti il tuo corpo al servizio dell’arte!
I colpi di Milena sferzano l’aria, cercando di scuotere il corpo di Vladimir fino alla sua coscienza. Tra pugni e calci, la donna ringhia, ansima, lancia il suo grido disperato.
La tua figura è asservita ai bisogni delle masse! Tutto quello che dai al popolo e al partito è un mucchio di menzogna! È un palloncino con cui si gioca, ecco cos’è – non una rivoluzione! Una meschina bugia umana travestita da grande verità storica! Sei capace, schifoso pidocchio, di soddisfare i bisogni della specie assumendo quell’unica, stupida posizione per volare dritto verso il bersaglio come una freccia o una lancia scagliata con vigore?
La rabbia svanisce nella concupiscenza, e i due si fondono in un bacio.
Non solo rivoluzione
Viene da sé come WR non sia una semplice storia d’amore o di rivoluzione. Alla luce delle teorie di Reich, la forza primordiale della gioia di vivere, se declinata nella mutua comprensione e cooperazione degli individui, è fondamento di una società più sana e più equa. Tuttavia, esistono sovente circostanze in cui tale forza porta a conseguenze disastrose, esemplificate nel film dalla parabola discendente di Milena.
Il fanatismo ideologico della libido sopita nel nome di un fine superiore, rappresentata dalla condotta ligia e asservita al dovere di Vladimir Il’ič, preoccupava enormemente Reich, che ne vedeva da un lato la sublimazione nell’ideologia nazista e dall’altra la repressione totale nell’assolutismo sovietico. L’amore concreto e vivificante per gli esseri umani e la vita carnale viene accantonato per un asettico, impersonale amore per la causa rivoluzionaria.
Il monologo iniziale di Milena, per quanto astratto ed estremista possa apparire allo spettatore contemporaneo, ricopre il difficile ruolo dell’ammonizione dalla dispersione dell’energia vitale benefica e dalla ricerca del brivido orgasmico in altre realtà. Come ben sappiamo, se da una parte la soppressione da parte del panopticon sovietico fu efficace, sotto il regime nazista quest’energia si riversò nello sport, nel culto neopagano e nella politica delle masse, facendo leva su un rimosso che da sempre ribolle gorgogliando sotto la superficie della coscienza umana. Nella fantasia nazionalista chiunque può essere un eroe della grande narrativa epica, un superuomo in grado di riscrivere il mondo con il delitto e con la forza del delirio paranoico che brucia nelle vene.
Quale delitto migliore, quindi, della decapitazione del proprio oggetto del desiderio nella speranza di zittire la propria umanità? Sul tavolo di un’autopsia viene disposta la testa di Milena, che prima di un ultimo, angelico sorriso declama a gran voce queste parole:
Raggi cosmici scorrevano nei nostri corpi avvinghiati. Eravamo pulsanti, al ritmo delle vibrazioni dell’universo. Ma lui non poteva sopportarlo. Ha voluto andare oltre il limite. Vladimir è un uomo dall’impeto nobile, un uomo dalle grandi ambizioni e dall’immensa energia. Un romantico. Un asceta. Un autentico Fascista Rosso.
Viene inquadrato Vladimir, le mani sporche di sangue, a metà tra il canto e le lacrime. La stessa negligenza della carne, la cieca trascendenza dell’estasi che Milena attribuiva ai fascisti è ora la causa del crimine di cui il giovane si è macchiato. La tragedia di Milena diventa simbolica, la tragedia di un popolo lacerato dall’assenza di amore e comprensione, sublimati in un’etica che ha perso la dimensione umana. L’uomo, per Reich, non può esentarsi dalla carne, ma l’amore libero può esentare la carne dalla politica.
Il rimando a Lenin, sulla scena per tutto il corso del film, sembra quasi essere un dilemma da sbrogliare, soprattutto per la dichiarazione di Makavejev sul non aver voluto girare un film contro l’uomo. Ma alla luce delle scelte di montaggio l’arco del personaggio diventa un chiaro ammonimento a quello che è stato il destino sovietico. La distanza che intercorre tra Vladimir Il’ič e Stalin, separati solo da semplici tagli tra una scena e l’altra, è la stessa distanza che separa il vero rivoluzionario dal fanatico, il Lenin visionario dal regno del terrore di Stalin, che purtroppo non fu possibile senza l’influsso del primo.
L’espiazione di Vladimir Il’ič, per Makavejev, deve consumarsi nella piena accettazione della propria dimensione umana e della propria necessità di amore, compassione e gioia. Le lacrime disperate non sono che il primo passo verso una presa di coscienza definitiva sull’intima contraddizione della repressione psicosomatica come ideale da perseguire.
Il sacrificio di Milena, probabilmente, è ben poca cosa a fronte dei milioni di morti che i totalitarismi del Novecento trascinarono dietro di sé. Una donna da sola non può redimere un secolo, non con le sole armi delle idee e del concetto di amore, né può Reich, l’uomo di cui ella si fa portavoce. Ciò nondimeno, l’ascesa e il declino di questa storia di sesso e morte stimolano una riflessione che si sedimenta ben oltre lo schermo cinematografico. Il sorriso finale della testa mozzata di Milena, che in una dissolvenza passa al sorriso di Reich, dà vita a un discorso che, pur senza una soluzione, vale la pena affrontare.
Questo dialogo non si esaurisce nelle parole. Il paradosso si consuma nella dialettica continua del montaggio, nei salti tra rivoluzionari del blocco Ovest e del blocco Est, a plasmare dei parallelismi destinati a piantarsi nel petto dello spettatore. Seguendo l’esempio del Godard de La cinese, del montaggio dadaista e, non meno importante, di Ėjzenštejn, Makavejev dà vita ad un collage caotico, il cui fragore rimbomba nello spettatore con la necessità di porre domande scomode. In queste scorribande orgiastiche e rivoluzionarie, la cui apoteosi sta nell’alternanza di inquadrature apparentemente disgiunte, appartenenti a mondi troppo diversi per incontrarsi e darsi un senso reciproco, l’enigma rimane irrisolto.
Tuttavia, è proprio nelle intenzioni di Makavejev lasciare aperte queste possibilità.